Cinque passi con John Doe.

11 giugno 2012 da Mauro

Primo passo.

Il più difficile e quindi il più cauto.

Ho scritto questa storia con l’unica intenzione di dimostrare il mio amore per il personaggio inventato da Roberto e Lorenzo e l’ho fatto in punta di piedi.
Volevo che editore, ideatori e lettori avessero la netta e chiara sensazione che il nuovo arrivato fosse lì semplicemente per raccontare storie di John e non per mettersi in mostra esibendosi su un palco non suo.
E l’ho fatto parlando di cinema e di rapporto coi padri: i due argomenti più importanti della mia vita.
Dopotutto, fu proprio il consiglio di Roberto di scrivere sempre e soltanto di ciò che conosco a farmi passare la paura del debutto.
Il risultato è stato una storia di John Doe indirizzata a tutti.
A chi non ne aveva mai sentito parlare e a chi, dell’uomo che era stato Morte, prima di diventare Dio, conosceva ogni particolare.

Ai disegni: il solido e rassicurante Luca Maresca, una garanzia.

Secondo passo.

Negazione, e quindi conferma, del primo.

L’intenzione era quella di muoversi in direzione ostinata e contraria rispetto alla prova precedente.
Una storia indirizzata soprattutto ai lettori hardcore del personaggio ma che potesse incuriosire anche i nuovi arrivati.

Lo scopo, come al solito, era scoprire ciò che non si conosce.

E io volevo scoprire alcuni lati di John che avevo intravisto ma di cui volevo essere sicuro.
A volte, ciò che vediamo negli altri – reali o meno – non è altro che il nostro riflesso e mi interessava infilarmi nelle pieghe per escludermi e toccare qualche nervo.
John di fronte ai diversi sé di diversi momenti della sua vita e davanti ad una donna a cui, per la prima volta, non poteva mentire.
La contraddizione di credere in un unico dio quando lo sappiamo essere espressione di una moltitudine.
Una storia grande fatta di minuscole storie brevi. Un’esperimento vecchio ma sempre imprevedibile.

Ai disegni: Una valanga di esordi variegati e difficilmente convogliabili. A Valerio Schiti la parte del leone, e poi Valerio Nizi, Manolo Morrone, Federico Rossi Edrighi e Marco Marini.
Talenti inaspettati per un seriale da edicola perché è questo che John Doe fa e ha sempre fatto: colpire forte e duro portando ciò che sta sotto, davanti agli occhi di tutti.

Terzo passo.

Giocare col genere nella piena libertà della prima e dell’ultima storia di John Doe, fumetto horror.

Appena John venne punito con la Prigione dei Generi Narrativi, chiesi subito di poter fare un racconto dell’orrore.
L’orrore di essere gli Ultimi, che in comune con i Primi hanno soltanto il privilegio di essere Unici e quindi Soli.
Una storia d’amore, fin dalla copertina. E una storia di zombi.
Ma anche un omaggio sincero al fumetto popolare italiano – a partire dall’inchino iniziale a Dylan Dog, di cui John Doe è stato per diversi motivi, figlio – che viene mostrato alla stregua di un mondo di morti viventi in cui, ad oggi, riescono a sopravvivere soltanto le icone ben riconoscibili di un imbattibile Cowboy, di una Ladra compagna di un ladro che non sbaglia un colpo, un Topolino, e un adolescente irrequieto, forse troppo preso dal suo ombelico (come troppi autori contemporanei) per pensare al resto.

Un sottotesto fin troppo celato, al servizio di una storia che raggiunge la sua conclusione lieta nella pace della fine.
Non nella ribellione che rifiuterebbe un diverso ordine delle cose, ma nell’accettazione di uno status nuovo.

Ai disegni: Federico e Marco. Due fratelli. Due geni assoluti. Due persone con cui vivo e lavoro da anni tra cinema e fumetti indipendenti.
Finalmente, la loro bravura, in edicola e a portata di tutti.

Quarto passo.

Lavorare a quattro mani, per la precisa volontà di farlo.

Ogni mia sceneggiatura di John Doe è stata supervisionata da Roberto.
Mi ha aiutato sui dialoghi, a volte ha migliorato una regia, altre ha eliminato inutili voci fuori campo, spesso ha lasciato le cose com’erano.

Poi c’è venuta voglia di lavorare insieme.

Come per Dylan Dog, le idee si sono rimbalzate da una parte all’altra. Lì l’abominio dei talent show, qui le acrobazie, centrali e periferiche, della pornografia.
Alla fine ne è uscita la nostra storia più comica e più romantica.
Abbiamo parlato di coppie, di incontri, di incomunicabilità, di controllo, di libertà, di amore – e quindi – di morte.
Lo abbiamo fatto di persona, per mail o al telefono, ridendo o scontrandoci sui vicoli ciechi ed esaltandoci per le idee quando una nuova strada annullava le precedenti.

Abbiamo riconosciuto, guardandoci bene, il meglio dell’altro e abbiamo provato a metterlo su carta.
Se ci siamo riusciti, o meno, è poco importante. A noi è servito.

Ai disegni: Flaviano Armentaro. L’unico che col suo stile dinamico, cartoon, sexy e stilosissimo, poteva dare corpo ad una storia simile rendendola sempre credibile e divertente. Un altro incredibile talento che dall’animazione e dal sottobosco fumettoso è approdato in edicola, dimostrando che la linfa nuova è ovunque intorno a noi. Bisogna soltanto riconoscerla.

L’ultimo passo.

Una nuova storia a quattro mani, perché le sfide grosse è difficile vincerle da soli.

Per le mie ultime parole su John Doe, ho scelto una storia di super eroi e di eroi super.
Una storia che, in linea con le velleità del genere, fosse epica, gigantesca, definitiva.
Una storia, quindi, che non sarei mai stato in grado di scrivere da solo.

Solo insieme a Roberto avrei potuto maneggiare questo tipo di materia narrativa senza bruciarmi le mani.

Dalla leggerezza comica e minimale della nostra precedente collaborazione, alla cupezza crepuscolare di Flettendo i Muscoli il passo è stato più breve di quello che ci si possa aspettare.
Volevamo parlare di eroi e abbiamo parlato di quelli che ci circondano tutti i giorni.

Abbiamo riflettuto sul nostro mondo e della direzione in cui il fumetto italiano sta puntando.
Abbiamo invocato il ritorno degli eroi perché Negazione è un nemico che non muore mai.
Si nasconde nelle righe di un editor che boccia un progetto perché troppo innovativo, nelle storie mai scritte per paura o per la stanchezza di un ennesimo rifiuto.
Nell’omologazione.
Nelle teste basse.
Nella rinuncia di voler cambiare il mondo.
Nello smettere di tentare.

Negazione è un nemico enorme ma si sconfigge semplicemente rialzandosi. Applausi, e dedica finale, a chi non si è ancora stancato di farlo.
E non si stancherà.

Ai disegni: Federico Rossi Edrighi alla sua prima prova come autore completo. Novantaquattro tavole di soluzioni grafiche sorprendenti, inedite, innovative. Zero scuola, puro stile. Una potenza e un controllo tali che neppure la più ignobile delle stampe è riuscita a mettere in ombra.

Valore aggiunto: i grigi di Sabrina Ariganello che hanno evocato, per noi, le suggestioni dei colori tipici dei comics.

Cinque passi con John.

Cinque copertine di Davide De Cubellis che hanno aggiunto agli albi un valore inestimabile a prescindere di qualsiasi cosa ci fosse all’interno. Cinque immagini che hanno fissato le parole in un momento, mostrandone il loro lato migliore.

—-

Tirando una linea scopro di aver parlato principalmente di cinema, padri, religione, psicanalisi, amore, solitudine, orrore, zombi, pornografia, supereroi e fumetti.
Che in effetti, in un modo o nell’altro, sono gli argomenti che maggiormente mi hanno accompagnato negli ultimi quindici anni della mia vita.

Tirando una linea scopro di aver ammazzato John quattro volte su cinque. Tutte, tranne la prima.
Che in effetti è un bel segno di insicurezza da parte di un autore che vuole riuscire a domare una creatura senza sentirsene all’altezza.

Tirando una linea scopro di aver fatto quello che faccio sempre, circondarmi della mia famiglia.
Collaborare con nuovi artisti senza dimenticare il legame coi miei fratelli. Che il fato ha voluto fossero anche le persone più belle, pulite e talentuose che io conosca.

Tirando una linea, infine, scopro di essere soddisfatto di ogni singolo momento di questa esperienza.
Che è più di quanto si possa sperare nel conseguimento della serenità.

Tra due mesi, il gran finale.

E pur sapendo quale sarà l’ultima mossa del nostro John, me lo godrò da lettore.

Che gioia.

Grazie, veramente, a tutti.

La domanda.

La premiata ditta Rossi Edrighi / Marini

la risposta.

E nelle immagini, oltre alla manifesta felicità di lavorare sotto il cocente sole d’agosto,  è rivelato, tra le righe, anche l’argomento dell’albo.

Buon bagno a tutti, stiamo lavorando per voi.



Valerio Schiti
è il disegnatore principale del settimo episodio della nuova serie di John Doe. E’ la prima volta che lavoro con lui e fino al momento di avviare questa collaborazione non ci eravamo mai né visti né sentiti. Ci siamo conosciuti lavorando insieme e devo ammettere che raramente mi sono trovato così bene con un collega.
Valerio è sveglio. Valerio è entusiasta. Valerio usa il cervello prima della matita. Valerio è bravo.
Il resto vedo di scoprirlo facendogli qualche domanda:

Ciao Valerio, sei il mattatore assoluto di questo numero. Ne hai portato a casa due/terzi delle tavole in tempi, diciamo così, non proprio rilassanti e senza scalfire minimamente la tua qualità. Com’è andata? Cosa vuol dire realizzare tutte queste tavole di un fumetto popolare da edicola, sapendo che già molti autori, prima di te (anche parecchio noti) hanno lasciato il segno con la loro interpretazione del personaggio?

Fai bene a chiedermi degli autori che mi hanno preceduto perchè molti di loro sono fra i professionisti italiani che ammiro di più.
Anche solo immaginare di raccogliere l’eredità di talenti del calibro di Riccardo Burchielli, Werther Dell’Edera o Matteo Cremona, solo per citarne alcuni, è una spada di Damocle davvero inquietante per un disegnatore alla sua prima “uscita lunga” in edicola.
Immagina la scena: campo medio, leggermente dall’alto, io gobbo che disegno e sopra la mia bella capoccetta la spada di Damocle… una bella immagine!
L’unico modo per superare lo stress delle prime pagine è stato pensare di realizzare un “mio” John Doe personale che considerasse i John realizzati precedentemente ma che in un certo senso fosse “diverso”.
Devo ammettere di essere stato facilitato in questa “opera di distrazione” per molte ragioni.
Innanzitutto perchè la testata è storicamente una delle più libere del mercato italiano. Sulle pagine di John Doe c’è sempre stato spazio per la sperimentazione sia grafica che narrativa, grande liberà di sintesi nel realizzare i tratti dei personaggi ed un’anomala tolleranza per l’impaginazione della tavola che non deve necessariamente seguire il consolidato stile bonelliano.

La seconda fortuna è il personaggio stesso di John, soprattutto in quest’ultima stagione ed in particolare in questa storia (e qui ti faccio i complimenti, caro Mauro) (Grazie! Lecchino). (Prego! Stronzo). (lecchino.) (Stronzo.)
Io stesso sono rimasto sorpreso nel verificare quanto fosse divertente disegnare un dio vanitoso, quasi metrosexual, con tutto il bagaglio di atteggiamenti, espressioni e dettagli di abbigliamento che porta con sè.
Inventare vestiti (Dior), scarpe (Paciotti), gioielli (ancora Dior) è stato il modo migliore per avvicinarmi al nuovo carattere di John e raccontarlo indirettamente al lettore.
Tra l’altro è stato fondamentale in questo tentativo l’appoggio di Vega, la mia ragazza, che mi ha introdotto ai sacri misteri del mondo della moda!
(n.d.M. “Vega Guerrieri” è la fortunata che ha rapito il cuore di Schiti. Ora. Seriamente. Aldilà di questo momento da Cento Vetrine, “Vega Guerrieri” è o non è il nome più cazzuto che abbiate mai sentito?)
Inoltre la storia che hai scritto mi ha permesso di soffermarmi sulla sua recitazione che passa da spavaldo a frustrato, da divertito a triste, da affascinante a spaventato: John Doe è un personaggio vivo, e in questa storia “psicanalitica” lo è più che mai!
La terza fortuna è stata la vagonata di citazioni che mi hai permesso di realizzare graficamente.
Oltre agli omaggi cinematografici come al maestoso Clint Eastwood, o letterari, come Douglas Adams, c’è stata la possibilità di sbizzarrirsi citando John Doe stesso!
In un’unica doppia tavola ho potuto provare a rappresentare la “storia” di John Doe, disegnandolo in tutte le sue reincarnazioni principali, tutte uguali ma necessariamente tutte diverse! Ho provato a ricordare ai lettori una stagione intera attraverso un “outfit” particolare o una posa. Che dire: uno spasso!



Tutte queste circostanze hanno contribuito a farmi dimenticare le responsabilità legate alla scadenza, all’eredità dei disegnatori che mi hanno preceduto e alla visibilità della testata e concentrarmi sul divertimento!
Spero davvero si sia divertito anche chi ha letto questo pagine, oltre a me che le ho disegnate!

Quando hai pensato per la prima volta che avresti fatto fumetti nella vita? E quali sono state le tue prime mosse in merito? Avanti su, non essere timida e parlaci di te!

Sinceramente io mi ricordo di aver disegnato praticamente da sempre, come un po’tutti i disegnatori!
All’inizio però non pensavo ai fumetti ma ovviamente ai cartoni animati perchè come molti miei coetanei ero e sono ancora oggi innamorato pazzo dei “robottoni” giapponesi!
Poi a dieci anni mi sono venuti gli orecchioni. Ecchissenefrega, dirai tu. Però in quell’occasione mia madre mi comprò il mio primo numero dei “Fantastici 4”, scritto e disegnato da John Byrne.
Quei disegni uniti in un mix letale con la febbre a 40 mi hanno folgorato! Da quel momento ho cominciato a seguire le testate della Marvel, l’Uomo Ragno in particolare, che mi ha educato quasi quanto i miei genitori!

Poi successivamente sono arrivati i grandi autori, le serie italiane e pochissimi manga. Ancora in seguito c’è stata la parentesi dell’architettura. Per tutto il tempo dell’università e per qualche annetto successivo alla laurea ero davvero sicuro che avrei fatto l’architetto.
Mi sono iscritto alla “Scuola internazionale di Comics” quando ero ancora convinto che le due passioni potessero convivere. Grosso errore! Il vecchio amore sopito per la narrazione a fumetti ha definitivamente schiacciato l’architettura. Comunque devo ammettere mio malgrado che le nozioni imparate in anni di università mi tornano utili molto spesso ed inoltre adoro disegnare riferimenti a quel mondo, come ad esempio le sedie Barcellona di Mies van der Rohe presenti in questo numero di John!

Hai nominato la Scuola Internazionale dei Comics. Molti di quelli con cui collaboro sono sono usciti da questo tipo di scuole. Ci dici a cova va incontro un ragazzo che decide di frequentarle? Pregi e difetti
.

Mi sento davvero di consigliare a chiunque voglia intraprendere una carriera nei fumetti di iscriversi assolutamente ad una scuola!
La prima elemento che bisogna considerare è che quello del fumettista è un lavoro.
Sembrerà banale ma molte persone confondono il fumetto con un gioco, un hobby, o si focalizzano maggiormente sotto il punto di vista artistico del mezzo senza considerare, anche e soprattutto, che si tratta soprattutto di un lavoro con regole, pressioni, contratti, collaborazioni, scadenze e responsabilità. Una scuola di fumetto, quando è seria, ti prepara ad affrontare questo mondo impostando orari, consegne e revisioni e controllando costantemente la qualità del tuo lavoro. E questo credo vada riconosciuto, col rischio di sembrare un musone pedante!
Secondo punto a favore delle scuole è quello di poter imparare il mestiere attraverso le esperienze di veri professionisti. Oltre ad imparare da loro nozioni necessarie ed obbligatorie come anatomia, prospettiva, narrazione e tecnica c’è anche tutto il bagaglio di consigli che si possono ottenere solo attraverso la conoscenza diretta di chi fa davvero questo mestiere.
Terzo punto a favore delle scuole è che i professori ti spingono costantemente a leggere fumetti ed a leggerli in maniera intelligente, valutando narrazione, stile, anatomia… Anche questo sembrerà banale ma secondo me non si possono disegnare fumetti se non si leggono fumetti. Dopo una prima lettura fatta per divertimento, un insegnante può stimolare a vedere una storia da una prospettiva più tecnica che da soli non avremmo considerato per niente o quantomeno solo in parte.
Poi magari arriva il fenomeno che in solitaria, nella sua cameretta, come un piccolo Leopardi dei fumetti, si mette lì e diventa un grande autore… per carità, è possibile, però è rarissimo. Nella maggior parte dei casi è necessaria una guida. Io ti giuro che il pensiero più frequente durante le lezioni è stato “Ah, vedi, io non c’avrei mai pensato!”.
Per quanto riguarda i punti a sfavore non saprei. Sinceramente l’unico aspetto negativo che mi viene in mente è il prezzo. Seguire un buon corso di fumetto costa e costa parecchio e non tutti possono permetterselo. E questo è un vero peccato.

Ho visto che stai realizzando delle prove per la Marvel. Cosa pensi che possa darti il fumetto americano rispetto a quello italiano? E viceversa, quali pensi siano i punti forti del fumetto italiano rispetto a quello d’oltreoceano?

Sarei il più grande degli ipocriti se ti dicessi che non sogno di lavorare per il mercato americano!
Te l’ho detto, quelli americani sono i fumetti del mio “imprinting” per cui mi sento legatissimo a certi personaggi, in particolare a quelli Marvel.


Però il fumetto italiano in questi anni sta avendo la sua rivincita su quello anglosassone o statunitense. Dopo l’ondata di film tratti dai personaggi dei comics americani il pubblico si è abituato ad una narrazione a fumetti più cinematografica fatta di inquadrature che simulano i movimenti della macchina da presa. Penso alle carrellate, alle zoomate al taglio della vignetta più cinematografico ed alla tendenza ad evitare di “sbordare”, cioè di far uscire il personaggio dalla vignetta e soprattutto una maggiore cura nel rappresentare le location. Se questa è una novità nel mercato americano (salvo alcune pregevoli eccezioni) di certo non lo è in quello italiano! Le pubblicazioni bonelliane sono cinematografiche ante litteram e ci sono autori grandiosi, per esempio Gianni De Luca, che hanno usato impaginazioni da film ancora prima che si pensasse a realizzare film tratti dai fumetti. Probabilmente è proprio grazie a questa tradizione che tantissimi autori italiani stanno sfondando in Inghilterra e negli Stati Uniti. Guarda caso molti di loro sono passati anche per le tavole di John Doe!

Con cosa lavori? Avanti, rivela i trucchi del mestiere.

Non vi sorprenderò. Carta, matite, pennarelli e pennelli sono le uniche cose che uso, anche se talvolta ripiego sul primo strumento che mi capita sotto mano. Non c’è una regola. Faccio piccole incursioni digitali e piccole cose “old school” come spugna o pennello secco. L’importante è il risultato finale!

Diciamo che il processo completo passa per varie fasi.
Fase uno: lettura della sceneggiatura.
Fase due: panico! Oddiocomelafaccio?!!!!.
Fase tre: ovvero lo zen e l’arte del “thumbnail”. Mi calmo e mi butto giù degli schizzetti brutti ma brutti per organizzarmi la tavola (alcuni fra quelli del numero sette li ho anche pubblicati sul mio blog).

Fase quattro: mi stampo la squadratura digitale della tavola e butto giù le matite.

Fase cinque: china, pennarello e tutta la robaccia che trovo sul tavolo.

Fase sei: scansione e impaginazione definitiva, più un minimo di post-produzione per effetti sonori, testi e pulitura di qualche imperfezione.
E poi basta, sono banalissimo… Ah, tra l’altro mi scarico un botto di foto come riferimento per gli ambienti e i personaggi! Mi piace cercare i vestiti, le macchine, le location… però odio ricalcare! Secondo me rendono le inquadrature troppo statiche. Documentarsi si, copiare no!

A questo proposito facciamo godere i lettori con un piccolo aneddoto.
Mi dicono che dovrò fare John Doe 07. Vado nel panico, poi mi calmo e poi mi metto a cercare i riferimenti che suppongo mi serviranno. Tra le altre cose mi scarico tonnellate di foto di New York. Poi inizio a disegnare… mi faccio le prime tavole… vado avanti per un po’… e poi tu decidi di sganciare la mina: siamo a Londra! Ad onor del vero, quando ti ho raccontato delle foto tu mi hai anche detto che non faceva nulla e avremmo potuto cambiare ambientazione quando invece avresti potuto dire: “Muori, maledetto, lo sceneggiatore sono io e decido io!”, ma mi hai dato una chance per mettermi a mio agio.
E io non me lo dimentico!

E adesso svela i tuoi maestri.

Di maestri ce ne sono un infinità! Dividiamoli in due categorie: quelli consapevoli e quelli inconsapevoli.

Quelli consapevoli sono quelli che ho avuto come insegnanti a scuola. Sono stati tutti fondamentali ma dei ringraziamenti particolari vanno a Saverio Tenuta, a David Messina, a Roberto Ricci, a Paolo Grella e a Bruno Letizia. A loro sono particolarmente debitore!

Quelli inconsapevoli sono gli autori a cui mi sono ispirato. E ti assicuro che sarebbero davvero tantissimi da elencare! Ho amato Mike Mignola e Alan Davis, Brian Hitch e John Romita Jr. Fra gli italiani “classici” decisamente Gianni De Luca e Sergio Toppi. Fra le “novità” straniere abbiamo David Lafuente, Sean Gordon Murphy, Zach Howard, Stuart Immonen ed Eric Canete. Fra le “novità” italiane Riccardo Burchielli, Matteo Cremona, Matteo Scalera, Sara Pichelli… e anche basta che ho rotto le palle! E sicuro come la morte mi sono scordato qualcuno… spero non si offenda!

Per finire, regalami un film da vedere. Un libro da leggere. Un disco da ascoltare. Un posto da visitare.

Il film è “C’era una volta in America”, per Sergio Leone.

Il libro è “American Tabloid”, perchè lo sto leggendo adesso e me ne sto innamorando.

Il disco è “Ok Computer” dei Radiohead, perchè li ho amati e li amo ancora!

Il posto è Napoli, perchè è fantastica, perchè lì ho trascorso alcuni giorni bellissimi con Vega e perchè lì ci incontreremo presto e ti farò i complimenti di persona per la nomination al Micheluzzi!

Ecco. Questo, e parecchio altro, è Valerio Schiti.
Seguitelo sul suo blog. Non perdetelo di vista.
E non venitemi a dire che non vi avevo avvisati.

P.s.
Vi lascio con una chicchetta: le prove che fece Valerio per John Doe:

Accostatele a quelle dell’albo attualmente in edicola e vedrete quant’è cresciuto rispetto a queste, che già erano parecchio sopra la media!


John Doe nuova serie #1 – Recensione.

26 ottobre 2010 da Mauro

Soggetto: Bartoli & Recchioni
Disegni: Riccardo Torti
Copertina: Davide De Cubellis

E’BBBBBBBBEEELLIISSSSSSSIIIIMOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!

Bhè? V’aspettavate una recensione obiettiva?

Ho tra le mani il primo mattoncino di un muro che stiamo tirando su giorno dopo giorno e v’aspettavate un giudizio onesto e distaccato? Ok. Eccovelo.

Roberto pienamente a suo agio col personaggio che più gli assomiglia, si scrutano, si osservano, si colpiscono e si abbracciano, pagina dopo pagina, tra pre e post inserendo tanta, tanta sostanza.

Riccardo alle prese con la sua opera più complessa e matura con un segno che si dimostra in continua crescita e con molto da dire.

Davide che, primo tra tutti, rompe il ghiaccio verso il lettore. Si presenta. Si, sono io, a sostituire e rilanciare il nuovo. Davide che prende l’ansia da prestazione e la mette a cuccia. Davide che tra prima e quarta di copertina mostra a tutti chi è e chi sarà.

E il prossimo sarà del maestro Lorenzo.

E poi il mio.

cazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzo
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cazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzocazzo

cazzo.

Qualche giorno fa, sulla mia bacheca Fb, compare il seguente messaggio: “Spero tanto che gradirai l’omaggio”, firmato da Syd Chino Barrett, un lettore di John Doe col quale ogni tanto ho scambiato due chiacchiere.
Allegato, c’era questo video:

Inutile dire che l’inaspettato omaggio mi stupì non poco.
Avendo a disposizione soltanto una semplice immagine promozionale, Syd era riuscito a cogliere in pieno lo spirito di un teaser e a musicarlo in modo molto professionale.

Soddisfatto del risultato, e del positivo riscontro, Syd ha “animato” e musicato con notevoli dosi di ingegno, anche gli altri tre poster.
Ecco il risultato:

E a questo punto, oltre a ringraziarlo per il gran lavoro svolto, gli ho chiesto qualcosa in più sulla sua attività ed ecco aprirsi il vaso di pandora.
Syd mi gira una serie di link legati al progetto musicale cui dedica anima e corpo.

Eccoli anche per voi: cliccando QUI potrete saperne di più anche voi perché finirete direttamente sulla pagina ufficiale.
QUI invece c’è la pagina Facebook.
E QUI potrete ascoltarvi il disco precedente.

Mi racconta che: “Il progetto QualooD fu fondato da chino.K e Kine nel 2008, dopo essersi conosciuti durante un evento multisensoriale di musica elettronica, installazioni audio/video del circuito undeground romano. Nascono con l’intento di creare una sorta di fusione tra le musiche ambient-dark di chino.K e i ritmi spezzati e sincopati di Kine. Dal 2009 vengono affiancati alle tastiere e sintetizzatori da Alaska, elemento fondamentale per la parte melodica, che influenzerà il sound del gruppo nelle loro ultime produzioni. All’attivo un EP (Alphabetic Sound Code) e un disco (The 14’s Soundtrack) che ha riscosso un discreto successo sul web superando i 5.000 download gratuiti. Dopo più di un anno di lavorazione finalmente è pronto il nuovo disco (anche questo completamente autoprodotto), “A Nice Chilled Plate of Atmosperic Beats”, la cui uscita è prevista per Gennaio in diversi formati gratuiti e non, infatti per questo disco è prevista anche la stampa su CD, anche se è un supporto che sta andando un pò in disuso.”

E conclude il tutto scrivendomi: “Essendo pronto il disco nuovo, mi sto buttando da solo in diversi progetti musicali e stili differenti, cercando le più svariate collaborazioni con altri musicisti, continuando ad utilizzare comunque il nome QualooD, che altri non è che un contenitore da riempire con nuovi elementi. E da questo è l’idea di fare un teaser partendo da un poster di John Doe, postato sul tuo blog, anche se qui non mi sono avvalso della collaborazione di altre persone, sfruttando le pochissime conoscenze in campo di video editing, ma il DIY è il concetto che sta alla base di tutte le mie conoscenze, e in alcune cose purtroppo si vede fin troppo che manca la professionalità.”

E io in queste parole, ci ritrovo belle similitudini con l’approccio di alcune tra le persone più geniali con cui ho avuto la fortuna di lavorare.
In bocca al lupo, Syd.

JOHN DOE #13 – nuova serie –

– “APRI GLI OCCHI, JOHN.” –

Primo di quattro poster promozionali.
I prossimi tre saranno incentrati sugli altri personaggi che compariranno, a sorpresa, nella storia.

Intanto, iniziate a rifarvi gli occhi sbirciando in anteprima lo splendido lavoro fatto da Federico & Marco.

Cliccate, e shcaricate! Cliccate e shcaricate!
Bravi i giovinotte, che shcarican’!

Mauro X-XL!!!

4 giugno 2013 da Mauro

xl

A differenza di quel che potete immaginare, con questo post non voglio comunicarvi di aver fieramente oltrepassato la barriera dei 110 kg, ma di aver avviato una collaborazione con lo staff di XL, il magazine di Repubblica che si occupa di musica, cinema, fumetto, spettacolo e cultura generale, diretto da Luca Valtorta.

I primi frutti di quest’incontro sono un’intervista all’ex pornostar (e attuale icona pop) Sasha Grey, e la recensione del recente concerto tenuto da Daniel Johnston e la Bluemotion Band all’Angelo Mai Occupato.

Il che dovrebbe già lasciar intendere una mia certa predisposizione per le personalità borderline.

Foto!

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L’incontro con Sasha Grey è stato fortemente voluto da me e Roberto Recchioni perché, sapendola a Roma, non potevamo perdere l’occasione di regalarle l’albo di John Doe che scrivemmo a quattro mani un’annetto e mezzo fa e che la vede comparire, oltre che nella copertina splendidamente disegnata da Davide De Cubellis, anche nel ruolo di antagonista particolare di John Doe.

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Le sue fattezze cartoon, interpretate dalla mano di Flaviano Armentaro hanno divertito così tanto la pupilla di Rocco e Terry Richardson che c’ha tenuto a farsi tradurre e interpretare tutta la sequenza che la vede protagonista da me e Roberto che ci alternavamo alle voci.
No, non ve lo dico chi faceva la femmina.

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Da quella serata Roberto ne ha tratto un articolo che ne analizza il percorso, io un’intervista e un piccolo video, Meme degli scatti fotografici.
Dell’intervista vi riporto giusto uno stralcio, il resto lo trovate nel numero in edicola ORA!

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“Hai dichiarato spesso che per te recitare equivale a sparire. Considerato che non hai firmato nessun lavoro col tuo vero nome, mi parli un po’ del tuo rapporto con la tua identità?”

“In  qualsiasi aspetto della mia vita sono totalmente sincera e onesta, anzi, negli ultimi anni ho mostrato talmente tanto di me da arrivare a sentirne la fatica. Rendere la gente felice (anche dal punto di vista sessuale, dai!) e vedere l’affetto di chi ti cerca, mi ripaga certamente di tutto, ma la recitazione è l’unica attività in cui io sono presente ma allo stesso tempo posso essere completamente qualcun altro.
Nella recitazione non ci sono errori, è il personaggio che interpreti che sta sbagliando, non tu. Tu puoi solo migliorare.
Io sto ancora aspettando il ruolo che mi lascerà sparire completamente ma in una delle ultime cose che ho fatto mia sorella mi ha guardata e mi ha detto: “Ma quella non sei te!” Ottimo! E’ esattamente quello lo scopo. Essere completamente irriconoscibile.”

Gli scatti realizzati da Martina (e postprodotti nelle precedenti due foto di Sasha da R. Amal Serena!)  li vedete a corredo di questo post, mentre il video che mostra Sasha ai piatti della consolle e intenta a chiacchierare con noi mentre Rrobe la disegna, eccolo qui (sparatevelo a tutto volume e in HD):

Per quanto riguarda Daniel Johnston invece, ammetto che conoscerlo subito dopo il suo concerto e scambiarci quattro chiacchiere è stata una grossa emozione per me che lo seguo da anni.

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Per me che mi commuovo ogni volta che ascolto Life in Vain.

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Per me che riguardo almeno una volta l’anno “The Devil in Daniel Johnston”.

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Per che che vi giuro, non c’è posto nel mio cuore per un post in più su Facebook con Daniel Johnston alle quattro del mattino.

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Cliccando QUI potrete leggere il resoconto di quella serata, ma non fatevela bastare.
Ascoltate Daniel Johnston. Scoprite che vita si nasconde dietro a quei testi sghembi e a quella voce sgraziata. E andatelo a vedere dal vivo.
Mi ringrazierete.

 

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Le persone che conosciamo da tanto tempo sono quelle su cui ci sbilanciamo meno. Quelle a cui facciamo i complimenti per ultimi. Quelle a cui diamo pareri ponderati. Quelle con cui rimandiamo perché tanto lo facciamo la prossima volta. E’ scontato.

Alessio Danesi è stata la prima persona a parlarmi dell’ipotesi di una trasmissione dedicata ai personaggi iconici del fumetto popolare italiano. E’ stata la prima persona a parlarmi di Fumettology. E’ stata la persona che mi ha chiamato per coinvolgermi nella puntata dedicata a John Doe. E’ stata la persona che mi ha intervistato.

Ma siccome io e Alessio ci conosciamo da quando la nostra età aveva come prima cifra un bell’uno e con lui ho condiviso viaggi, serate, concerti e santi stefani, quando ho realizzato un’intervista agli autori di Fumettology ho parlato con tutti tranne che con lui.

Bravo stronzo amico!

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E’ per questo che prendendo la palla al balzo della puntata di Fumettology che andrà in onda stasera e sarà dedicata al mio personaggio preferito di sempre, ne approfitto per scambiare quattro chiacchiere proprio con lui.

Da quando ci conosciamo siamo accomunati da una caratteristica ricorrente (o una maledizione, vedi tu!) ossia quella di trovarci a fare lavori sempre nuovi, sempre diversi. Io a cavallo tra un medium e l’altro per poter raccontare, tu donandoti anima e corpo al fumetto per attraversarne tutte le professioni della filiera produttiva. Sei stato sceneggiatore, traduttore e managing editor e direttore editoriale, seguendo un percorso che dal tuo paese d’origine ti ha portato alla ribalta in Italia, poi in Europa e adesso alla conquista del mondo. Fossi uno di quegli scienziati pazzi della E.C. Comics adesso non ti resterebbe che distruggerlo ma forse hai dei piani diversi. Raccontami un po’ di questo percorso. Di come hai iniziato e di come hai, via via, modificato i tuoi obiettivi fino al raggiungimento della tua posizione attuale.

Sono il direttore editoriale della RW-Lion, che è la casa editrice di Batman e Superman in Italia, e ne decido la programmazione editoriale. Collaboro inoltre con XL di Repubblica e con Fish-Eye. Ho sceneggiato fumetti e fotoromanzi. Ho curato collane di allegati editoriali come Maestri del Fumetto e Batman La leggenda. Ho letto più fumetti di quanto sia umanamente possibile.

A questo aggiungici una certa irrequietezza: mi piacciono tante cose e credo che sia possibile vivere (nel senso di “guadagnarsi da vivere”) delle passioni che si hanno. Oltre al fumetto, adoro il cinema, la cucina, la politica. Amo le storie e credo di avere la capacità di trovarle. Ho sempre sentito l’esigenza di comunicare agli altri ciò che mi piace. Ho un approccio futurologico. Analizzo quello che faccio e provo a capire dove mi potrebbe portare tra due, tre, cinque, dieci anni. Non vivo tranquillamente l’oggi. Diciamo che faccio l’esatto contrario di quello che consigliano i due più importanti filosofi dei nostri tempi, Yoda e John Lennon.

 

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Probabilmente è proprio perché hai esplorato il fumetto attraverso i suoi ambiti molteplici che hai deciso che fosse arrivato il momento di poterlo raccontare. Cosa c’è alla base di Fumettology?

Qualcuno ti ha mai raccontato la vera storia di G.L. e Sergio Bonelli o delle Giussani? Cosa succedeva a Crepax nella Milano degli anni 60? I legami tra l’ebraismo e Max Fridman? Oppure le battaglie sociali di Lupo Alberto e i dolori del giovane Sclavi? Hai mai visto uccidere la fantascienza dal futuro in Nathan Never? Io tutte queste storie le ho ascoltate, negli anni, da autori, redattori, persino dai lettori e le ho raccolte. Mi è sembrato naturale cercare di convincere una società di produzione a realizzare un programma tv non sulla “Storia del fumetto”, ma sulle storie e le persone che vivono tra una pagina e l’altra, cercando di far riscoprire all’Italia non il mito del fumetto, ma il mito del fare fumetto.

Com’è nata la tua collaborazione coi ragazzi della Fish-Eye?

Sono cresciuto assieme a uno dei soci di Fish-Eye e regista di fumettology, Dario Marani. Abbiamo cominciato a leggere fumetti e a vedere film praticamente insieme. Poi ognuno di noi si è scelto ciò che gli piaceva di più e lo ha trasformato in lavoro. Parliamo di questo progetto da anni, facendo scalette, selezionando personaggi e autori e, appena ci sono state le condizioni, siamo partiti avendo al nostro fianco due compagni di viaggi e alleati straordinari, Clarissa e Alessio Guerrini.

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Durante la realizzazione delle puntate sei entrato in contatto con maestri del fumetto italiano che probabilmente già conoscevi di persona e che forse hai visto attraverso una luce nuova. Quali sono le figure che ti hanno colpito maggiormente e per quale motivo?

Stare con ognuno di loro per tre ore o più (perché ogni intervista tanto è durata!!!) mi ha fatto capire una cosa. Il popolo dei fumettisti ha una grande umanità e riesce come pochi a comunicarla attraverso il proprio lavoro. E’ stata una grande soddisfazione avere la consapevolezza di fare parte di questa tribù. Ho adorato Claudio Villa, perché è la persona di talento più umile che io abbia mai incontrato. Giuseppe Palumbo, perché sa farsi volere bene (anche dalla telecamera). Uno di quelli con il cuore al posto giusto. Gallieno Ferri, perché mi ha fatto capire la differenza tra la leggenda e la storia. Tra quelli che non conoscevo: la redazione di Lupo Alberto, veri custodi della fede del Lupo blu e Antonio Serra, con il quale mi sono accorto di condividere lo stesso approccio critico al fumetto e al suo mondo. Ah… e Alfredo Castelli. Se Sergio Bonelli è (è, non era) il padre del fumetto italiano, Alfredo ne è sicuramente lo zio! Un esempio per chi vorrebbe migliorare questo mondo.

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Stasera andrà in onda la puntata legata al mio personaggio dei fumetti preferito: Zagor. A parte invidiarti a bestia per aver trascorso tutto quel tempo con lo staff realizzativo e aver avuto modo di vedere il maestro Ferri all’opera direttamente al suo tavolo di lavoro, mi racconti com’è stato approcciare Zagor e il suo mondo? Che impressione vi hanno fatto i suoi autori? Credo si percepisca, molto più rispetto ad altre icone del fumetto italiano, che chi fa parte di quello staff si sente orgoglioso di portare avanti una missione insieme ad un gruppo di amici. Hai avuto la stessa impressione anche tu?

Ti capisco, anch’io invidio me stesso! Non mi sembra possibile avere partecipato a questa Avventura!

Quello che dici è perfettamente condivisibile: non puoi lavorare a Zagor senza essere infatuato di Zagor. Devi essere un devoto per approcciarti al mito del Re di Darkwood. Zagor è forse l’unico fumetto italiano popolare prima di Dylan Dog ad avere più piani di lettura: può essere apprezzato da un bambino come da un adulto. Non pretende controllo e consapevolezza da parte del lettore: se vuoi vedere Zagor “solo” come un bravo ragazzo che vaga nella foresta di liana in liana, puoi farlo. Ma se vuoi approfondire davanti a te di dispiegherà un mondo! Faccio un esempio: Zagor ha molto successo nei paesi che hanno combattutouna guerra civile (Italia, Balcani, Turchia): pensate sia un caso? Provate a pensare al ruolo dello spirito con la scure come pacificatore delle varie etnie di Darkwood e unite i puntini.

Zagor è come i Simpsons! Anzi, i Simpons sono come Zagor! è un personaggio che solo apparentemente può apparire assemblato in maniera casuale da Nolitta sfruttando le sue suggestioni adolescenziali. In realtà è frutto di un approccio postmodernista in cui tutto DEVE essere frullato assieme. Orrore, dramma, avventura, super-eromismo, conflitti, persino politica, Nolitta riusciva a nascondere in quelle pagine tutto quello che una mente irrequieta come la sua riusciva a intercettare. Non ci vuole solo passione per scrivere e disegnare oggi Zagor, bisogna esserci nati. Nella puntata si capisce una cosa degli autori zagoriani: da Ferri a Boselli, a Burattini, a Verni e Laurenti, tutti, TUTTI, hanno un sincero rispetto per Zagor. Puoi parlare male di Dylan Dog, dicendo che è insicuro e pieno di fobie, e puoi criticare Tex, perché molti lo vedono come uno sbirro un po’ troppo autoritario. Ma non puoi parlare male di Zagor. Se lo conosci, non ce la fai. è più forte di te. Perché Zagor è un personaggio sincero. Vero.

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Nell’episodio viene ribadita l’attualità di un personaggio come Zagor che fa del suo postmodernismo originale un punto di forza assoluto che gli permette di non invecchiare e risultare sempre fresco (laddove il postmodernismo di John Doe è allo stesso tempo causa della sua vita e della sua morte). Nel Tom Strong di Alan Moore ho riconosciuto, trasposto nel ventunesimo secolo, quella spinta iniziale di Nolitta nel far coincidere, in un unico calderone, tutte le suggestioni della narrativa alta a braccetto con quella a buon mercato, senza distinzione alcuna tra cinema, fumetto e letteratura. Qual è la tua opinione in merito riguardo al personaggio e alle sue origini?

All’inizio, Zagor nasce perché Nolitta, essendo non solo un appassionato di fumetti, ma anche un appassionato di disegnatori, NON vuole assolutamente lasciarsi scappare l’occasione di lavorare con un giovane maestro dell’epoca: Fergal/Ferri Gallieno. Bonelli crea il personaggio e poi quasi lo abbandona alle mani sapienti di Ferri. Passato qualche tempo, Bonelli riprende il personaggio e ne ricomincia a scrivere le storie. Come se avesse voluto cominciare la sua avventura zagoriana, solo una volta pronto. Nonostante l’inesperienza, però, Nolitta aveva già compiuto scelte importanti nell’economia del personaggio che gli avrebbero consentito di NON avere problemi a scriverlo. Aveva infatti avuto l’intuizione di creare un mondo assolutamente libero da vincoli in senso assoluto (perdonami la ridondanza). E alla fine ha fatto di Zagor un alfiere del POP.

Zagor è Pop quanto Lansdale, Newman, Pratchett, ma prima della nascita di tutti questi straordinari scrittori.

Nolitta decide di inserire in Zagor tutto ciò che adorava in un collage narrativo che è anche un monumento alla cultura di uno degli intellettuali più importanti che la nostra nazione abbia mai avuto. E secondo me oggi Zagor deve raccontare ciò che piace ai suoi autori, che sono anche i suoi primi lettori, in un gioco di specchi continuo.

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C’è una puntata di Fumettology che ti sta particolarmente a cuore?

Diabolik e Zagor. Sicuramente. Tutte e due le puntate riescono a stabilire un legame tra il mondo reale e quello del fumetto.

Entrambe hanno poi una caratteristica comune: riescono a comunicare tutta l’umanità e la complessità del nostro mondo di carta. Io tendo ad avere un approccio militante alla cultura del fumetto e spero che questo programma televisivo riesca ad ampliarne un po’ la percezione, e credo che, con le puntate di Diabolik e Zagor, ci siamo riusciti perfettamente. Per me era importante parlare di fumetti in televisione nei termini in cui Fumettology lo sta facendo.

L’icona che è rimasta fuori e che avresti voluto con tutto te stesso?

Zanardi. Voglio molto bene al lavoro di Pazienza e sono amico di Marina Comandini. Sarebbe stato bello fare una puntata su Zanna, Colas e Petrilli. Anche se, secondo me, è tempo di realizzare proprio una serie televisiva su Zanardi, e non solo una puntata su Fumettology!

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Condivido. Anche se ambientandola oggi, nei licei italiani, io per il ruolo di Zanardi sceglierei UNA adolescente.

E su questo pensiero, vi ricordo che stasera, per voi fortunelli che siete in Italia, alle ore 22.50 andrà in onda su Rai 5 la puntata di Fumettology dedicata a Zagor.

Guardatela e innamoratevi anche voi di questo personaggio senza tempo.

Questa sera andrà in onda la prima di dieci puntate che comporranno un’intera trasmissione completamente dedicata al fumetto italiano.

Trenta minuti in cui verranno puntati i riflettori su autori ed editori che riveleranno cosa si nasconde dietro alla nascita di fumetti come Tex, Valentina, Dylan Dog, Max Friedman, Nathan Never, Lupo Alberto, Martin Mistére, Diabolik, Zagor e John Doe e come si passi dalle idee, alla realizzazione delle pagine, fino alla vendita in edicola.

Solo a scriverne mi si bagnano gli occhi, e le lacrime di commozione che piovono copiose creano rigagnoli d’amore per il pianeta sporco della tastiera.

E allora chiamo Clarissa Montilla, Alessio Guerrini e Dario Marani, le tre anime e il cuore dietro a tutto il progetto (realizzato grazie al contributo, la consulenza e la competenza di Alessio Danesi della RW-Lion Comics) e ne esce una bella chiacchierata in cui il trio che compone la Fish-Eye Digital Video Creation fa luce su alcuni aspetti che già hanno cominciato a interessare tanto i fan quanto gli addetti ai lavori.

Leggetevela.
Potrete farlo anche guardandoli negli occhi.

 

La prima puntata di Fumettology sarà trasmessa in televisione questa sera ma la sua avventura è iniziata diverso tempo fa. Mi parlate di come è iniziato tutto? Come mai avete scelto di parlare di fumetto e di parlarne in questo modo?

Alessio: Fumettology debutta oggi su Rai 5, ma, come dici tu, Mauro, l’avventura è davvero iniziata diverso tempo fa! Un programma sul fumetto italiano era nei nostri desideri e nelle nostre intenzioni già da anni, ma per qualche strana ragione la tv non è molto propensa a parlare di fumetto. Abbiamo incontrato delle resistenze e a volte anche del palese disinteresse, finchè non abbiamo trovato un canale illuminato come Rai 5 che ha capito le potenzialità dell’argomento. Perchè abbiamo scelto di parlare di fumetto? La risposta è: perchè no? Il fumetto, nel nostro come in altri Paesi, ha una grande storia e anche un grande avvenire. E’ qualcosa che accomuna diverse generazioni e diversi strati sociali, tra tradizione e rinnovamento continuo. Ha la stessa dignità del cinema e della letteratura. Quindi perchè non parlarne e non svelarne il così detto “dietro le quinte” per farlo conoscere meglio?

Clarissa: Io personalmente credo che alcuni fumetti potrebbero essere studiati nelle scuole e sarebbero un ottimo strumento di apprendimento, come i Promessi Sposi o altri grandi romanzi, perchè sono portatori di valori, di storia e di storie e perchè, come direbbe Manzoni, hanno saputo unire “l’utile al dilettevole”. Abbiamo scelto di raccontare alcuni dei più importanti personaggi a fumetti italiani cercando di non tralasciare nessuno degli aspetti possibili. Fumettology è, però, innanzi tutto, un programma immaginato per tutti, non solo per gli appassionati di fumetto, quindi alla nostra prima idea – più di nicchia e più difficile da far passare in tv – di parlare dei mestieri del fumetto, trattandone uno in ogni puntata, siamo passati al racconto dei personaggi. Di fatto la sostanza non cambia: in ogni puntata ci sono due capitoli – Nero su Bianco e L’Avventura – che parlano effettivamente di due mestieri imprescindibili nel fumetto: il disegnare e lo scrivere; ma ogni capitolo è impregnato dei mestieri del fumetto visto che a parlare sono i professionisti stessi. E’ solo una questione di prospettiva!

La scelta della decina di personaggi raccontati. Attingendo a un patrimonio sterminato come quello del fumetto italiano, immagino non sia stato facile sceglierne soltanto dieci. Com’è andato il toto-personaggio? Potete raccontarmi qualche aneddoto, qualche preferenza, qualche clamorosa esclusione?

Dario: Non è stato facile raggiungere una “rosa di prescelti” per queste dieci puntate. Quando abbiamo avuto la nostra lista completa sapevamo che, tra i lettori e gli appassionati, ne avremmo scontentato qualcuno, ma questo sarebbe stato inevitabile in ogni caso: da qualche parte bisognava cominciare e le puntate erano dieci, non di meno non di più! Come abbiamo ripetuto altre volte, ci sono stati tanti personaggi a cui abbiamo dovuto rinunciare, per questione di opportunità o per questione di logica narrativa. Quando si mette su una produzione per un programma tv bisogna anche fare i conti con la realtà, non solo con la propria passione o con la voglia di parlare di un argomento. Noi siamo molto soddisfatti dei “nostri” dieci personaggi: sono tutti personaggi di grande statura e di ognuno di loro era giusto parlarne e dedicargli una puntata del nostro programma. Quello che non volevamo era parlare solo del fumetto d’autore o solo del fumetto popolare: volevamo trattarli entrambi e dare ad entrambi pari dignità come è giusto che sia, senza falsi intellettualismi. Molti ci hanno scritto chiedendoci perchè non abbiamo parlato di Corto Maltese o di Pazienza o di Alan Ford o della Disney o di altro ancora… se avessimo invece escluso Tex o Valentina, qualcuno, ora, sarebbe qui a chiederci perchè non sono loro nella rosa delle dieci puntate! Quello che ci piace pensare è che questa edizione di Fumettology sia solo una prima serie, speriamo che ce ne siano magari una seconda e anche una terza per poter recuperare gli “appuntamenti rimandati” con altri grandi personaggi!

E’ stata una produzione del tutto autonoma o la Rai c’ha messo lo zampino in termini contenutistici e formali?

Clarissa: Come accennavano prima sia Dario sia Alessio, la Rai non ci ha “messo lo zampino”, anzi, ci ha dato una grande opportunità che sino ad oggi ci era stata negata: portare in tv un intero programma sul fumetto italiano. E’ ovvio che la tv, come il cinema e l’editoria in generale, risponde a delle regole e a delle necessità che noi non abbiamo mai subito più del necessario, tanto da uscirne frustrati. Fumettology è il perfetto equilibrio tra ciò che abbiamo potuto fare e ciò che abbiamo voluto fare in piena libertà editoriale, come è giusto che sia.

Il fumetto è un’arte che, a differenza del cinema e della tv, non è in movimento. Come avete affrontato questo divario tra i due mezzi?

Dario: Quello che in assoluto non volevamo era snaturare il fumetto privandolo delle sue peculiarità. Far, ad esempio, interpretare brani di dialoghi da attori da apporre sulle tavole disegnate è una cosa che abbiamo scartato sin dal primissimo momento. Ci siamo invece concentrati sulle tavole stesse e sulla loro animazione: un’animazione che, dal mio punto di vista, è giusta sia per la tv sia per il fumetto perchè offre allo spettatore la possibilità di “viaggiare” all’interno delle tavole e penetrare e sprofondare nel disegno, che è esattamente quello che accade durante la lettura di una storia o di un albo a fumetti. Abbiamo cercato di restituire una suggestione che potesse essere valida per tutti, senza arrogarci il diritto di aggiungere elementi a ciò che già si presenta perfetto di per sé. E’ stato un lavoro lungo e impegnativo ma credo che abbia dato i suoi frutti: non è invadente ed è, in qualche modo, “universale” perchè non pretende di interpretare ma anzi è volto all’esaltazione delle tavole e dei disegni stessi. Non le abbiamo contate, ma a memoria, posso certamente calcolare che sono state animate oltre 1000 tavole!

Fish-Eye: Clarissa, Alessio, Dario. Come vi siete incontrati, quali sono stati i vostri percorsi personali, cosa avete costruito insieme e quali sono i vostri prossimi obiettivi.

Clarissa, Alessio, Dario: Ci fa piacere che tu ci faccia questa domanda ma non è affatto facile rispondere in poche parole! Quello che possiamo brevemente dire è che ci siamo conosciuti lavorando su altri progetti assieme, prima di fondare la Fish-Eye Digital Video Creation. Dopo un certo periodo di lavoro assieme e di reciproca stima, abbiamo capito che eravamo fatti l’uno per l’altra e quando le cose stanno così, nella vita in generale, non puoi che cogliere l’attimo: ringrazi per la fortuna che ti è capitata di incontrare proprio le persone giuste e abbracci immediatamente il futuro! Ecco perchè assieme abbiamo dato vita alla nostra casa di produzione, la Fish-Eye, con la quale speriamo di conquistare almeno il mondo!

 

E io glielo auguro di cuore.

 

Stasera inizia la veglia.

7 giugno 2012 da Mauro

Oltre ai nomi in cartello, ci saranno anche Walter VenturiGiorgio PontrelliEmiliano MammucariSilvia Califano, e Davide De Cubellis.

John Doe non è ancora morto.
Evviva John Doe.

Saranno graditi i fiori e gli abiti discinti.

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