Il Napoli Comicon è finito da qualche settimana e, causa delirio di impegni, mi sono preso il mio tempo per stilarne un bilancio.
Cosa temevo?
Che la nuova incarnazione della fiera mi avrebbe irrimediabilmente deluso e che avrei rimpianto la spettacolare location di Castel S.Elmo.
Intendiamoci, non che a S.Elmo la situazione fosse più sostenibile.
L’anno scorso sembravamo tutti comparse di un brutto adattamento de La maschera della morte rossa di Poe, stretti tra di noi a farci i complimenti per le rispettive pubblicazioni e a bearci di poter passeggiare tranquillamente per le vie del castello finalmente liberi del caos generato da quel fastidioso pubblico pagante.
La scelta di un radicale cambio nella disposizione logistica del Comicon serviva, sulla carta, a risanare quella scissione che era avvenuta tra i diversi mondi che gravitano intorno al fumetto, nella speranza di ottenere un risultato che potesse finalmente competere con quello che è riuscita a raggiungere Lucca Comics & Games negli ultimi anni.

La sfida è stata vinta?
Per quanto mi riguarda, assolutamente sì.

Aldilà dell’aspetto meramente economico (sono stati strappati un numero di biglietti tali da far gridare al record), la nuova Napoli Comicon è riuscita nella missione apparentemente impossibile di coniugare i diversi elementi di interesse e attrazione in un’unica, agevole soluzione.
Dalle mostre, alle sfilate dei cosplayer, passando per le premiazioni, le conferenze e la vendita diretta allo stand, tutto ha funzionato a meraviglia.
Grazie anche allo splendido sole che ci ha benedetto per tutti i giorni della fiera, l’aria nei corridoi non è mai mancata, l’accesso alle aree stampa e pro era comodo e ben organizzato e nonostante il grande afflusso di gente,  passeggiare per gli spazi espositivi, è sempre stato un piacere.
L’esperienza fiera, grazie anche alla competenza, all’attenzione e alla disponibilità dello staff preparato da Claudio e Alino è stata indimenticabile.

Tutto rose e fiori quindi?
Sì, con l’eccezione di una spina.

L’anello debole di tutta questa meravigliosa catena è stata la biglietteria, davanti alla quale ho assistito personalmente a code interminabili.
Sì, esattamente le stesse code interminabili di Lucca Comics & Games, ma questo non vuol dire che non si debba iniziare a fare qualcosa per evitare situazioni simili.
L’esistenza di queste convention è dovuta alla presenza di pubblico e quindi è fondamentale che al pubblico vengano spalancati i cancelli e non che, per entrare, venga costretto ad arrampicarsi su un ponte levatoio circondato da coccodrilli.
L’ingresso ad una fiera di fumetti deve spingere il pubblico a partecipare, non costringerlo a desistere (come è successo a più di un mio amico).

In ultima analisi poi, sapete cosa potrebbe invogliare a passare ancor più tempo tra le mura del Comicon?
Una bella e variegata area ristoro come si deve.

Per l’importanza che sta acquisendo anno dopo anno questa fiera e per l’enorme location in cui ha la fortuna di svolgersi, non è più il caso di affidare il ristoro a due chioschi coi panini secchi e alla bancarella dei noodles.
Gli spazi all’aperto vanno sfruttati anche per poter allestire degli stand che possano ampliare l’offerta delle proposte alimentari con panini, kebab, noodles, insalate, pizza, dolci, bibite.
Maggior offerta vuol dire anche poter contenere i prezzi e far sì che, per mangiare, non si sia costretti a lasciare la fiera intasando i ristoranti vicini.

Ma questo, è il consiglio di un ciccione reduce da festival in cui oltre a godersi le meraviglie che lo circondavano, passava anche il tempo mangiando come un porco.

Detto ciò, quindi, prima di salutare definitivamente per quest’anno l’organizzazione del Napoli Comicon, ringraziandola per aver invitato, supportato e sOpportato i 5Blogger, vi lascio con una serie di immagini e due video importanti che sono finiti dritti dritti nel bagaglio delle cose che porterò sempre con me.

Buona visione.

L’arrivo in Ca5a Blogger e la scoperta che per connettersi ad internet bisognava disegnare a terra un pentacolo col nostro sangue e sperare in qualche demone benevolo.

La sirenetta Rrobe che revisiona con me i dialoghi del nostro ultimo John Doe sotto lo sguardo attento e perplesso di Gud.

La prima foto in team.

L’incontro per la presentazione del volume sui 50 anni di Diabolik, ma soprattutto la faccia fatta dal sommo Castelli quando ha scoperto che un bambino gli aveva fottuto l’idea di farsi impreziosire il volume da Palumbo.

Occupy Diabolik.

La strana coppia.

Lo stile di Diego Malara.

La presenza, la preparazione e l’attenzione costante della maestra Viola.

Il paesaggio lunare. Un piccolo pasto per l’uomo.

Lo stakanovismo di Corbò (che qui, probabilmente, chiedeva a Castelli quanto avesse rosicato per il bambino aveva il disegno di Palumbo e lui no).

Le più belle della fiera.

I più belli della fiera.

E il disegno che mi ha donato quello tra i due che sa disegnare meglio.

Tuono tra i rami (che, messa così, sembra il titolo del prossimo film di Tony Scott).

Pierz e il suo omaggio a John Doe.

L’ansia dei nominati.

La promessa di Ratigher che lo ha automaticamente eletto a Re Fico del mondo.

La nonchalance di Corbò nel passeggiare per Napoli.

Gli exploit di un Bocchio straordinariamente in forma.

I colori di Andrea.

E quelli di tutti i 5Blogger.

La sopportazione di Noemi.

E i modi in cui il nostro Cap porta avanti il collettivo.

Roberto e la sua attenzione nel rispettare i cartelli.

La bambina che ha detto il mio nome prima di quello della madre.

E la madre, che adoro, insieme a quel sant’uomo del marito.

IL restauro. IL.

E la gioia di Laura, che c’era.

E la nostra che, non c’eravamo ma adesso sì.

E la conversazione, avvenuta all’ombra del Paz, con quell’illuminato di Andrea Ciccarelli, direttore editoriale di  SaldaPress ed una delle più belle teste di fumettolandia.
Una gioia sentirlo parlare. Ascoltatelo anche voi.

http://www.youtube.com/watch?v=VrRTqx1DXOA

Quello che non avremmo mai voluto vedere.

E l’arrivo della cosplayer espressa. Quella che appena s’è fatta un taglietto alla sua mano, ha trovato subito il modo per approfittarne!

La piratessa ubiqua.

E le due maledette che mi hanno ricordato quanti anni ho.

Mauro: “Ah! Quello zaino! Praticamente tutta la nostra generazione lo usava per portarselo in gita!”
Maledetta: “Questo? Boh, è di mio padre.”
Mauro: “…”
Maledetta: “Anche tu hai una figlia della mia età?”
Mauro: “Scusa, ma quanti anni mi dai?”
Maledetta: “Non lo so, quaranta? Quarantuno?”

MUORI, RAGAZZINA!
ORA.
SEMPRE.
OGNI GIORNO.

E infine l’immenso Tony Sandoval:

geniale autore messicano del quale Tunué ha pubblicato questi due imperdibili volumi:

e che mi ha fatto dono di questo splendido disegno:

Se vi sembra bello così, guardate che magia è riuscito a sprigionare, realizzandolo:

http://www.youtube.com/watch?v=tinRNABbpFw

E per questo Napoli Comicon è tutto.
Veramente.

Se volete leggere i reportage dei giorni precedenti, cliccate

QUI

QUI

QUI

e

QUI

Alle 9.52 salgo sullo scooter con Martina.
L’idea originale era quella di accendere la videocamera e fare un video fino alla stazione Termini, ma il treno partirà per Napoli tra 8 minuti lasciandomi a Roma, e la velocità che dobbiamo tenere per tentare di riuscire a prenderlo mette Marti davanti una scelta, o corre, o tiene gli occhi aperti.
Propende per la prima opzione e quindi per il bene comune, il ruolo degli occhi spetta a me.

Destra, gira, ATTENTAAQUELL… niente, lascia stare. Ormai l’hai preso.
Arrivati.
9.55.
Chiamo Rro’.

“Rro’?”
“Oh?”
“‘ndostate?”
“Io sto mangiando un cornetto.”
“Ah, ne prendi uno anche per me?”
“Ok.”
“…Rro’?”
“Oh?”
“Ma a che bar stai? A quello davanti al treno non ci sei!”
“No, no! Sto a quello fico di Termini!”
“E… ti sei accorto che tra, ormai 3 minuti, il treno parte per sempre?”
“Ma che stai a di’?”
“So’ le 9.57”
“CHE???? MA IO FACCIO DIECI ALLE NOVE!”
“Eh. Fai male.”

Conoscendo i suoi modelli di riferimento, immagino che una volta constatato che non avrebbe fatto neanche in tempo per fare la fila per pagare la colazione, Rrobe abbia lanciato il cornetto gridando “TUTTI A TERRA!!!”, che l’impatto del dolce col terreno abbia generato un’esplosione ottima come diversivo e che abbia corso al ralenty sulle note di You could be mine dei G’n’R fino ad arrivare, alle 9.59, sul treno.

Dove, comodamente seduti, ci aspettavano Gud e Paolo.

Il viaggio è serenamente volato tra Paolo che ci fotografava calvi o deformi, Roberto che riprendeva fiato e Gud che già iniziava ad entrare nel suo ruolo di team leader. Bello, con la faccia buona e l’espressione sicura, è chiaramente il Ciclope dei 5blogger.

Un’ora e mezza dopo eravamo già a lottare contro la confraternita delle sfogliatelle da paura (che uccidono infilandosi tra i denti) ed esattamente alle ore 12.10 entravamo in Ca5a Blogger.

La casa che ci ospita è splendida e gigantesca, è situata in una delle vie più belle di Napoli ed è studiata per garantire ad un blogger l’unico modo di sopravvivere: non ha internet.
Non solo non ha internet, è anche schermata dal rischio di immissioni dall’esterno da una cupola che ostacola qualsiasi forma di comunicazione non avvenga direttamente all’aperto, in balcone, in piedi sulla balaustra, mentre gli altri 4 ti tengono per evitare di precipitare.

Credo che alla fine di questo viaggio, il gruppo assumerà il più conciso nome de I 3 blogger.

Visto che siamo in ritardo con John Doe (strano!) io e Rrobe ci mettiamo subito al lavoro, e lui per ben disporci, si tramuta in un sirenetto da paginone centrale di Playboy.

Lo ringraziamo, ma no, grazie.

Mentre ci sciroppiamo qualche pagina di dialoghi, gli altri prendono possesso della casa e scoprono che ci sono due stanze chiuse a chiave. Amo questo posto.

Alle 14 capiamo che il quinto blogger Andrea Longhi non arriverà più, ci accontentiamo di averne perso soltanto uno, e usciamo per andare a pranzo.

Napoli sfoggia il suo sole migliore.
I ragazzi corrono sui motorini, scherzano tra di loro, lavoro, parlano poco nei cellulari e si dicono vieni, dai, ne parliamo a pranzo!
Le ragazze sorridono, soddisfatte di aver eliminato dalla città tutte quelle con una taglia di reggiseno inferiore alla terza.
Noi sorridiamo di rimando, e le ringraziamo.

I colori sono quelli di sempre. Quelli caldi che collegano con un filo invisibile ma solido, l’Italia e l’America bella, quella del sud.

Entriamo in una trattoria/pizzeria di Piazza S. Nazzaro

qui dentro, il gruppo si riunisce al completo, e i 5blogger possono finalmente definirsi tali.

Rrobe

Gud

Paolo

Andrea

e il sottoscritto

che in questa foto, grazie alle notevoli somiglianze, viene interpretato da Michael Fassbender.

Non vi lamentate e prendetevela con gli altri blogger che neanche una foto, si sono degnati di scattarmi. Tsé.

Seduti a tavola ci accorgiamo di essere di fronte alla prima, vera, scelta del viaggio.
Quella che determinerà per ognuno di noi il mood della giornata.

Qual è il dubbio che ci attanaglia? Ovvio.

http://www.youtube.com/watch?v=8zOKzDXS-30

Dopo aver deciso che, aldilà dei rispettivi gusti, la pizza Salsiccia & Friarielli sarebbe stata l’unica capace di accontentare tutti per il bis, usciamo dal locale, pronti a percorrere 44 chilometri in venti minuti per assistere all’incontro su Diabolik al quale Rrobe è stato chiamato ad intervenire.

Tra un polmone sputato e l’altro, riesco a fotografare l’esterno di una pizzeria

a vedere il mare da lontano

e a cadere a terra, sotto il sole cocente.

Il mio corpo non mi risponde, sento delle strane scosse interiori e chiedo aiuto ai miei compagni, ma quando si girano verso di me, i loro volti rivelano l’orrore.
La pizza li ha trasformati in zombi, e hanno deciso di usarmi come dessert (sarà per la quantità di grassi che contengo)

http://www.youtube.com/watch?v=AX8dljTpkFk

Zombizzato a mia volta, torno a ciondolare per le vie di Napoli e scopro che andando al Santarella Wine

mangi, bevi e…

E?

EEEE???

Vi prego, ditemelo.

Due tizi mi vedono con la macchina fotografica e mi urlano: “Facci una foto, siamo gay!”

Eseguo. Non sia mai ci restassero male.

Un saluto veloce alla Chiesa di Santa Teresa a Chiaia

e arriviamo finalmente al

dove si tiene la conferenza d’apertura della splendida mostra che celebrerà i 50 anni del re del terrore.

Ci sediamo e l’incontro comincia.
Dopo due settimane siamo ancora lì, subissati dalle informazioni su Diabolik e arresi al suo pugnale.

Tentiamo un po’ di rivoluzione indossando i panni di Black Blogger e improvvisando una Occupy Diabolik ma poi siamo costretti ad ammettere che vengono dette un mucchio di cose interessanti.

I partecipanti all’incontro snocciolano aneddoti come se piovesse e la parte del leone la fa un Castelli in splendida forma, che ha un solo momento di cedimento quando si accorge che Palumbo sta realizzando un capolavoro per il piccolo fan che si è presentato con il catalogo della mostra (veramente splendido, tra l’altro!)

E come potete interpretare semplicemente leggendo il labiale, Castelli sta intimando a Palumbo di scrivere in calce al disegno “Ad Alfredo, con amicizia…”

Terminata la conferenza ci spostiamo davanti alle statue dei padroni di casa

chiedendoci il perché della mastoplastica riduttiva voluta dalla Gerini

e realizzando la seconda INTRAVISTA nella quale, dopo aver detto per gioco che il coltello della statua di Diabolik era reale e, cadendo, avrebbe ucciso qualcuno, rischiamo di veder avverata la nostra oscena profezia

http://www.youtube.com/watch?v=429zMVT5WSw

La mostra è veramente splendida e infatti non vi faccio vedere neanche una foto. Dovete venire qui e lasciarci gli occhi sopra.
Anzi, no! Una ve la faccio vedere.

Ma solo perché mi sono emozionato tantissimo nel vedere esposto un volume nel quale trovate anche la mia firma!

L’atmosfera del buffet si colora parecchio con l’arrivo delle TOKYO DOLORES.

Le tre piccole Lady Snowblood si mettono in posa per la nostra gioia e ci invitano ad assistere alla loro performance che si svolgerà domenica sera.

Accettiamo tutti ben volentieri.

Ed io ricevo anche la prima foto della giornata.
Una bella foto, ne converrete.

Infine ci avviamo tutti insieme, parlottan parlottando, al ristorante dove si svolgerà la cena di inaugurazione del Comicon e a tavola si uniscono al nostro gruppo Meme e Diego Malara,

appena in tempo per brindare a Claudio, Alino, Viola, ai 5blogger, a Napoli e a questo Comicon.

Se l’atmosfera della fiera sarà serena come quella che si respira in questi momenti, ci sono tutti i presupposti affinché sia la migliore cui abbia mai partecipato.

Dalla stanza, fino in edicola.

26 aprile 2012 da Mauro

Quando leggevo fumetti da bimbetto mi chiedevo sempre chi ci fosse dietro quelle storie lì.
Non potendoli trovare su facebook, l’unica era convincere i miei genitori a portarmi a tutte le fiere specializzate, sperando che riuscissi a rintracciare uno di quei bigfoot che nella mia testa erano i più geniali esseri umani che avessero mai solcato il suolo terrestre.
Iniziai a conoscerne qualcuno, qualcun’altro mi insegnò alcuni dei suoi segreti ed io cominciai a pensare che avrei proprio voluto fare quel lavoro, da grande.

L’obiettivo che mi ero prefissato era quello di arrivare a trovare il mio nome all’interno di un albo venduto nel Sacro Tempio della Gioia Continua (l’edicola), come autore di una storia che mi rappresentasse, magari legata a qualche importante icona del fumetto italiano.

Il sogno è stato realizzato quasi tre anni fa ma per uno di quei casi che ti fa voler bene ai burattinai che tirano i fili della tua vita, soltanto a marzo di quest’anno ha trovato il suo compimento. E in tre anni di cose ne succedono tante, spesso innescate per caso.

Tre anni fa vivevo a San Giovanni con Sandrella.
Di solito le coppie trovano la loro ragion d’essere in un delicato mix tra somiglianze, differenze e attitudini. Io e Sandra invece, in comune, avevamo solamente il fatto di essere entrambi bipedi.
E forse, proprio per questo, le cose hanno funzionato per così tanto tempo.

Tra le sue perversioni, l’odio profondo verso i film in bianco e nero e i campanellini dei Sigur Ros, l’amore incondizionato per i programmi di Maria De Filippi.
Per quanto io remassi in direzione ostinata e contraria, nulla scalfiva il suo insano interesse per quel mostro osceno ed una sera, rincasando, la trovai in overdose.

Era a terra che si dimenava mentre il televisore trasmetteva Amici di Maria e su youtube scorrevano le immagini di Uomini e Donne, ma io, preparato ad una evenienza simile, avevo già pronta la siringa d’adrenalina da iniettarle dritta dritta nel cuore.

Mentre Sandra tornava in vita, presi il telefono e chiamai Roberto.

“Ro’?”
“Oh?”
“Sandrella l’ha rifatto.”
“Avevi la siringa pronta?”
“Sì. E ho anche avuto un’idea per una storia di Dylan che potresti scrivere. Immagina un incrocio tra Amici di Maria de Filippi e il massacro della Columbine. In pratica ci sono questi due che eliminano fisicamente, uno dopo l’altro, i concorrenti che realmente vengono eliminati dal televoto.”
“Figo. Scriviamola insieme.”
“…”
“Oh?”
“…”
“Mauro?”
“…no, guarda Ro’, non sono capace. Scrivila tu, che lo fai già e lo fai meglio.”
“Ma si che sei capaTU-TU-TU-TU”

Caddi.

Ma Sandra mi infilò la siringa d’adrenalina nel petto appena in tempo, salvandomi la vita.

Nei giorni successivi feci finta di nulla finché Roberto, seduto accanto a me in un cinema, mi disse candidamente che aveva chiesto a Marcheselli il permesso per scrivere insieme quella storia. L’editor supremo aveva reagito positivamente a patto che gli spedissimo la prima ventina di tavole di sceneggiatura, per valutare la qualità del lavoro che avremmo svolto insieme.

La mia reazione fu astrarmi dal pianeta Terra per le due ore successive, trasferirmi su Trafalmagore, tornare sulla terra e rifiutare.
Ansia da prestazione, tu, mia unica dea.

Rrobe derise me e le mie ansie, e siccome persuasione batte prestazione ad occhi chiusi, la settimana dopo ci mettemmo al lavoro.
Ci vedevamo di sera, per cena, e ci mettevamo a scrivere dalle 21 fino a quando ci restavano gli occhi aperti.

Che poi, in un modo o nell’altro avevo già avuto a che fare con buona parte dello staff di Dylan. Marcheselli aveva ricevuto i miei primi soggetti qualche anno prima, con Gualdoni avevo avuto a che fare all’epoca di Wondercity, per Paola Barbato avevo realizzato il booktrailer di Mani Nude, con Alessandro Bilotta dividevo la scrivania in Rainbow e con Roberto… bhé, con Rrobe la storia era parecchio più lunga.

C’eravamo conosciuti durante il famoso primo corso di sceneggiatura tenuto da Lorenzo Bartoli (sì, lo stesso di cui vi avevo già parlato, dal quale sono spuntati fuori anche Giovanni Masi

ed Elisabetta Melaranci).

Lui già lavorava, ogni tanto lo accompagnava a farci lezione e, dall’epoca, ci siamo sempre reciprocamente seguiti. Anche quando le direzioni intraprese ci separarano parecchio (Cristo, ho realmente vissuto quasi 3 anni a Latina…) arrivava sempre la telefonata o la cena che portava a incontrarci, e per quanto ci fossimo sempre scambiati consigli ed esperienze e avessimo sempre litigato per i nostri gusti cinematografici, non avevamo mai collaborato.

Perché leggere le sue cose era sempre stato, per me, un modo di stargli vicino anche a distanza. La mezz’ora passata a leggere un suo John Doe, voleva dire trascorrere mezz’ora con lui anche se non potevamo incontrarci. Così come seguirlo sul blog o (all’epoca) sul suo forum (?!) voleva dire seguirne la crescita sia come autore che come persona.
Poi, semplicemente, le cose sono andate come dovevano andare, e sempre più spesso ci siamo ritrovati a discutere di progetti che potevamo sviluppare insieme.

Dylan è stato il primo campo sul quale ci siamo confrontati.

Nella sua squadra, una serie di fuori classe, esperti conoscitori del terreno. Dialoghi sferzanti e in linea con le direttive della casa editrice. Una scansione del ritmo delle sei vignette a pagina senza eguali. Un’attitudine a puntare sui punti di forza del disegnatore data dall’esperienza e dal coordinamento fatto per anni su John Doe e sulle sue altre millemila pubblicazioni. Una precisa e totale conoscenza del mezzo fumetto.

Da quest’altra parte invece, una squadra di pippe troppo in fissa per gli schemi e per la gestione degli archi narrativi.

Il risultato? In quei due mesi ho imparato più cose sul mio lavoro di quante me ne abbiano insegnate manuali, letture ed esperienza sul campo.
Ro’ è stato un maestro al completo servizio della storia. Un maestro attento. Scaltro nel riconoscere quale fosse l’idea migliore, indipendentemente da chi la proponesse. Pronto a mettersi in dubbio ma, allo stesso tempo, deciso sulle cose per cui ancora non avevo il giusto metro.

Di quelle notti, questa qui è la foto che oggi conservo con più piacere:

Rileggere oggi il nostro Dylan, per me vuol dire fare un tuffo indietro nel tempo e calcolare la misura del salto compiuto, tra ciò che ero e ciò che sono.

Dopo tre anni, la mia vita è cambiata in un più di un senso.
Vivo a San Lorenzo e sono sereno.
La collaborazione con Roberto non si è interrotta, ma prosegue saltellando tra un media e l’altro e ci piace vedere i nostri nomi accostati.

E andando in edicola in quest’ultimo mese, li possiamo trovare in due albi di icone del fumetto italiano, che ci rappresentano per ben più di un motivo.

Dylan.

E John.

Ma di ciò che ha riempito le pagine de L’uomo che amava le donne, ne parleremo un’altra volta.

Leggersi.

20 marzo 2012 da Mauro

La fase che preferisco è quella dell’ideazione. Quando le immagini si inseguono e si incastrano una dietro l’altra come fosse proprio quello il loro posto.

Poi c’è la scrittura vera e propria.
Lì è disciplina, silenzio, rabbia e sangue. Fatica. Non sono uno di quelli che si rilassa quando scrive, lo faccio nervosamente e l’esaltazione arriva solo quando metto il punto finale e invio le pagine all’editore e al disegnatore.

A questo punto arriva la fase dei disegni. Lì la storia non è più roba mia. Diventa altro nelle mani di una persona che la renderà migliore.

Poi, l’attesa.

L’attesa che l’albo venga letterato. Letto dall’editore. Stampato. Distribuito.

Ed è solo a quel punto, possono passare giorni, mesi, o anche anni, che ti ritrovi per le mani una roba, che porta il tuo nome nella prima pagina e la riconosci come qualcosa di tuo, ma che non t’appartiene più, perché di quella roba lì tu puoi esserne soltanto un lettore come tutti gli altri.

Ed è quella, l’emozione più grande.

Sono anni che mi capita di provarla.
Mi ricordo quella del mio primo fumetto pubblicato. Era il 1996 e avevo 17 anni.
Mi ricordo quella del mio primo videoclip musicale. Del mio primo spot. Il primo film al cinema.
Il mio primo John Doe. Il secondo e il terzo, con i compagni di sempre.

E in questo momento ho appena finito di leggere la storia di Dylan Dog che porta il mio nome accreditato alla sceneggiatura ed io una sensazione così forte non l’avevo mai provata.

Sarà perché leggo Dylan da quando ero minuscolo e ricordo perfettamente la gioia di trovare due, tre albi non ancora letti su una bancarella e non vedere l’ora di immergermi nella lettura.

Sarà perché de La bellezza del demonio, Cagliostro, Il castello della paura, La dama in nero e Il Signore del Silenzio conosco ancora interi passaggi a memoria, tante sono le volte che li ho riletti.

Sarà perché leggendo Dylan e Zagor ho iniziato a sognare di voler fare questo lavoro.

Sarà perché Roberto, scrivendo questa storia con me, mi ha insegnato più cose su come si scrivono i fumetti di quante ne avessi mai imparate fino a quel momento.

Sarà perché Roberto, in questa storia, c’ha creduto tantissimo esattamente quanto ha creduto in me come sceneggiatore. Ed io, per questo, non smetterò mai di ringraziarlo.

Sarà perché Bruno ha disegnato delle tavole belle, ricche e piene di un talento che non cerca mai la via più facile ma quella più adatta alla fluidità della narrazione.

Sarà perché in questa storia ci sono concetti a cui tengo molto e sono fiero di aver contribuito ad esprimerli in un albo della più importante casa editrice italiana.

Saranno tutti questi motivi insieme e diecimila altri ancora, ma avrò tempo per parlarne meglio appena l’albo uscirà in edicola.
Per il momento, mi stendo nel letto, spengo la luce, e mi addormento con un sorriso.
Per una volta spero in un sonno pieno di incubi.

Zagor è il nuovo rosa.

16 febbraio 2012 da Mauro

Il 16 febbraio del 1106 appare in Gran Bretagna la strepitosa cometa X/1106C1.
Una roba per cui gli storici ne hanno scritto:  “In quell’anno fu vista una stella meravigliosa da osservare, tirando via dietro di sé un raggio di luce dello spessore di un pilastro ed eccelso nello splendore, preannunciando ciò che sarà nel futuro”

Il 16 febbraio del 1804, Stephen Decatur guida una incursione per bruciare la fregata Philadelphia, catturata dai pirati.
Un roba dietro cui sono state chiaramente nascoste le secret origins del pirata LeChuck.

Il 16 febbraio del 1923, Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon, toglie i sigilli alla camera funeraria del faraone.
Una roba che ancora oggi alimenta leggende di ogni tipo sulla maledizione delle mummie.

Il 16 febbraio del 1945, entra in funzione ENIAC il primo computer general purpose della storia.
Una roba che appena scopro il suo significato, aggiorno il post con una didascalia che vi faccia credere che io e il general purpose siamo una cosa sola.

Il 16 febbraio del 1961 viene lanciata la sonda Explorer 9.
Una roba che letta così sembra una figata e invece poi scopri che l’Explorer 9 s’era accontentata di essere una banale sonda atmosferica


(quando invece avrebbe potuto essere la più rivoluzionaria delle palle strobo anni ’70. Quella che, soltanto con la sua presenza, avrebbe fisicamente impedito ai truzzi di ballare e a John Travolta di ammalarsi)

Il 16 febbraio del 1980 un’eclisse totale di sole fa capire al mondo che la fine è prossima.
Ma Publitalia c’entrava sicuramente più degli astri.

Il 16 febbraio del 2012, il vostro amorevole sceneggiatore di quartiere, smette di cercare su Wikipedia cosa sia successo di tanto speciale nei 16 febbraii passati e si lancia fuori di casa per

tributare il giusto riconoscimento

all’iniziativa di ristampare dal primo, mitico, episodio (e in rigoroso ordine cronologico)

le avventure del personaggio che, più di tutti, gli ha fatto nascere l’amore per i fumetti:

Una roba che quando l’edicolante mi ha detto: “Ao, oggi se stanno tutti a comprà quer giornaletto che te piasce a te!”
la mia reazione è passata da un’iniziale, intimista, virgola di commozione… fino ad arrivare al delirio di onnipotenza

http://www.youtube.com/watch?v=M5FVNMNc0T8

comprensivo di propositi per il dominio dell’universo con tanto di grida affacciato sul mio terrazzo (con Anna che ha continuato a spazzare come se niente fosse).

ZAGOR ALLEGATO A REPUBBLICA!

ZAGOR CON I SUOI CARTONATI DAVANTI AD OGNI EDICOLA!

ZAGOR  NON PIU’ NASCOSTO COME UN PORNO TRA L’INTERNAZIONALE E UNA RIVISTA DI DESIGN!

ZAGOR SFOGGIATO!
Sì, perché mentre anche il buon Tex, negli anni, è riuscito a guadagnarsi il rispetto di un pubblico eterogeneo che va dal lettore casuale da edicola, al fan hardcore, fino ai frequentatori dei salotti più radical, Zagor non è mai riuscito nel compito di diventare, allo stesso modo, un’icona trasversale.

Vuoi per il tono delle sue storie, che non si prende mai sul serio.
Vuoi per l’immaginario pop dell’avventura a 360°  che è la sua croce e la sua delizia.
Vuoi per il suo inchinarsi e immolarsi all’altare della fantasia senza limiti di luogo o di tempo.

Tutti motivi che, se da una parte hanno allontanato una certa fetta di pubblico, dall’altra hanno fatto la gioia di chi considera la narrativa, un calderone al cui interno si possano – e si debbano – frullare tutti gli elementi a nostra disposizione.

Pirati, robot, vampiri, indiani, supereroi, streghe, alieni, draghi, damigelle in pericolo, sosia, l’horror, il western e la frontiera, il fanstasy, il giallo, la fantascienza.
In Zagor c’è tutto questo, e soprattutto c’è il viaggio – come ricordato da Luca Raffaelli nel suo bell’editoriale presente nel volume – a piedi.
Perché la scoperta è parte integrante e motore attivo dell’avventura di Zagor, il cui punto di partenza fisso è sempre l’immaginaria foresta di Darkwood, ma quello d’arrivo trova la sua ragione nei personaggi che ne determinano il tono e negli ambienti che ne stabiliscono il genere.

Ma di tutta questa roba, quando avevo sei anni, non potevo capirne molto.

Quando, nel luglio del 1986, vidi la pubblicità del secondo numero della neonata TuttoZagor, nella quarta di copertina del Tex che leggeva mio padre, rimasi folgorato.

Zagor, nella sua casacca rossa, con l’aquila sul petto, più simile a un supereroe che ai noiosi ranger o ai cowboy a cui ero abituato.
La scure al posto della pistola (da utilizzare solo per difendersi e mai per attaccare), la posa che non poteva che rimandare a Tarzan; i suoi nemici: bianchi e indiani allo stesso tempo, e il titolo, quella parolina che, da sola, riusciva a far venire un piccolo brivido sulla schiena: Terrore.
Quando mio padre si presentò con quell’albo in mano non sapevo ancora che tipo di impatto avrebbe avuto per me, né quanto la domanda: “E’ uscito Zagor?” sarebbe presto diventata una compagna mensile.

Ma stringere quel fumetto tra le mani ogni mese non era un’esperienza che si limitava alla semplice lettura.

Era forte la componente del legame che si andava a generare tra me e mio padre.
Entrambi allungati sul lettone, entrambi col proprio fumetto (e io sbirciavo tra i numeri delle pagine per vedere se ero più veloce di lui a leggere).
Entrambi uniti da un qualcosa che aveva tutto il sapore di un passaggio di consegne (che, anni dopo, si sarebbe ripetuto a ruoli invertiti!)

C’era la componente ludica, a metà tra una recita e un gioco di ruolo antelitteram, in cui io e i miei amici interpretavamo i personaggi utilizzando come copione le avventure che ci piacevano di più.
Tra le quali il posto d’onore spettava sicuramente a questa:

E questo particolare modo di giocare tra me e i miei amici è stato oltretutto rievocato da Roberto Recchioni nel n.11 di John Doe, un albo che ripercorre le vite dei suoi autori e il loro legame col fumetto.
Nella pagina sottostante, disegnata meravigliosamente da Federico Rossi Edrighi, viene offerto un quadro abbastanza chiaro di come si svolgevano gli avvenimenti, e di quanto i miei amici fossero effettivamente entusiasti di giocare con me:

Per la fantasia di un bambino di sei anni però, trenta giorni erano lunghi da passare, per cui la sorte migliore che poteva capitare a quei singoli albi era che venissero letti decine di volte, fino a decomporsi.
E questo, posso dire di averlo fatto.
Le prove?

Questo è il n.2 di TuttoZagor di cui vi parlavo prima: il mio primo fumetto.

Me lo porto dietro ovunque vada come fosse la mia coperta di Linus e gli sono affezionatissimo.

Come potete vedere, è reduce da diverse battaglie, ma è ancora tutto d’un pezzo.

Perché, vi dicevo, quella di venir letto decine di volte era decisamente la sorte migliore che potesse capire ad un fumetto nelle mani di un bambino.

La peggiore?

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Ok, calmi.

Non voglio generare eccessivo panico e preferirei evitare che qualcuno di voi restasse stroncato da un infarto.

Fortunatamente, quello di Pennarello su Fumetto, è uno dei pochissimi reati di cui non potrete accusarmi e al massimo, la mia colpa, può essere quella di aver ceduto a questi qui:

Potrei dire che il bianco e nero di quelle pagine era sicuramente una calamita irresistibile per le mie remore infantili, ma basterebbe a discolparmi?
E a salvare dalla forca i miei genitori che non mi amputarono le mani prima del misfatto?

Scuse.

La realtà era che

colorare le pagine di Zagor

mi piaceva da morire

per almeno

una mezz’ora.

Poi, fortunatamente…

…ci pensava la mia pigrizia a mettere in salvo le pagine restanti!

E così, grazie a Zagor, oggi avete un colorista in meno e uno sceneggiatore in più.

Che sia stato un bene, o un male, non ci sarà dato saperlo.

La notizia positiva, è che uno Zagor tutto a colori, alla fine è arrivato lo stesso.

E io ho una nuova occasione per perdermi, dopo tanti anni, dentro queste storie a cui devo la scelta della direzione professionale intrapresa nella mia vita.

Non perdetevelo, sarebbe splendido se questa iniziativa avesse il successo che merita e , come per Tex, potesse proseguire ben oltre i 30 volumi inizialmente previsti.

P.S.
Conoscendo il grande amore che nutro per il personaggio, tre amici dalle mani miracolose, mi hanno regalato le loro personali interpretazioni de Lo Spirito con la Scure.
Le condivido con voi perché so che apprezzerete.

Werther Dell’Edera:

Federico Rossi Edrighi:

Walter Venturi:

Se guardandoli, vi venisse in mente di copiare la loro idea, e inizierete a provare un forte bisogno di regalarmi una vostra interpretazione di Zagor, sentitevi pure liberi di farlo.
Io non mi offendo.

DecuBBBBBello!!!

19 dicembre 2011 da Mauro

Davide è in uno splendido stato di grazia artistico/creativa e, per nostra fortuna, ha deciso non solo di rendercene parte, ma di poterne approfittare!

Cliccando QUI

potrete infatti evitare di spendere soldi in inutili manuali sulla realizzazione di storyboard e shootingboard e imparare tutto quello che serve sapere semplicemente rubando dai lavori di Davide e leggendo con attenzione quello che racconta.

Và come vi accoglie con tutti gli onori in homepage: “In questo blog potete trovare una parte dei miei lavori: quelli che sono riuscito a recuperare e documentare o i più recenti. Sono gli storyboards e gli shootingboards che realizzo per le case di produzione, ma c’è anche qualche mio esempio di visualizing da agenzia. Fra Pubblicità, Cinema e Fiction, ho pubblicato qui circa 140 film. Potete cliccare sulle etichette (tags), per passare da un genere all’altro o per scovare qualche curiosità. Chi non ha la più pallida idea di cos’è uno shootingboard, chi è curioso o chi vuole avvicinarsi a questo mestiere può iniziare dalla pagina “Prima di Tutto”.

Non siete già completamente a vostro agio? Non avete voglia di togliervi le scarpe e sdraiarvi sul suo divano come fosse il vostro?

Ma se tutto ciò non dovesse abbastarvi e anzi, scatenasse in voi l’irrefrenabile desiderio di portarvi a casa pezzi di puro De Cubellis, ecco che è lui stesso a venirvi incontro, ben conscio di quanto siate affamate & golose.
Da qualche giorno è online DECU FINE ART:

un sito dove oltre a poter acquistare degli originali di questo livello

Potrete anche sbavare, impazzire, sbroccare, desiderare ardentemente, e persino portarvi a casa, delle stampe a tiratura limitaterrima delle clamorose cover che Davide ha realizzato per John Doe

“Eh, ma sono solo delle stampe!” direte voi, stolti, continuando a far cadere briciole sul divano di Decu.
“Ennò!!!” vi si risponde da qui.

Anzi, lascio di nuovo a lui la parola:

“Stiamo parlando di 8 esemplari per ogni illustrazione: autenticati, numerati e certificati.”

Nei contenuti e nella forma il certificato di autenticità testimonia l’estrema qualità del prodotto. È stampato su un foglio con filigrana del marchio Hahnemühle – anno 1584 e ovviamente riporta molte informazioni, come il titolo dell’opera, la tiratura e l’edizione, il numero di prove d’autore, la firma dello stampatore. Si certifica oltretutto che: “la stampa fa parte di una tiratura limitata e numerata, realizzata su carta Fine Art Hahnemühle con inchiostri ai pigmenti; ha una durata media di oltre 100 anni, attestata da studi di laboratori indipendenti; tutti i files e le prove di stampa sono stati distrutti o consegnati all’autore”.

Visto?
E’ stato o non è stato dato un nuovo significato al concetto di “Sborone”?
Se anche voi state ardentemente pensando “Si, lo voglio!”, smettete di pettinare le winx e precipitatevi ad accaparrarvi le vostre copie, o a regalarle per natale, visto che tanto anche voi, come me, fate i regali sempre all’ultimo momento riducendovi ad imbucarvi nell’orrido autogrill sul raccordo!
Io, da parte mia, mi sono già accaparrato questi:

(quella scritta lì, sotto il disegno, indica per l’appunto, che è stata venduta. Non che costa 22 denari.)

(anche la scritta lì, non indica certo il costo, quanto invece – SPOILER – la risposta alla vita, l’universo e tutto il resto)

E serviranno a comporre un fantasmagorico trittico che avrà per centro questa assoluta meraviglia:

Stanno un amore insieme, ‘nevvè?

HABEMUS PAPAM!!!

13 dicembre 2011 da Mauro

Squillo di trombe!
Sono finalmente giunte al termine le votazioni per il primo concorso “Johndoeizzate il vostro desktop!” che hanno decretato l’unico, inesorabile, inarrestabile, incontrovertibile vincitor!

Ma abbiate pazienza, come nelle migliori sagre paesane, prima dovrete sorbirvi tutte le segnalazioni di quegli sfigati che per un motivo o per l’altro non hanno vinto e poi, SOLTANTO POI, nelle ultime righe di questo post, saprete chi ha meritato l’agognato disegno di Federico Rossi Edrighi & Marco Marini in palio (e siate buoni, non andate subito a sbirciare e ringraziatemi, piuttosto per risparmiarvi l’elenco degli assessori comunali e l’intervento di Nilla Pizzi – gentilezza, per inciso, che durante l’ultima sagra dell’agnello di Pescasseroli, mica mi è stata fatta)!

Quindi, bando agli indugi, sappiate che LA giuria, capitanata da Roberto Recchioni e composta dalla intiera redazione del vostro fumetto preferito, ha sancito che:

alle due fanciulle che hanno pensato bene di imprigionare John Doe


(R.Amal Serena)

e di travestirsi da desktop umano


(Alessandra D’Amato)

và la nostra Minzione Speciale, che riconosce e si genuflette alla genialità delle loro proposte pur bastonandole per essere andate fuori tema (che, ricordiamolo, prevedeva di utilizzare nella foto esattamente il disegno del desktop in regalo!).

Sale quindi sul podio, strettino nel suo terzo posto, ma sorridente per essere il più basso tra gli svettanti, Fabrizio Adamo e la sua conquista dell’Apple Store!

Al secondo posto, qualcosa che o avete visto all’epoca o non vedrete mai più!

Ma mentre i giurati erano lì col coltello tra i denti a votare i loro preferiti, cosa accadeva nelle allegre lande della Giuria Popolare?

Ecco i risultati emersi dalle votazioni dei frequentatori della pagina facebook di John Doe:

Al terzo posto… Syd Chino Barret! che anche i frequentatori di questo blog conoscono bene!

Al secondo posto, nuovamente presente la nostra amichevole rossa di quartiere (a proposito… ti muovi a tornare a Roma?)

E al primo posto?
Chi avranno premiato i lettori di John Doe?
E chi sarà stato ritenuto il più meritevole secondo gli autori?

Signore e signori, Madames e mesieurs, inginocchiatevi al cospetto di colei che ha messo tutto d’accordo nel ritenerla la vincitrice unica ed assoluta del concorso!

Sfregiatevi i palmi e applaudite furiosamente…

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…Lorenza Barone

e il premio che le hanno realizzato Federico & Marco che la ritrae, rendendola immortale (diciamo così…), al cospetto dei protagonisti di John Doe n.13:

La versione cartacea presenterà anche una dedica da tutto lo staff, mentre quella digitale potrete gustarvela semplicemente cliccando e ingrandendola.

Di nuovo, grazie a tutti per le foto inviate.
E’ stato divertente vedere cosa è stata capace di partorire la vostra mente.

Ah, un’ultima cosa.

Il fatto che questa lettrice qui:

alla fine abbia ricevuto soltanto pochi voti, non può e non deve assolutamente dissuadervi dal seguire il suo esempio.

Che noi, chi ci mette il cuore in quello che fa, lo apprezziamo sempre!

Votate! Votate! Votate!

25 novembre 2011 da Mauro

Ricordate il contest: “Johndoeizzate il vostro desktop!” che avevo lanciato in questo post QUI?

Bene, la risposta è stata calorosa e divertita, ma è arrivato il momento di tirare le somme e stabilire chi si porterà a casa il disegno inedito realizzato da Federico Rossi Edrighi & Marco Marini.

Noi della redazione (che termine meravigliosamente antiquato!) abbiamo già votato ma abbiamo anche deciso di dare un secondo premio (detto “della Giuria Popolare) alla foto che totalizzerà più “mi piace” sulla pagina facebook del contest (ci arrivate cliccando proprio lì, ma anche se cliccate QUI, và!)

Per cui sta proprio a voi scegliere chi premiare!

Il lettore che ha mezzatintato la propria scrivania?

o chi ci ha aggiunto due cuoricini?

Chi si è immolata diventando un desktop umano?

O chi lo ha duplicato su un maxi-schermo?

Il disegnatore (sempre di John Doe!) in cerca di disegno?

La lettrice che ha dato anima e corpo? (ok, solo corpo)

La bizzarra editor che ha messo al sicuro John Doe?

Chi l’ha nascosto tra altri mille personaggi?

O chi lo vede solo nel suo riflesso?

Chi si è fatta mordere da uno zombi mentre tentava di divorare John Doe?

Chi ha Johndoeizzato TUTTI i desktop di un apple store?

Chi si è autoritratto nell’opera?

Chi ha infilato John in tutti gli schermi di casa?

Chi ha tentato di corromperci? (aaahhhh cccciambelleeeeeee….)

Chi ha fotografato le sue passioni?

Chi è alla ricerca di cervelli da mangiare?

O chi è indeciso, tra le sue priorità?

Chi merita di portarsi a casa il premio?

Decidetelo voi.

Mettiamo che mi venga voglia di leggere un fumetto ed esca a comprarlo.
Ho un mare di possibilità.

Posso infilarmi in una fumetteria e trovarne migliaia.
Posso entrare in una Feltrinelli o in una Fnac e cercare il settore dedicato.
Li trovo persino nei caffé letterari di San Lorenzo.
Anche fosse domenica e trovassi tutto chiuso, potrei comodamente scaricarmeli e leggerli su un tablet.

Comoda la vita del giovine del 2011.
Fino a qualche anno fa i fumetti li vendevano soltanto in edicola (si, proprio come quella lì in alto disegnata da Flaviano).

Motivo per cui, per uno come me, l’edicola è un santuario da visitare in qualunque luogo e qualunque ora con la gioia estatica del pellegrino che chiede la grazia, e l’edicolante è l’altissimo sacerdote a cui rivolgersi con devozione e stima.
Lui, unico custode della verità contenuta nella Risposta.
Lui che può aprirti le porte del paradiso del “Si, è uscito oggi!” o gettarti nelle viscere dell’inferno del “Non è uscito, passa domani.”

Questo è il motivo per cui, io, nei riguardi dei giornalai, ho sempre avuto un atteggiamento di reverenza e ammirazione.

E la vita mi ha ripagato facendomene incontrare di ragguardevoli.


A partire da Gianfranco, dell’edicola della natìa Marino, che in caso tu non fossi stato allineato con la sua ironia, era capace di trasformare anche la semplice esperienza dell’acquisto di un quaderno, in un incubo.

“Gianfrà mi servirebbe un quaderno.”
“A righe o a quadretti?”
“A righe”
“Orizzontali o verticali?”
“Gianfrà, sto di corsa.”
“Orizzontali o verticali?”
“Orizzontali.”
“Già scritto o da scrivere?”

E così via per una decina di minuti buoni e per qualsiasi altra cosa di cui tu avessi avuto bisogno.
Motivo per cui mia sorella allungava di quasi un chilometro per andare in un’altra edicola, mentre io già lo amavo.
E gli ricambiavo quotidianamente il supplizio chiedendogli tutti i pomeriggi se fosse uscito Tutto Zagor?” anche se mancava ancora un mese all’uscita.
Lui non se la prendeva eccessivamente e anzi, si prodigava nel vendere, senza tenersi alcuna percentuale, ben tutte e cinque le copie di SuperLuke! Il fumetto che mi scrivevo, disegnavo, incollavo da solo (ripetendo la lavorazione per tutte e cinque le singole copie).

Nel mio periodo a Latina (brrr)  c’era questo giornalaio che mentre mi faceva il conto, ogni volta mi indicava di sottecchi e con un’abile combo di occhio e mento, le tipe presenti nell’edicola.
Che, nel caso in cui l’edicola fosse stata di un centinaio di metri quadri e divisa da scaffali e librerie avrebbe anche avuto un senso, ma siccome era un luogo ameno e minuscolo, l’unico risultato che otteneva era che la tipa se ne accorgeva e guardava malissimo sia me che lui.

Tornato a Roma, a monteverde, c’era “Ma’ Allora”, l’edicolante che mi teneva da parte le riviste e i fumetti di un altro, incazzandosi con me che non li ritiravo mai.

“Le dico che io non lo leggo Noi Pescatori!”
“Mà Allora perché me lo fa mettere da parte!”
“Ma non le ho mai chiesto di mettermelo da parte!”
“Mà Allora dice che me lo sono sognato?”
“O forse mi confonde con qualcun altro!”
“Mà Allora con chi la confondo? Lo legge solo lei quel giornale!”
“Non è vero, non lo leggo!”
“Mà Allora se ha smesso me lo dica che non glielo tengo più!”

Poi è arrivato il turno del ciccione burbero dell’edicola sull’appia che si lamentava quotidianamente, fumando come un turco, delle pessime condizioni della distribuzione e, di conseguenza, dell’Italia tutta.
La sua edicola aperta 24 ore su 24 (con l’egiziano che faceva il turno di notte, addormentandosi e facendosi depredare di tutti i porno e i quattroruote esposti a destra) è stato probabilmente il motivo principale per cui avevo accettato di prendere quella casa a San Giovanni.

Nessuno di loro, però, regge il confronto col mio edicolante di fiducia qui in via della Bufalotta.
Il mestiere di giornalaio per lui è chiaramente solo una copertura perché lui in realtà è un fico e lavora come modello per i fotoromanzi di Grand Hotel (sì, esce ancora).
Non gli fanno fare spesso il protagonista e questa è la dimostrazione, dico io, che quelli di Grand Hotel. non capiscono una sega.
Egli buca.

Espone, accuratamente affiancati e con una cura che neanche Ghezzi e Giusti nei loro migliori blog, i calendari del duce tutto impettito accanto agli arroganti tettoni di Victoria Silvstedt e delle Studentesse laziali (la più giovane è chiaramente Settembre e ha un’età stimabile intorno ai quarantasette).
Mi saluta sempre chiamandomi “Grande!” ma credo che sia una mera constatazione dei fatti e non un attestato di stima – per quanto si sia premurato di ripetermi almeno tre volte che su John Doe sono stato disegnato troppo grasso – ma il suo vero super potere lo sprigiona al momento del pagamento.
Mi dice la cifra che gli devo accostandola sempre ad una battuta che ironizza sulla completa – e giusta – assenza di un trattamento di favore.
Mettiamo che io debba pagare trenta euro, lui mi dirà una di queste frasi:

“So’ trenta euro co’ tutta ‘a busta!”

“Solo perché sei te, famo trenta!”

“Sarebbero cinquanta ma visto che c’hai la ragazza bona famo trenta!”

“Guarda pe’ stavolta famo trenta ma non te ce abituà!”

E così via per ogni possibile declinazione.

Per cui, quando stamattina m’ha detto:

“So’ ventisei euro e cinquanta, compresi i carzini!”

io ho fatto la mia solita risatina (stupendomi, sotto sotto, per la sua abilità nell’aver individuato una variazione più divertente del solito) e l’ho salutato andandomene tranquillamente in studio.

Una volta arrivato ho aperto la busta.
Ho tirato fuori i fumetti.
Le riviste.
La nuova statuina della collana dei Supereroi Marvel.

E poi.

Questi.

Credo facciano abbastanza curriculum.

La ladra.

Il ragazzino col sorcio.

La leggenda.

cliccateli, ingranditeli, ammirateli, stampateli.

John Doe #13 – nuova serie –
– “APRI GLI OCCHI, JOHN.” –

Soggetto e sceneggiatura del sottoscritto.
Disegni di Federico Rossi Edrighi & Marco Marini.
Supervisione e salvezza: Roberto Recchioni.
Protezione dall’alto: Lorenzo Bartoli.
Pubblicato in extremis da: Editoriale Aurea.

L’ho preso ieri dritto dritto dalla redazione e, come potete vedere dalla foto

me lo sono sparato prima di addormentarmi.
Prima volta che lo faccio con una cosa mia.

Strano.

Dovrebbe uscire, ovunque, oggi.
Lo riconoscerete da questa splendida copertina dove il concetto di amore e morte assume una nuova ed esaltante raffigurazione.

Come al solito, opera del sommo De Cubellis.

Buona lettura!

P.S.
Che il numero horror sia il 13 e che esca esattamente sotto Halloween lascia ipotizzare persino una sorta di pianificazione, nevvero?

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