Io cameriere, lei decisamente carina.
Plana nel ristorante con tutto un carico di amici per festeggiare l’inaugurazione del suo negozio di candele e, per ultimo, entra il suo uomo.
Lo odio e tento di dimostrarglielo chiaramente per i primi venti minuti in cui è seduto a tavola, poi apre bocca e mi fotte.
Capisco che è il direttore tecnico di un’azienda che si occupa di effetti visivi ed ogni cosa che dice è maledettamente nelle mie corde.
Mi fa ridere.
Non si prende sul serio.
E parla come il custode di tutto il sapere del mondo senza fartelo pesare nemmeno per un istante.
Colpo di fulmine.

Lei, e tutti gli altri spariscono immediatamente dal mio raggio visivo e mi è chiaro che se voglio veramente dimostrare a me stesso di essere un uomo, devo fargli capire che sono dalla sua parte. Che gareggiamo nello stesso campionato.
Non devo lasciare nulla al caso e l’attenzione per il dettaglio dev’essere massima.
Tutto, dalle inflessioni vocali, alla posa, alla forma che diventa contenuto, può essermi utile per conquistarlo, per cui lo annuso con attenzione e mi aggiro restringendo ogni volta di più il diametro del cerchio.
Sono un essere mitologico metà squalo, metà gambette di Will Smith che interpreta Alì e salta da una parte del ring mentre studia l’avversario per sorprenderlo con la sua mossa. Faccio lo stesso.

Lo colpisco raddoppiando la porzione di polpette taleggio e cognac.

Tre mesi dopo smetto di lavorare nel ristorante e sono in forze nel reparto creativo dell’Animantis.


(sì, avevo quei capelli lì. Smettete di ridere.    Ho detto smettete di ridere.    Fottetevi.)

Due anni dopo giriamo di società in società in rappresentanza di un gruppo con le palle decisamente quadre.

Tre anni dopo siamo in pianta stabile in Direct2Brain e viviamo insieme già da un po’, lui, io, quell’altro.


Cinque anni dopo, i nostri percorsi lavorativi e di vita si dividono ma quando macini tutti quei chilometri insieme non ti dividi mai.

Dopo aver condiviso il set e le notti in produzione, i viaggi, gli scazzi, l’ sagn’ della nonna di Zeno, e persino i Dhamm (brrr).
Quando ti arrendi e smetti di arrampicarti per la montagna insieme agli altri per la quantità di alcool che avete in corpo e non riuscite comunque a smettere di ridere.

Per i discorsi che diventano fatti e per le donne che abbiamo guardato e amato mentre ci chiedevamo l’un l’altro “tu che ne pensi?” e per tutte le volte che ci siamo ritrovati in macchina a girare per Latina a riflettere per ore su quale fosse il motivo per cui volevamo bene a Zeno senza riuscire a trovarne neanche uno e continuare, nonostante tutto, a volergliene.

Insomma, quando si diventa fratelli difficile smettere. E dei fratelli è bello parlarne e condividerli, soprattutto quando fanno parte di quel ristrettissimo manipolo di pazzi a cui dobbiamo tutto quel poco di buono che la computer grafica italiana è riuscita ad ottenere da – ormai – quasi trent’anni a questa parte.

Mauro: Hai cominciato in un’Italia in cui parole come Computer Grafica erano appannaggio di una manciata di eletti con qualche problema di interazione sociale e mistero per tutto il resto della popolazione. Cosa succedeva nelle primitive lande della cgi negli splendidi anni ’80?’

Francesco: – In quegli anni la computer grafica era come “l’isola che non c’è” : potevi accederci soltanto se eri in contatto con “il fanciullo dentro di noi” e sicuramente non era possibile intenderla come un lavoro ma più che altro come un mondo che, più che fantastico, non chiedeva altro che essere esplorato. Inizialmente da soli e poi insieme ad altri… bambini. Servirà qualche anno affinché termini come computer grafica iniziarono ad essere diffusi grazie all’arrivo nel mercato di riviste come Computer Gazzette (prima Commodore Gazzette) e poi appunto “Computer Grafica” di Antonio de Lorenzo. Ma la forza di questo approccio artistico sarebbe riuscita a imporsi nell’immaginario collettivo soltanto molti anni dopo per cui, agli occhi degli altri esseri umani, non eravamo altro che ragazzini che giocavano col computer. Un piccolo branco di sporchi nerd che invece di uscire a giocare a pallone, si chiudeva in casa a cercare di far volare una mongolfiera attraverso il linguaggio BASIC.

Come vi è saltato in mente di lanciarvi verso un mondo che, per l’appunto, ancora non esisteva?

Per trovare un motivo reale dovrei perdermi in una serie di dietrologie da cui non ne usciamo più, quindi te la butto sulle affinità elettive.
Anche se non ci eravamo mai visti era facile riconoscerci tra di noi perché la strada che stavamo percorrendo passava per gli stessi elementi in comune.
Chi ha assistito alla nascita dei videogame spendendo le poche lire che aveva (o “gettoni”) per Breakout, Asteroids, Space Invaders nel bar sotto casa, non poteva non desiderare ardentemente di avere consolle evolute come “l’Intellevision”

e similari e, soprattutto, non poteva non andare fuori di testa per i primi home computer come il Commodore Vic20 a 199 mila lire (escluso il lettore di cassette!!!).
Qualcuno di noi, riusciva a farselo regalare puntando sull’alto valore interiore di un passaggio come la prima comunione, mentre i più fortunati riuscivano ad ottenerlo per natale. Io riuscii a raggirare mio padre puntando strategicamente su due punti deboli: lo studio e la mamma. Lo convinsi dicendogli che “potevo memorizzarci sopra le ricette di cucina di mia madre” e promettendogli che lo avrei “usato per studiare”.

Chiaramente senza avere la benché minima idea di come – quelle due cose – ci si potessero fare. Quello che volevamo tutti era soltanto giocarci, ma a differenza della consolle, col compiuter ci si poteva anche programmare.

Essere pionieri in un campo dimostra di possedere una enorme capacità di analisi del contesto in cui si vive e di come quel contesto si trasformerà negli anni successivi.
Essere pionieri IN ITALIA vuol dire essere del tutto fuori di testa. Chi eravate?

Credo che a volte ti ritrovi ad essere un pioniere semplicemente ritrovandoti al posto giusto nel momento giusto e senza sapere che quella che stai inseguendo in quel momento possa essere una “visione”.  La verità è che tutti partono da soli. Si parte soli perché i bambini hanno questa insana passione di uscire di casa e giocare a pallone, e ok, lo facevo anch’io e mi divertivo come un pazzo. Però poi c’era questa voglia di giocare anche con quella macchina grigia e a poco a poco,  grazie alle riviste di cui sopra, a giornali come portaportese, ma soprattutto ai giochi pirata (quando si potevano fare…), abbiamo cominciato a conoscerci e a diventare una comunità. Dal giocare, alle aziende sono passati 10 anni di storia dei viodeogiochi, che però forse raccontare è fuori tema! C’erano veramente pochissime aziende ed era un po’ come giocare al più fico. C’era una divertente competizione.

Per cosa finivate a collaborare e per cosa vi scontravate? Amicizie, rivalità, aneddoti e stati d’animo di un’epoca che internet se lo sognava, forse perché riusciva quasi a immaginarlo.

C’erano quelli seri, che gettavano le radici per creare un’ azienda vera (tipo un certo Francesco Mastrofini che credo tu conosca bene) e quelli che come me invece giocavano solo a fare i più fichi…
Tralasciando la parte commerciale” delle aziende con cui ci identificavamo (anche se definire “aziende” dei loculi maleodoranti e organizzati peggio, fa abbastanza ridere) posso dirti che le amicizie erano tante ma le rivalità nessuna visto che noi eravamo i migliori e tutti gli altri non valevano nulla!
No, dai, scherzi a parte, gli aneddoti sono talmente tanti che non vorrei stare qui ad annoiare l’Internet per cui mi riallaccio al Mastrofini che ho citato qualche riga più sù perché nonostante non fossimo mai stati propriamente degli atleti, ci piaceva scontrarci a calcetto, e spesso si organizzavano partite fra queste prime aziende di computer grafica, in cui sentivamo di consacrarci come gruppi realmente esistenti. Uno tra i match più memorabili fu, per l’appunto, contro la Digitrace di Francesco.
Noi avevamo in squadra gente abbastanza bravina ed eravamo entrati in campo di tutto punto, fieri delle nostre magliette griffate con i loghi aziendali (all’epoca J.N. Graphics) mentre loro sembravano vedere un pallone per la prima volta nella loro vita e si presentarono con i numeri delle magliette stampati con i fogli A4!
Beh, eravamo cosi’ sicuri di noi stessi che le prendemmo di santa ragione!!!
Però ci siamo rifatti a tavola mangiando decisamente più di loro! Ecco, le cene probabilmente erano quell’elemento centrale, di scambi e interazione che oggi forse mi manca maggiormente. Ne abbiamo fatte un numero spropositato e se posso riconoscermi un merito è quello di essere stato un buon accentratore di cene con gente che oggi vedo, con affetto, ricoprire ruoli chiave nel panorama italiano della computer grafica.

Nel giro di una manciata di anni siete passati dagli scantinati in cui realizzavate cd multimediali a studi extralusso in cui consegnavate spot per il mainstream più ricco e spavaldo. Come hai vissuto questa trasformazione?

Di fatto ci siamo passati per gradi e con non poca fatica. Poi, tra di noi, partivamo da concezioni radicalmente diverso. C’era chi si metteva a capo chino a lavorare seriamente per far entrare budget e permettersi di ampliare l’organico e le infrastrutture e chi, come me, preferiva concentrasi sulla ricerca e sulla qualità del risultato. Per quanto mi riguarda, quindi, di cd multimediali ne ho fatti veramente pochi.
Ma ad un certo punto ho dovuto per forza scegliere tra il continuare a giocare a fare il fico o cominciare a lavorare. Ovviamente ho scelto di lavorare, e per quanto oggi possa sembrare assurdo, all’epoca questa scelta non venne da tutti condivisa. La trasformazione avvenne per gradi. Cominciai a casa, nello scantinato, poi creai la J.N. Graphics con alcuni amici, dove ottenni le prime vere soddisfazioni in questo campo, e che poi, come tutte le cose belle, ho dovuto abbandonarla per cominciare a mantenermi in maniera seria. Da qui il passaggio in RAI e, a seguire, l’Animantis (altra grande soddisfazione),

http://www.youtube.com/watch?v=BwoT7mXIYnw

la Direct2Brain


e infine il ritorno alle origini: freelance e fotografia. E parlo di ritorno perché, per quanto possa sembrare strano dopo aver parlato per tutto questo tempo di Cgi, la fotografia è stata e sempre resterà la mia principale passione, nata quando avevo dieci anni e iniziai a sviluppare le foto da solo.

Com’è cambiato il tuo approccio nel momento in cui tutti, improvvisamente, hanno iniziato a capire quanto eravate in grado di fare?” Sono affascinato dall’evoluzione delle proprie specializzazioni in base al contesto in cui ci si trova (e che spesso siamo proprio noi a creare). Hai parlato di una tua azienda, della Rai, di animantis, d2b, di un’attività da freelance e della fotografia. Quali sono le tue competenze in ognuno di questi ambiti? E quanto influiscono sul tuo approccio?

Il mio approccio non è mai cambiato:  dedizione assoluta e sano narcisismo artistico. Nella mia azienda ero socio fondatore (sembra si dica così!), direttore artistico, lighting&Shading&rendering TD (ma ho capito di esserlo solo anni dopo!) e ci occupavamo di tutte quelle cose, anche le più naif, che all’epoca venivano racchiuse all’interno del grande calderone della computer grafica: siti, still images, videoclip, cd rom, volantini, masterizzazioni, etc, etc… Eravamo dei pazzi scellerati che amavano follemente quello che facevano.
In RAI invece mi occupavo della realizzazione e della messa in onda di grafiche in realtime per canali sportivi mentre in Animantis sono tornato a quello che mi era più congeniale e quindi ero team supervisor, lighting&Shading&rendering TD ed anche un po’ lo psicologo/psicotico di quella ciurma di matti in cui persino uno come te sembrava “normale”! In D2B ho affinato le mie tecniche mettendole al servizio di una grossa produttività e verso un gran numero di esperienze sia su set in live action che su quelli virtuali. Ero direttore della fotografia digitale (provo sempre un brivido di piacere quando mi definisco così!) ed operativamente lighting&Shading&rendering TD. Come freelance, faccio un pò tutto quello che capita!
In ognuno di questi momenti della mia vita ho sviluppato una serie di competenze che sono andate di pari passo col bagaglio di esperienza accumulato.
Non sono uno smanettone del computer, ma nella mia ho vissuto in prima persona un po’ tutte le fasi necessarie alla realizzazione di un prodotto (specialmente di un prodotto contenente grafica 3D) dalla progettazione, alla modellazione, alle riprese, alle textures, al lighting, al rendering fino alla sonorizzazione, il montaggio e la masterizzazione. Ma anche la nascita e l’evoluzione dei computer e di… internet!
Per cui diciamo che le ho passate un pò tutte! Ricordo ancora con affetto il mio primo adattatore telematico 6499 per il Commodore 64 (quello che gli umani in seguito chiameranno “modem”) ed i tanti escamotage per cercare di non pagare le numerose nottate passate a scaricare programmi e a parlare con le persone nelle BBS. Di cosa sto parlando?! Beh, ci sarebbe troppo da dire… troppo!

Al culmine di queste esperienze tu ci vedi la fotografia che, come in un loop, ti riporta al punto di partenza: a quei dieci anni in cui ti sviluppavi da solo le foto. Cos’era e cos’è per te la fotografia?

La fotografia, in un certo senso, non l’ho mai abbandonata. Mi occupo operativamente di Lighting & Rendering, quindi, di fatto, di illuminazione e resa di un set,  sono di fatto un direttore della fotografia digitale con un’esperienza a tutto tondo sui progetti di computer grafica. La fotografia mi ha sempre accompagnato e il concetto di “scrivere/disegnare con la luce” mi affascina da sempre. Da bambino facevo esperimenti bucando della scatole e mettendoci dentro  delle lampadine per poter creare degli effetti di luce particolari che poi impressionavo sul negativo della yashica di mio padre.
Poi, incuriosito dal processo di impressione della pellicola e non capendo come potesse essere possibile sviluppare le foto dal negativo mi sono rimboccato le maniche e ho iniziato a svilupparmele da solo nello sgabuzzino di casa mia. Il processo era lungo ma soprattutto maleodorante, e i risultati… tutt’altro che incoraggianti e ne rimasi deluso (avevo dieci anni, ma ero già molto esigente! –
Nota di Mauro: no, eri già lo spaccapalle che sei anche oggi!)
Mi affascinavano le Polaroid, perchè mi sembravano magiche!, scattavi e dopo qualche minuto appariva l’immagine impressa. MAGIA !!
Però anche lì, il formato limitato non poteva lasciarmi completamente soddisfatto per cui, quando arrivarono le prime immagini digitali, puoi capire che shock fu per me, scoprire che erano stati annullati i limiti di dimensioni, forma e colore!
Ho iniziato così a sperimentare in quell’ambito – almeno avrei concesso un po’ di pace alla santa donna di mia madre che non avrei più sentito smadonnare per il casino lasciato in giro –  Ma alla fine del giro, come dici tu, sono ritornato alla fotografia… che nel frattempo è diventata anche “digitale”! Le mie due passioni, confluite in una soltanto!

Dopo tanti anni di immagini in movimento, com’è tornare a quelle fisse?

Le immagini in un certo senso sono sempre fisse, solo che noi le fruiamo in sequenze da 25 (o 24) frames al secondo. In una fotografia devo centuplicare l’attenzione perché è  più facile che si noti un difetto, una piccola imperfezione, rispetto al filmato che, caratterizzato dalla velocità della messa in onda, punta tutto sulla spettacolarizzazione del momento. Il fatto stesso di rendere romanticamente eterna la visione di un istante in maniera permanente, tramite un sistema ottico, su di una superficie fotosensibile … è per me ancora più affascinante oggi, di quando ero piccolo.
E oltretutto l’immagine fissa mi permette di dedicarmi alla pulizia, sia della scena, che, metaforicamente, di tutto il percorso fatto finora.
Come se tornassi a giocare un po’ da solo dopo aver fatto gruppo per tanto tempo.

Chi sarai nei prossimi anni?

La naturale prosecuzione di ciò che sono stato finora. Continuerò nel mondo della computer grafica, ma questa volta solo come supervisore sul set o di progetti e non più come operatore. Credo, come si dice da queste parti, di aver dato. E quello che mi emoziona in questo momento, se chiamato in un lavoro di squadra, è portare il team ad ottenere il risultato. Da 8 mesi (in concomitanza con la nascita di mia figlia)

ho iniziato a occuparmi di fotografia, specializzandomi negli eventi. Mossa forse un pò azzardata a 38 anni, me ne rendo conto, e capisco anche che è l’equivalente di aprirsi un chiosco di granatine ai Caraibi, ma io ci credo molto. So che è quello che voglio da me adesso. Sto costruendo il mio book, e in un certo senso sono facilitato, perché nel mio lavoro ho avuto l’opportunità di collaborare con volti noti del cinema e dello spettacolo in generale. Da Dustin Hoffman a Mina, passando per Ligabue, Jovanotti, Tiromancino, Planet Funk, Celentano, Giorgia, Elisa, etc…
Ora, si ricomincia da capo, provando nuovamente il brivido della gavetta, ma accelerando al massimo i tempi grazie all’esperienza accumulata in questi anni. Mi piace fotografare le persone e le cose.
Mi piace occuparmi in prima persona della color correction, cercando di restituire l’atmosfera percepita al momento dello scatto.

Amo soprattutto ritrarre le persone nei momenti in cui sono – o si sentono – felici, perché è quello che secondo me si è più perso nelle produzioni italiane.
Vedo un grosso interesse per la tragedia, per l’introflessione emotiva, per la lacerazione e pochissima cura o attenzione per la serenità. Sembra che l’happy ending non emozioni più gli autori e invece io ne sono un fervente sostenitore. Fotograferei soltanto sorrisi di riappacificazione, di rilassatezza, i compleanni, gli abbracci, gli engagement e i matrimoni. Mi piacciono quei momenti in cui si sanciscono unioni piuttosto che distanze, e i matrimoni, in fondo sono questo.

Inoltre voglio portare avanti il discorso RUFRA , forse il più personale e meno inquadrabile tra i miei, e portarlo ad un livello professionale più cosciente. Fino ad ora è stato solo una piccola valvola di sfogo fatta dalle 6 alle 7 di mattina prima di andare in studio. Adesso che sto partendo con un progetto fotografico personale, spero assuma la forma che ho in testa da un po’ di tempo.

“Rufra” esce fuori dai normali canoni fotografici commerciali – almeno per quelli dell’attuale scena italiana – e anche se per il momento è decisamente freaky, non riesco a non riconoscergli una qualche pennellata di sentimento. Sto lavorando sulla formazione di un nuovo team di persone, puntando molto sulle facce, i costumi e le scenografie. Anzi, avevo anche intenzione anche coinvolgerti… ma per il momento non ti spiego il perché! (nota di Mauro: Paura. Quando fa così potrebbe veramente voler dire qualsiasi cosa!)

Da qualche tempo hai anche iniziato ad insegnare. Come si insegna la fotografia? Quali i metodi? Ma soprattutto: perché?

Ho cominciato ad insegnare pensando a quelle persone che lavorano e non hanno il tempo di seguire dei corsi infiniti e dispersivi di fotografia.
Persone quindi che, come me, vogliono arrivare il prima possibile ai concetti chiave dell’argomento di loro interesse.
Ho frequentato diversi corsi “canonici” di trenta e più ore, ed in tutti ho notato lo stesso problema: sono dispersivi. Troppa gente, troppe ore e troppa carne sulla brace.
Alla fine sono pochi gli allievi che escono da questo tipo di corsi avendo appreso tutto quello che è stato loro spiegato, ancora meno quelli che possono dedicarci tutto il tempo che una passione come questa richiederebbe. Ho deciso così’ di strutturare il mio corso, puntando soprattutto sull’identificazione di alcuni “argomenti chiave” che servono, in maniera sufficientemente chiara e sopratutto pratica, a far riconoscere in quale ambito ci si vuole specializzare.
Perché? Perché questo è quello che mi sarebbe piaciuto fosse stato fatto nei miei riguardi nei corsi che ho frequentato, niente di più e niente di meno!
Ed il tutto senza troppi voli pindarici. La semplicità è la chiave della conoscenza globale (diceva il direttore del supermercato sotto casa mia). Per questo ho strutturato i corsi in classi con pochissimi elementi, ma anche con la possibilità che gli allievi se ne stiano comodamente seduti nei loro salotti. Se sono della mia città o comunque gravitano intorno a Roma e Latina, vado direttamente a casa delle persone, perché mi ha sempre affascinato questo modo “antico” di insegnare la propria esperienza.
Ma anche se la persona interessata abita lontano da me, replico la medesima esperienza tramite Skype, ad esempio l’ultimo corso che ho fatto è stato per una ragazza che vive in un paesino vicino Parigi! Ed è una cosa che non solo emoziona l’allievo (vuoi mettere, un insegnante tutto per te!), ma anche me che li sento veramente interessati ad apprendere quella che è la mia esperienza.
E questo aspetto è allo stesso tempo il più difficile ma anche il più facile da insegnare. In molti mi avvicinano chiedendomi subito di specializzarsi tecnicamente verso quelli che sono gli ambiti più remunerativi del settore (matrimoni/engagement, ecc), il mio scopo è quello di capire come tirarne fuori, e come provare, emozioni facendolo. Ad esempio, io punto molto su una via di mezzo tra lo stile americano della messa in scena filmica che sento molto mio per via del mio percorso (una impostazione, quindi, alla  Gregory Crewdson, per intenderci) unendolo, però, all’immediatezza del reportage. In questa via di mezzo, secondo me, c’è la chiave per raccontare e raccontarsi.
Senza dimenticare che ogni set è come un piccolo mondo che nasce, vive e resta nel mondo stesso. Per cui sono vietati i presets che tenderebbero ad uniformare quello che dovrebbe, sempre e comunque, restare unico.

Saluto Francesco augurandogli di finire in culo a tutte le balene possibili sapendo bene che anche questo suo nuovo viaggio non ci porterà troppo lontani.
E’ una persona preziosa che fa cose preziose.
Il mio regalo di natale per voi è stato presentarvelo, il resto fatelo da soli, contattandolo direttamente e scoprendo altri aspetti del suo mondo:

Cliccando QUI finite sul suo sito internet.


QUI, sul suo progetto: MOYL
QUI, sulla sua pagina Flickr.

Buon natale dalle nostre buffe e inappropriate versioni in giacca,

da un matrimonio di talmente tanto tempo fa che eravamo ancora bambini!

DecuBBBBBello!!!

19 dicembre 2011 da Mauro

Davide è in uno splendido stato di grazia artistico/creativa e, per nostra fortuna, ha deciso non solo di rendercene parte, ma di poterne approfittare!

Cliccando QUI

potrete infatti evitare di spendere soldi in inutili manuali sulla realizzazione di storyboard e shootingboard e imparare tutto quello che serve sapere semplicemente rubando dai lavori di Davide e leggendo con attenzione quello che racconta.

Và come vi accoglie con tutti gli onori in homepage: “In questo blog potete trovare una parte dei miei lavori: quelli che sono riuscito a recuperare e documentare o i più recenti. Sono gli storyboards e gli shootingboards che realizzo per le case di produzione, ma c’è anche qualche mio esempio di visualizing da agenzia. Fra Pubblicità, Cinema e Fiction, ho pubblicato qui circa 140 film. Potete cliccare sulle etichette (tags), per passare da un genere all’altro o per scovare qualche curiosità. Chi non ha la più pallida idea di cos’è uno shootingboard, chi è curioso o chi vuole avvicinarsi a questo mestiere può iniziare dalla pagina “Prima di Tutto”.

Non siete già completamente a vostro agio? Non avete voglia di togliervi le scarpe e sdraiarvi sul suo divano come fosse il vostro?

Ma se tutto ciò non dovesse abbastarvi e anzi, scatenasse in voi l’irrefrenabile desiderio di portarvi a casa pezzi di puro De Cubellis, ecco che è lui stesso a venirvi incontro, ben conscio di quanto siate affamate & golose.
Da qualche giorno è online DECU FINE ART:

un sito dove oltre a poter acquistare degli originali di questo livello

Potrete anche sbavare, impazzire, sbroccare, desiderare ardentemente, e persino portarvi a casa, delle stampe a tiratura limitaterrima delle clamorose cover che Davide ha realizzato per John Doe

“Eh, ma sono solo delle stampe!” direte voi, stolti, continuando a far cadere briciole sul divano di Decu.
“Ennò!!!” vi si risponde da qui.

Anzi, lascio di nuovo a lui la parola:

“Stiamo parlando di 8 esemplari per ogni illustrazione: autenticati, numerati e certificati.”

Nei contenuti e nella forma il certificato di autenticità testimonia l’estrema qualità del prodotto. È stampato su un foglio con filigrana del marchio Hahnemühle – anno 1584 e ovviamente riporta molte informazioni, come il titolo dell’opera, la tiratura e l’edizione, il numero di prove d’autore, la firma dello stampatore. Si certifica oltretutto che: “la stampa fa parte di una tiratura limitata e numerata, realizzata su carta Fine Art Hahnemühle con inchiostri ai pigmenti; ha una durata media di oltre 100 anni, attestata da studi di laboratori indipendenti; tutti i files e le prove di stampa sono stati distrutti o consegnati all’autore”.

Visto?
E’ stato o non è stato dato un nuovo significato al concetto di “Sborone”?
Se anche voi state ardentemente pensando “Si, lo voglio!”, smettete di pettinare le winx e precipitatevi ad accaparrarvi le vostre copie, o a regalarle per natale, visto che tanto anche voi, come me, fate i regali sempre all’ultimo momento riducendovi ad imbucarvi nell’orrido autogrill sul raccordo!
Io, da parte mia, mi sono già accaparrato questi:

(quella scritta lì, sotto il disegno, indica per l’appunto, che è stata venduta. Non che costa 22 denari.)

(anche la scritta lì, non indica certo il costo, quanto invece – SPOILER – la risposta alla vita, l’universo e tutto il resto)

E serviranno a comporre un fantasmagorico trittico che avrà per centro questa assoluta meraviglia:

Stanno un amore insieme, ‘nevvè?

E insomma i Battles di qua, i Battles di là e tutti i tizi che ne sanno di roba cool ne parlano e tutti i tizi che ne sanno di roba cool ne dicono, ne ascoltano, ne consigliano.
Io so che prima o poi mi piaceranno ma cerco ancora di divincolarmi nel loro frullato di post/math/pop/filastrocc/rock e di non frantumarmi le palle dopo la quinta traccia.

Mi dico “Dal vivo. Sarebbero da valutare dal vivo.”

I Battles vengono in concerto a Villa Ada.

Eccellente. In questi giorni che iddio manda il caldo come se non ci fosse un domani e quella è l’unica zona fresca di Roma. Eccellente. Perché a me quel posto piace un sacco.
Eccellente. Perché insieme a loro suoneranno i Caribou. Eccellente. Perché il tutto costerà solo 18 iuri.
Eccellente. Perché ci vado con un sacco di gente fica. Eccellente. Perché andremo un po’ prima per cenare lì. Eccellente.

Squilla il telefono.
Non il mio personale. Quello di studio. E’ Veronica.

“Mauro, scendi, riunione di direzione. Si si, lo sappiamo che sono le 18.32 però scendi dai, ci sbrighiamo, te lo prometto. Dai. Si, c’è anche Francesco.”

Riunione di direzione:
Alle 18.32.

“C’è anche Francesco“.

Una riunione di direzione in Rainbow Cgi ha la durata media del ciclo vitale di una sequoia.
Se volete una cifra meno approssimativa tagliate a metà uno di noi e contate i cerchi.
Se a questa riunione aggiungete il fattore Francesco, il tutto si misura in Ere di Premesse Giurassiche e Ricapitoliamo Mesozoici.

Come una diciassettenne a cui il tipo ha giurato che non le verrà in bocca, mi fido di quel “Dai, ci sbrighiamo”.
Anzi, è riduttivo dire che mi fido, mi ci aggrappo con tutto me stesso per non scoppiare a frignare in sala riunioni.

Alle 19.15, Maledetto Marini già pronto e sulla porta d’uscita mi fa pervenire questo avvertimento:

Io so che andrà così. Ne ho la certezza.

Chiamo Marini che, prevedendo cosa sto per chiedergli, cinchischia. Non risponde. Elude.
Non m’arrendo.

“Oooi?”
“Prendi i biglietti anche per me.”
“No ma vedi che forse fai in tempo!”
“Prendi i biglietti anche per me.”
“Ma se poi fai tardi e…”
“Prendi i biglietti anche…
“HO CAPITO!”
“A dopo!”

In riunione dico: “Ok ma senza dilungarci potremmo varare dei cambiamenti e discuterne con i supervisori domani”.
In riunione dico: “Secondo me non abbiamo ancora abbastanza elementi, sentiamo Barbara e magari domani possiamo capire meglio come affrontare la situazione.”
In riunione dico: “A quest’ora i fornitori hanno già staccato, magari vediamoci domani mattina sul presto e facciamo nuovamente il punto.”
E così via.

Infilare la parola “domani”  in ogni frase pronunciata, ottiene i suoi frutti e alle 20 riesco a fuggire.

Alle 20.15 Sono lì.

“Dai, hai visto che ce l’hai fatta!”

“Eh, si!”

“La prima riunione che finisce in meno di mezzagiornata!”

“Eh, si!”

“Passato anche a casa?”

“Oddio. No. Mi sono dimenticato.”

“E vabbè dai, che ti frega!”

“Eh…”

“Tanto dovevi solo prendere la videocamera, no?”

Villaadabattlescariboupalcoeacusticaperfetta
nessunochemirompeilcazzosefacciovideoatuttospianoeio?

“Ma si dai, godiamoci questo concerto senza stare a preoccuparsi di come inquadrare i tizi. Divertiamoci senza pensieri!”

Fingo.
Mento senza convincermi neanche un po’.

Perché io ADORO riprendere i concerti.
ADORO vedere cantanti e musicisti nello schermo della mia videocamera.
Adoro farmi la mia regia.
Adoro tornare a casa e montare i video.
Adoro rivederli.
Adoro postarli.

“E vabbè dai, che ti frega! Tanto dovevi solo prendere la videocamera, no?”

E’ tutto finito. Serata di merda. Peggior concerto di sempre. Tutta colpa di questo cazzo di giugno che ogni anno arriva a funestare il periodo a cavallo tra il freschino piacevole e l’abominevole caldo romano. Sarà un concerto orribile.
Quanto tempo è? Tre anni che riprendo tutti i concerti che vedo? Quattro? Cinque? Quanti?

E stasera non sono pronto.

Vado al bar a prendere una cosa da bere. Mh, ci sono le pizze.

“Una margherita col prosciutto.”
“Ok ma noi boicottiamo la Coca Cola”
“Grazie per l’informazione, ma cosa c’entra con la mia pizza margherita col prosciutto?”
“Bhè, se ti prendi la pizza, bevi la birra o la coca cola e noi boicottiamo la coca cola.”

Mi adeguo alla situazione e, dentro di me, divento Giampiero Qualunque chiedendomi perché non boicottino allo stesso modo anche  gli extracomunitari nelle cucine e gli iphone sui banconi vicino alle casse ma chiedo solo un chinotto neri.

“Non ce l’abbiamo, ma puoi provare questa (wait for it!) alternativa italiana.

Mi chiedo perché la tizia parli come un account milanese, mi chiedo se la tizia realmente pensa che il chinotto Neri sia di una qualche azienda ameriKana ma non ho voglia di polemizzare. Dopo tutto sono qui e a parte la mia PORCAPUTTANATROIAVACCA di videocamera scordata a casa, tutto va bene.
Immagino poi che “l’alternativa italiana” possa essere un mix tra lei


(Ciao Ria!)

ed Emma


(credetemi, potrebbe funzionare!)

e invece la tizia dietro al bancone mi si presenta con questa roba qui:

La Vaffancola.

L’orrore pubblicizzato in ogni cartellone della mia città mi viene spacciato come “l’alternativa italiana”.

“Alternativa al buon gusto e all’intelligenza nella scelta di un marchio?” le chiedo.
“Eh?” mi fa ella Rainman.
Rispondo: “Dai, “vaffancola”, oltre che la cocacola non sarebbe da boicottare anche questo patetico doppiosensismo da bagaglino governativo?”
“Eh?” mi fa ella MichiamoSam.
“E’ una merda questa roba!” le dico parlando in stampatello e riducendo il livello del confronto a Forzalazieee!
Mi risponde “E allora beviti quelle porcate ameriKane!” (immagino sempre riferendosi al chinotto neri).
Chiudo con un “Ok i’ll drink my chinEight in another bar!” e vado via.

In tutto ciò non ho la videocamera, il che, non so se vi è passato di mente, ma è veramente grave.
Il palco sembra una figata, la batteria in primo piano, le due tastiere (“pianole” dirà la fanciulla di illuminata virtute) una di fronte l’altra e oblique, due schermi rettangolari e in verticale e io non ho la mia videocamera.

Mangio. Finisco. Buio.

Ecco i Battles.

Non ho la mia videocamera. Loro strumentano e giocano con tutto quello che hanno a disposizione ed io non  ho la videocamera.
Sulle note di Sweetie & Shag

http://www.youtube.com/watch?v=q8ky2uuj70c

si accendono gli schermi per rievocare la presenza di Kazu Makino dei Blonde Redhead

su quelle della loro hit Ice Cream


(video e pezzo clamorosi. Guardare e riguardare)

Matias Aguayo fa le facce dietro di loro ed io non ho la mia videocamera.

Un dio buono ha trasformato i Liars di Mr You’re on fire mr in 3 bambini nerdoni, li ha piazzati sul palco di Villa Ada ed io non ho la mia videocamera.

Voce Misteriosa: Fermo, Mauro, aspetta. Parliamo.
Mauro: Chi sei?
Voce Misteriosa: Il tuo mauro interiore. Il grillo ciccione che ti vive nello stomaco.
M.: Ah, ciao.
Voce Misteriosa Grillo Ciccione: Ma perché non ti stai godendo sto cazzo di concerto e continui a pensare alla videocamera?
M.: Bhè, perché vedi, ora stanno facendo questa roba strana, stanno suonando in questo modo e mi sono venute una decina di idee su come inquadrarli.
G.C.: Si ok ma anche sticazzi, no? Non ce l’hai, fattene una ragione.
M.: Si, però questi momenti poi non si ripetono e io ho perso l’opportunità di poterli fermare in video.
G.C.: …
M.: Che c’è?
G.C.: Vogliamo andare a fondo? Perché la gente qui intorno salta, balla, ogni tanto fa foto, ogni tanto fa un pezzo di video, si bacia, canta e tu vuoi riprendere tutto il concerto?
M.: Mmmmm Non lo so, forse perché riconduco tutto il mio immaginario a qualcosa che sta su uno schermo?
G.C.: Una roba del tipo: “siccome alcune delle emozioni più belle della mia vita le ho provate guardandole da uno schermo, mi sforzo di replicare questo meccanismo?”
M.: Ecco si!
G.C.: Non m’hai convinto. Stronzate che non t’appartengono smontabili in 2 minuti. Ti hanno emozionato ANCHE cose che hai visto da uno schermo ma molte di più legate ai posti che hai visto con i tuoi occhi, le persone con cui sei stato, le cose che hai fatto. Insomma non credo tu possa nasconderti dietro la mascherina di quello che ha bisogno di uno schermo per sublimare le proprie emozioni.
M.: Ok allora è la condivisione.
G.C.: Cioè?
M.: Li riprendo, li faccio vedere ai miei amici, agli sconosciuti. Fermo questo momento e lo condivido.
G.C.: E allora tutti i concerto che hai ripreso e non hai mai messo online né hai mai fatto vedere?
M.: Mh.
G.C.: Quindi credo che un po’ di quello ci sia. Ma è più legato a quello che ti piacerebbe essere. Tu vorresti essere lì, accreditato dal management del concerto per riprendere ufficialmente questo concerto e farne dvd e viaggiare il mondo dietro alle band più interessanti del momento. E’ uno dei modi in cui ti piacerebbe vivere. E’ quello che ti piacerebbe fare e quando ti è capitato di farlo in passato eri esaltatissimo.
M.: Quindi?
G.C.: Quindi scimmiotti con la tua videocamera quello che ti piacerebbe fare accontentandoti di una misura domestica piuttosto che niente.
M.: Precisamente, mi ricordi perché ho scelto te come Grillo Ciccione?
G.C.: Non hai scelto, c’ero solo io. E comunque non credo ci sia nulla di male nell’appagare un proprio bisogno. Però, quella mail, mandala.
M.: …

G.C.: Mandala.
M.: Ok.
G.C.: Ora torniamo a sentire il concerto?
M.: Dai.
G.C.: Ah, la vedi la francese vicino a te?
M.: Si.
G.C:: Balla con lei.
M.: Ma se…
G.C.: A lei piacerà.
M.: Si ma come glielo chiedo?
G.C.:Ci sta già pensando lei!

“Ciao!”
“Eh?! Ciao!”
“PiaceVe SeVpentinà!”
“… ”
“E tu?”
“TaVtaVugò!”

I Battles suonano per 70 minuti (quelli giusti per non metterti troppo a dura prova) e fanno ballare tutti. Anche me che stavo senza la mia fottuta videoc avevo le mani libere e mi andava solo di godermi un bel concerto.
Impossibili da inquadrare se non con diversi tentativi di catalogazione, dal vivo riescono ad infondere quella visceralità che su cd sembra completamente assente grazie ad abbondantissime dosi di ironia, intrattenendo e divertendosi. Quindi voto si.

Dopo una pausa ristorativa che dà a tutta villa ada la possibilità di rilassarsi sulle panchine e sull’erba, arrivano i Caribou.

Io che sono vecchio accuso. E’ quasi mezzanotte, ho mangiato, ho ballato, mi sono svuotato e ora dovrei ricominciare a ballare?

SI, CAZZO SI!

I Caribou, anzi, IL Caribou, accompagnato dalla solita, ottima, compagine live, tira fuori un’esibizione che fonde un dJset house e techno minimal al pop più psichedelico ed evanescente, saltellando tra le tracce del loro ultimo album “Swim”

passando per quelle del loro capolavoro “Andorra”

e trascinando tutti i partecipanti in una danza onirica e tiratissima che trova il suo acme nel bis tratto dal singolo del loro ultimo album “Sun”

che propongono in una versione protratta all’inverosimile in un continuo crescendo di cui non s’è vista la fine fino al totale sfinimento della platea saltante.

Tra cui l’ex vecchio sottoscritto.
L’ex stanco.

Che ha concluso la sua serata 3 ore dopo, immerso nei cuba libre della festa di san lorenzo, con una voce misteriosa, più simile a quella di una producer che di un grillo ciccione, che gli ricordava della riunione delle 10 della mattina dopo.
E si sta così, con tutto quello che c’è, e un grazie per tutto quello che verrà.

Wire! Wire! Wire!

25 febbraio 2011 da Mauro

Sembra che gli occhi siano l’unica parte del nostro corpo non soggetta al mutamento.
Guardando come li tengono serrati questi zii della new wave post punk inglese anni ’80 ho capito che è vero.

Un’ora e mezza continua di ipnotiche sfuriate e ballads infette.

Pause soltanto per ringraziare o percularci (sono partiti due “Bunga! Bunga!” urlati tra un brano e l’altro).

Chi li vide al momento giusto ne rimase folgorato.
Io che partecipo a questa seconda fase della loro carriera mi reputo semplicemente fortunato.

Grazie zii per questa epifania.

A breve, su tubi e muli vari, tutto il concerto in full hd.

Che qua mica stamo a pettinà le winx!
Eccovene un assaggio in bassa.

Tavole 62 e 63
Le trasformazioni di Robin.


Come nel caso del Giardino dell’Ozio Suicida, sentivo la necessità di alleggerire un po’ i toni.
I primi due terzi dell’albo erano decisamente troppo “pregni” di roba ed in più venivamo da una sequenza emotivamente molto intensa.
Anche troppo.
Troppo epica, troppo viscerale, troppo pesante.
Dovevo alleggerire il tutto altrimenti mi sarei ritrovato incastrato nel bel mezzo di un recente album di Nada, bello i primi 20 minuti ma poi, amica mia, datte pace.

Nella prima versione durava una paginetta soltanto e mostrava giusto tre cambiamenti di look.
E’ stato Roberto, trovandola divertente, a suggerirmi di allungarla.
Oltretutto, nella vignetta con Robin zombie (mi faceva ridere l’assonanza con Rob Zombie), c’era una voce fuori campo di John che diceva: “Cerveeeeeelli” e Robin che gli rispondeva zombamente: “coglioooooone”.
Era un inside Joke tra me e Federico che si ostina a dire che gli zombi parlino e dicano “Cervelli”.
Per me, talebano del dogma romeriano, questa è pura blasfemia.
Alla fine è stata tolta perché fumettisticamente funzionava poco, servivano troppo le inflessioni vocali per far ridere, quindi sarebbe stata più adatta per un altro media rispetto al fumetto.

Ah. Robin viene trasformata anche in Alien.

Mio fetish che spero di inserire in tutto ciò che farò (ehi, sono riuscito ad infilarlo anche in winx 2!!!).

Tavole 64/70

Queste pagine erano l’ultimo scoglio da superare, poi sapevo che sarebbe stata tutta discesa.
Dovevo riprendere tutti i fili del discorso, riavvolgerli ad uso e consumo del lettore per ribadire lo status a cui finalmente eravamo arrivati, e darlo per assodato.
John lancia le ultime stoccate a Clint e finalmente lo convince.
Ma soprattutto, convince il lettore, che se non gli crede ora, non gli crederà più e riterrà questa storia pura immondizia.

La decisione di intervallare il confronto tra Clint e John, con i siparietti nel ristorante:

è uno stratagemma per rendere più vario il racconto.

Cosa far fare ai personaggi mentre parlano allo scopo di passare delle informazioni al lettore è una delle rogne maggiori quando si sceneggia un fumetto.

Ha fatto scuola la tecnica che Castelli usa su Martin Mystére quando il professore si ritrova nel suo studio al numero 3 di Washington Mews, ad ascoltare i lunghi resoconti dei suoi clienti.

Primo piano del cliente. Controcampo/piano d’ascolto su Martin, dettaglio dei fogli che il cliente agita per avvalorare la sua tesi, totale del salottino con tutti i personaggi, esterno casa di Martin con i dialoghi che escono dalla finestra. Arrivo di Java che grugnisce a qualcosa di particolare detto dal cliente.

Il tutto serve per variare, per dare quel movimento che nel cinema è dato per scontato ma nei fumetti va comunicato in altri modi.
Per cui, la scelta di spezzare l’ennesimo confronto, con una scenetta ambientata qualche ora dopo (ehi, un flashforward!), in cui c’è anche una piccola trama (Robin si ubriaca e si lascia andare), sicuramente terrà l’attenzione del lettore più alta, senza annoiarsi a seguire soltanto il filo principale.

E il Paradiso di Dante è insopportabile. Povero Dante, vittima della sindrome dei Pearl Jam. Un primo capitolo sconvolgente, poi tutto il resto, mai all’altezza.

Tavole 71/77

Clint annuncia alla troupe il cambiamento di direzione del film.
Ecco, una cosa del genere, su un set cinematografico, equivale a dire ai direttori di produzione che hanno perso contemporaneamente entrambi i genitori in un incidente aereo.

In un film tradizionale, i due poteri forti sono rappresentati dal team di produzione e da quello artistico.
Del primo fa parte chi mette e chi gestisce i soldi (produttori, produttori esecutivi, amministratori, distribuitori) quindi quelli che si preoccupano, budget alla mano, dell’effettiva realizzabilità del film, nei tempi adatti all’uscita in sala.
I secondi invece (regista, sceneggiatori, attori ecc) si preoccupano di tutto quello che ha a che fare con la qualità del film che si sta realizzando.
E’ chiaro quindi che per questi ultimi, il film sia un costante work in progress da migliorare continuamente, anche a repentaglio della sua chiusura, mentre per i primi (per i quali ogni singolo passaggio è parte di una filiera produttiva molto più ampia), l’importante è portare a casa il girato nel minor tempo possibile.

Intuite benissimo che è veramente difficile che tra i due reparti scorra buon sangue.

Nella mia esperienza ho avuto modo di lavorare con tante di queste persone, alcune cazzuterrime, altre meno, ma posso garantire che un buon direttore di produzione è l’elemento più importante che possiate trovare sul set.
Più del regista.
Più dello stesso produttore.

Ma in questa sequenza mi sono voluto sfogare un po’ per tutte le volte che non sono riuscito ad ottenere i cambiamenti che richiedevo riguardo una determinata sequenza e, per voce di Clint (uno che ritengo sia arrivato al punto di potersi comportare in quel modo – per quanto sgradevole possa sembrare), dico su carta quello che su un set vero e proprio non potrei mai permettermi di dire!

Si, sono un autore frustrato. Lasciatemi sfogare così.

La sboronata con l’attorucolo, Flò e Sarah serviva, da una parte per fare – per l’appunto – una sboronata in puro stile JD, secondo poi per iniziare a chiudere qualche arco.

Ogni personaggio che occupa un certo ruolo nella storia deve compiere un suo arco.
Deve necessariamente partire da un punto A e trovare, nello svolgimento del racconto, il suo punto B.
Per quanto semplice o elementare possa essere, la mancanza dell’arco, lascia nel lettore un vuoto che non sa spiegarsi e che riassume nella sua testa con un: “ma allora quel personaggio che ci stava a fare?”

Punto A: Sarah è la dura e tosta coordinatrice del film. Inizia dando del filo da torcere a John e vessa la povera assistente Flo. Per di più si tromba un attorucolo facendogli fare carriera.
Punto B: Sarah si ritrova che la produzione del film che stava seguendo viene stravolta e lei è fatta fuori, sostituita per lasciare il posto a Flo, che oltretutto gli frega l’attorucolo.

allo stesso tempo

Punto A: Flo è una vessata assistente di produzione, priva di carisma e alla mercè delle persone più scafate di lei, tra cui lo stesso John.
Punto B: Flo merita di salire di grado per via della gavetta fatta sul set.

Ma gli esempi potrebbero continuare con tutti i personaggi di contorno perché le loro sono mini storie nelle storie.

Un tale diceva che le trame devono concludersi in maniera speculare.

Quindi un racconto di 100 pagine, che avrà il suo centro a pagina 50, chiuderà a pagina 90 le trame aperte a pagina 10 e intorno a pagina 70 quelle aperte a pagina 30.
E così via.
Questo fa si che le mini trame aperte a metà racconto trovino una conclusione praticamente immediata qualche pagina dopo, ma soprattutto che la trama generale che inizia a pagina 1, trovi il suo compimento soltanto a pagina 100.

Questo è il consiglio che mi dò ogni giorno.
Avere troppa fame è la cosa che più mi spaventa. Il baratro in cui si rischia di cadere quando si è affamati.
Un consiglio per John, ma in realtà un monito per me.

Tavole 78/81

L’articolo di Robin.

I giochi erano finalmente fatti.
John aveva convinto Clint ed il film era partito. Finalmente, quello che era lo scopo che Robin s’era prefissata, era stato raggiunto.

A questo punto, avevo quindi due necessità: rimettere in scena la p.r. di John e premere il pulsante dell’avanti veloce sulla realizzazione del film.
Ho unito queste due esigenze utilizzando il blog di Robin come “voce narrante” e mostrando diverse vignette ambientate in giorni successivi a quanto raccontato finora.

In questo modo, velocemente, ho potuto saltare tutti i passaggi che mostravano John attore (faticosissimi da digerire per il lettore, per cui trattati velocemente al fine di evitare l’effetto “Barbie sub”, “Barbie grande attrice”), il suo training, e varie peripezie sul set.
Ed in più, concludendo il tutto con questa vignetta:

mettevo proprio la parola fine alla nostra storia.
Prima che il film fosse uscito, già era un successo di pubblico.
Robin aveva ottenuto quello che voleva.

Ma.

Ma.

Voglio dire, siamo a tavola 81, ne mancano ancora 13… possibile che la storia sia finita qui?
Ci interessava VERAMENTE raccontare questo?
E soprattutto, che fine ha fatto Andy che era scomparso dopo aver dato il consiglio a John?

Se lo chiede anche il nostro dio nelle

Tavole 82/84

in cui, in sole tre pagine, passo decisamente troppi concetti (colpa mia, ero arrivato lungo), ossia:
La scomparsa di Andy


(Earl & Crabman sono un gentile omaggio di Luca Maresca)

John Doe attore

e Clint che inizia il suo delirio mistico.

Delle tre, la prima ha avuto il suo spazio. La seconda, come già detto, meno ne aveva e meglio stavamo tutti, la terza è stata trattata superficialmente.
Niente da fare, mea culpa.
Dopo aver ammantato Clint di un’aurea così leggendaria, raccontare la sua conversione in così poco spazio, l’ha ridotto ad una macchietta.
Me ne rendo conto.
Ma ho confidato nella grossa emotività delle scene precedenti e soprattutto di quelle che sapevo stavano per arrivare, per sperare che il lettore non gli desse così tanta importanza.
Dopotutto, arrivati a questo punto, il mio interesse non era più tanto su Clint (che qui, in pratica, arrivava alla conclusione del suo arco) quanto su John, Andy, e quel lato umano che si stava rivelando come il vero protagonista di questa storia.

E in queste vignette:

è nascosto già tutto quello che dopo andremo ad esplicitare: Clint se ne frega di Andy (appunto, il lato umano dei suoi film) perché troppo preso dalla sua deriva mistica.
Questo fa scattare il quinto senso e mezzo di John.

Tavole 85/89

John si reca all’indirizzo di casa di Andy

trova la porta aperta, ed entra.

Ed eccoci finalmente davanti ad uno dei miei momenti preferiti di tutto l’albo.

Allora, arrivato a questo punto (quindi a poco più di 10 tavole alla fine dell’episodio), ancora non sapevo se Andy esisteva oppure no.
Una parte di me voleva una conclusione alla Sesto Senso, con il lettore che torna ad inizio albo e scopre che solo John ha parlato con Andy per tutta la storia. E quella parte ha fatto si che io tornassi indietro e modificassi un po’ di cosine già scritte.
Fortunatamente quella parte è stata zittita molto presto.
Alla fine i sestosensismi li odio abbastanza, per cui, era deciso: Andy avrebbe sì rappresentato il lato umano di ogni film di Eastwood, ma sarebbe anche stato un personaggio in carne ed ossa.
Per cui, Andy, in un certo modo, quando non stava nel limbo dei personaggi inutilizzati, esisteva in tutto e per tutto.

Detto ciò… detto ciò, il Limbo dei personaggi in attesa di nuovo utilizzo, il cimitero dei non esistenti, mica m’era ancora venuto in mente!

Il confronto tra John ed Andy doveva avvenire a casa della comparsa, ma non mi convinceva.
Basta con ‘ste chiacchierone tra due personaggi in un unico ambiente.
Dovevo inventare qualcosa.

E oltretutto sentivo l’esigenza forte di ricollegarmi in qualche modo alla copertina realizzata da Davide De Cubellis.

Si perché in tutto ciò, mentre Luca ed io ci facevamo il nostro bell’albetto, l’attuale copertinista più bravo d’Italia mi scriveva per avere qualche notizia in merito all’albo in modo da iniziare a pensare a come copertinarlo.

Quando anch’io, non è che ne sapessi molto più di lui, gli scrivevo ciò:

“L’uomo con la macchina da presa” è il terzo numero della nuova serie di John Doe.

Come per altri episodi del primo story arc vediamo Robin Castillo, p.r. di John, alle prese con un modo per sollevare le quotazioni di John/Dio rispetto alla percezione degli esseri umani.

In questo caso l’idea è quella di farlo apparire in un film propagandistico sulla figura divina che lui rappresenta.
Sul concetto di dio e di religione in genere.
John ribatte che non accetterà mai… fino al momento in cui non scopre il nome del regista incaricato: il suo regista preferito di sempre (al momento siamo abbastanza certi che sarà Clint Eastwood).

Un regista profondamente ateo. Che nel suo immaginario ha sempre messo l’uomo e non il dio.
Quindi un regista che sicuramente farebbe scalpore realizzando un film intriso di religione.

John, che non può sfruttare i suoi poteri per scopi divini (sennò negherebbe il patto del libero arbitrio) e quindi si ritrova, come tutti, a fare un provino che non si concluderà benissimo, in quanto lo vede arruolato solo ed esclusivamente per fare la comparsa.

Resta stupito, è una grossa botta per il suo onore, finchè non incontra Andy.

Andy gli si presenta con questa battuta:  “Ci chiamano comparse e vogliono che nessuno si accorga della nostra presenza. Sarebbe più giusto “scomparse” allora. No?”
Andy afferma di aver fatto la comparsa in TUTTI i film del regista, che ormai lo considera una specie di portafortuna, e davanti a un John perplesso, sicuro di non averlo mai notato prima, risponde: “Mi hai sempre visto, ma io ho una faccia nata per essere dimenticata. Come la tua.”

Da questo momento quindi nasce una strana amicizia tra John ed Andy, un’amicizia nata in un ambito, quello delle comparse, di persone che si ammazzerebbero pur di farsi notare dal regista.
John impara molto da Andy ma nel momento stesso in cui viene notato dal regista e acquista sempre più peso nel film, inizia ad inimicarsi quello che sembrava un vero amico.

In breve l’amicizia tra i due naufraga e John diventa il pupillo del regista trasformando il film in uno spot religioso esattamente come programmato.

Ma qualcosa non va.

I film di questo regista hanno avuto sempre come fuoco, come obiettivo centrale, l’uomo, mai il divino, e John a un certo punto si troverà davanti al dubbio se continuare e realizzare, il primo – brutto – film di un regista che lui reputa un dio, oppure se rinunciare al suo proposito e, riconquistare un amico.

Il tutto, metaforicamente, ci serve per raccontare le frustazioni di Dio che, davanti ad un ateo, perde tutto il suo peso, il suo potere, svolgendo solo il ruolo di comparsa ai margini della sua esistenza.
Ed ha una doppia valenza sottolineando che in questo caso, dio è la comparsa, e ad esserci dietro alla macchina da presa è solo un uomo.

Il titolo invece, è preso in prestito da uno strano strano film del 1929, con una splendida locandina, che nasconde una storia molto particolare.”

Davide riflette un po’, e poi ci manda questo bozzetto:

seguito da questa mail:

“Roberto e Lorenzo, ciao.
Mauro, ciao in cc.

Come al solito, facce, ingombri, espressioni: tutto in fieri.
E’ solo un bozzetto.
Non so ancora con quale stile-tecnica la realizzerò.

Premesse.

In base a quello che mi ha scritto Mauro e alla mia interpretazione ho lavorato su quest’idea… con molto streben, ma è quello che volevo.
Se la seconda copertina era un ‘bastone’, questa dovrebbe un po’ fare da ‘carota’.

Non ho insistito molto sul “comedy”, per questo motivo. Ciò nonostante alcuni elementi inseriti nel bozzetto dovrebbero restituire all’azione una componente allegorica e “comedy”.

Concept.

La passione di Cristo, attraverso il cinema dell’uomo.

Dio s’è fatto uomo (il Cristo) per esperire tutto ciò che era dell’uomo e con la Passione, l’estremo e ultimo sacrificio, redimere l’uomo stesso dal peccato originale.
Cristo, (ultimo) agnello di Dio.

Durante la passione il Cristo si lascia giudicare, condannare e torturare dall’uomo fino alla pubblica gogna: la crocifissione.

John si fa uomo-attore in questo episodio, per attraversare le tappe di una nuova passione ed essere esposto alla gogna moderna del cinema: fatto per l’uomo e dall’uomo… il nostro regista in particolare.

Della sottotrama o trama parallela col personaggio “comparsa” me ne sono fregato abbastanza.”

Per me era fantastica.
Era fantastico soprattutto il ragionamento che stava dietro quel bozzetto.
Quindi gli ho fatto semplicemente togliere il nome di Eastwood dalla copertina per mantenere un minimo di curiosità sull’albo e tutto il resto è stato felicemente approvato.

Ma, e torniamo al ma di prima, m’assaliva nella mente il pensiero che poi, i lettori, si aspettavano di ritrovare il centurione col volto da macchina da presa nella storia!

Io me lo sarei aspettato.

Mi dicevo di no ma era solo un modo per non forzarmi ad inserire qualcosa che nella storia, fino a quel momento, non c’entrava nulla.
Certo che se avessi trovato un modo…

E il modo è arrivato mentre immaginavo questo Limbo dei personaggi dimenticati… Andy… e quindi qualcuno che lo scortasse per quelle lande.
Qualcuno di apparentemente minaccioso, come nella copertina, ma che poi si rivelava simpatico e divertente.

Anzi, proprio l’esigenza di non relegarli al ruolo di comparse mi ha fatto venire in mente che potessero avere questa stupida, piccola caratteristica:

Uno dei due ripete quello che ha appena detto l’altro.
L’altro si incazza.

Stop. Semplice.

Che tanto, di più, in quel poco spazio, non si poteva dire. Sclavi era un genio nel caratterizzare con elementi minuscoli dei personaggi che poi ti rimanevano nel cuore, io non aspiravo a tanto, ma il modello era sicuramente quello.

Ah. In giro per il cimitero dei personaggi che non vengono più utlizzati c’è:

Il battello di Steamboat Willie.
Il robot del Pianeta Proibito.
La luna di Melies.
La statua della libertà del Pianeta delle scimmie (l’originale).

Herbie.
Il libro dei morti di Evil Dead.
Semola.
Slottie dei Goonies.
Lo slittino di Quarto Potere.

Tavole 90/91

John finisce di parlare con Andy, comprende di aver sbagliato tutto e dopo aver visto che il suo mito è definitivamente diventato una macchietta, decide tranquillamente di cancellare la realtà di questo episodio:

Non credevo che me l’avrebbero mai passata, buttarla sulla gag, mi ha sicuramente aiutato.
E questo era il finale.

Tavola 92

Di tutta la realtà cancellata volevo comunque preservare il confronto tra John e il padre, quindi eccolo riproposto, ma con la battuta cambiata.
Clint resta la loro chiave, ma quello che è venuto a modificarsi è il ruolo svolto da John.

Questo l’epilogo numero uno.

Tavole 93 e 94

E questo l’epilogo numero 2.

Clint sta veramente girando un film intitolato Hoover, che dovrebbe uscire tra il 2011 e il 2012.
Mi piaceva concludere l’episodio nel giorno della prima perchè mi immaginavo si essere in sala, tra un annetto, e proprio come John, mettermi a cercare tra i fotogrammi, alla ricerca di Andy.

Ecco fatto.
L’episodio si chiude qui.
Mi scuso per essere stato troppo verboso ma spero di aver solleticato la curiosità, risposto a qualche domanda e magari aver svelato un po’ di quello che si nasconde dietro questo splendido mestiere.

Durante la stesura dell’albo non sono stati danneggiati animali ma in compenso ho ascoltato un sacco di bella musica.

(in rigoroso ordine alfabetico):

Swanlights – Antony and the Johnsons
The suburbs – Arcade Fire
Humbug – Arctic Monkeys
Transit Transit – Autolux
Penny Sparkle – Blonde Redhead
All the people – Live at Hyde Park 02/07/2009 – Blur
Californication – First Season OST
Dark Night of the Soul – Danger Mouse & Sparklehorse
Songs of pain 1980-81 – Daniel Johnston (“Never Relax”, vero Giò?)
Hunky Dory – David Bowie
Halcyon Digest – Deerhunter
Into the Wild – Eddie Vedder
D-Sides, Plastic Beach – Gorillaz
Grinderman 2 – Grinderman
Hawk – Isobel Campbell / Mark Lanegan
Our Inventions – Lali Puna
Overtime – Mary and the Strays
Heligoland – Massive Attack
Low Life – New Order
Slanted & Enchanted – Pavement
Greatest Hits. So far. – P.I.L.
Scott Pilgrim Vs The world OST
Rubber Soul, Revolver, Abbey Road – The Beatles
The Queen is dead – The Smiths
The XX – The XX
The Eraser – Thom Yorke
Desperate youth, blood thirsty babes – Tv on the Radio
Send, Object 47 – Wire.

Niente roba italiana quando sceneggio, perché sennò mi perdo a sentire le parole e finisco col trascriverle, come per errore.

Ciao.

[G.O.L.] Federico Rossi Edrighi.

10 settembre 2010 da Mauro

Inutile girarci troppo intorno: ho un debole per Federico.

Per TUTTO Federico.
Non solo per il disegnatore stiloso e originale che è (si, il termine stiloso lo intristirà come poche altre cose).
Non solo perché quando parla sprigiona un fiume continuo di intuizioni geniali & argute e battute fulminanti (si, le intuizioni geniali & argute lo lasceranno perplesso).
Non solo perché qualsiasi cosa decida di fare la fa meglio di chi la studia da anni per farla bene. Sia che stiamo parlando del character design per dei personaggi d’animazione, sia nel doppiaggio – in inglese – della colonna guida di un film! (Eh si, sul fatto che io abbia scritto “decida di fare” e non “sentirsi costretto a” avrebbe qualcosa da ridire!)
Non solo perché qualsiasi cosa decida di fare emani talento, un talento puro e allo stesso tempo modulato, controllato, e direzionato alla buona riuscita di qualsiasi progetto (si, ora si starà grattando il pizzetto riflettendo su “modulato e controllato”).
Non solo perché un giorno è stato Silver (shhhhhh).
Non solo perché il massimo della sua felicità lo esprime quando inarca un sopracciglio.
Non solo perché il suo punto di vista è talmente diverso dal resto del mondo da renderlo allo stesso tempo alieno e prezioso (si, qui avrà già chiuso la pagina e non saprà mai come andrà a finire questo post!)
Non solo perché è dal momento stesso in cui l’ho conosciuto (stiamo parlando di una ventina d’anni fa…) che ho creduto in lui e in quello che sarebbe riuscito a fare (ho avuto gioco facile, quelli come lui ce l’hanno scritto in faccia, nel suo caso, sul naso).
Non solo perché da quando il suo talento è stato riconosciuto da chiunque abbia avuto a che fare con lui io mi sento un po’ contento e un po’ emozionato.

Ma per ognuno di questi motivi e per tutti gli altri che mi verranno in mente nei prossimi minuti e che mi porteranno ad aggiornare costantemente questo articolo.

Non c’è un singolo aspetto di Federico che possa essere ritenuto prescindibile. Non c’è un solo aspetto per cui non valga la pena interpellarlo, e ascoltare quello che, laconicamente, avrà da dirci in merito.

E ora rifatevi gli occhi con alcune delle chicche presenti nel suo blog:

Tra cui questa, a cui sono particolarmente affezionato perché è stata realizzata per il mio compleanno e sottolinea tutto il suo amore per Zagor (che è, ricordiamolo, il miglior personaggio di sempre della storia dei fumetti)

Qui invece una serie di Thumbnails (la fase che anticipa lo storyboard in cui, per la prima volta, le idee passano dalla sceneggiatura alla carta e si iniziano ad impostare regia ed acting) per dei lungometraggi animati (tra cui l’imminente Winx 2) in cui Federico dimostra la sua capacità di dare vita alle cose con pochi e semplici segni.

Qualche disegnino extra, cavato fuori dalla notte dei tempi, per omaggio a quello che è stato e quello che sarà.

e per chiudere, IN ANTEPRIMA ASSOLUTA, eccovi

DANIELA

la protagonista della graphic novel che Federico ed io stiamo realizzando, con i colori di Annalisa Leoni, per quei bravi ragazzi della Tunuè.
Io già la amo.

Questo, e molto altro, è Federico.
Ora fatevi avanti, coinvolgetelo nei vostri progetti, fate finta che sia vostro amico da anni e che gli volete più bene di quanto ne volete a me.
Ho le spalle grosse, sopravviverò.
Odiandovi.

Nella splendida cornice della libreria Bibli, quei tre oscuri personaggi vi parleranno della graphic novel che stanno realizzando a sei mani per Bompiani.

Tra un bicchiere di vino e l’altro vi narreranno gustosi retroscena, mostreranno inediti studi dei personaggi e reciteranno, in anteprima per voi e grazie alle loro straordinarie capacità attoriali, le prime 20 tavole del fumetto.

Questo, il comunicato stampa Bompiani:

Giovedì 6 maggio, ore 21

Centro Culturale Libreria Bibli

Via dei Fienaroli 28

Appuntamento con

“Lavori in corso. Dieci scrittori e il loro prossimo libro”

Incontro con

Pulsatilla

L’idea di questa graphic novel nasce da un progetto curato da Clara Sereni, «Amore Caro – a filo doppio con persone fragili», i cui contributi sono stati raccolti in un’antologia dal titolo omonimo che è uscita nel 2009 per Cairo Editore. L’idea, oltre a quella di raccogliere fondi, è di parlare della disabilità fisica e mentale in maniera autentica, comprensibile e concretamente utile. Hanno aderito a questo progetto – autobiografico per scelta e per necessità – diverse persone note – chi scrive per mestiere, chi no: Franco Amurri, Lorenzo Amurri, Oliviero Beha, Giovanni Maria Bellu, Gloria Buffo, Paola Free Martin, Paola Cortellesi, Barbara Garlaschelli, Valentina Locchi, Kikka Menoni, Lunetta Savino, Marco Savino, e, naturalmente, Pulsatilla; tutte persone che hanno in famiglia un disabile, una persona affetta da disturbo psichiatrico, o comunque una persona cosiddetta «fragile». Si tratta di amori importanti, ma costosi: «Caro» nella sua doppia accezione. Il formato dei racconti è la lettera: Amore Caro, virgola a capo. Ne sono us citi racconti piuttosto struggenti.

Dalla lettera che Pulsatilla ha scritto al papà bipolare, nasce l’accurato lavoro a fumetti al quale sta lavorando da un anno e mezzo con un disegnatore e uno sceneggiatore: Mauro Uzzeo & Marco Marini, affermati professionisti nel settore del fumetto e dell’animazione 3D. La graphic novel, che per ora porta il titolo provvisorio di «Lucina», uscirà l’anno prossimo per Bompiani.

La storia è stata trattata dai tre autori come un «on the road»: in macchina ci sono un padre in difficoltà e una figlia che, avendolo a carico, lo sta portando all’ospedale psichiatrico per un ricovero. Attraversando lo Stivale in macchina da Nord a Sud, i due ripercorrono la storia della loro famiglia e della malattia. Il tutto con toni ondivaghi: leggeri, amari, violenti, teneri, a volte comici, come sono quelli di Pulsatilla; e, naturalmente, con dei disegni di straordinaria bellezza.

Nata nel 1981, Pulsatilla entra nella cinquina del Campiello Giovani a diciotto anni con un racconto breve. Lavora come copywriter e apre un blog che diventa popolarissimo in Rete. Nel 2006 debutta con La Ballata delle Prugne Secche (Castelvecchi) e scala le classifiche. Nel 2008 con Bompiani pubblica Giulietta Squeenz e Quest’anno ti ho detto male. Nel 2009 partecipa all’antologia Amore Caro a cura di Clara Sereni, edita da Cairo. Attualmente è al lavoro su un libro per Mondadori e una graphic novel per Bompiani. Scrive anche per cinema, fumetti, teatro e riviste.

Come sceneggiatore di fumetti, Mauro Uzzeo spazia dall’editoria indipendente (“Velo di Maya” per Montego, “Alta fedeltà” per le Edizioni BD) a quella della grande distribuzione (“Blue” per Coniglio Editore, “Dylan Dog” per la casa editrice di Sergio Bonelli). Dal 2001 svolge l’attività di sceneggiatore e regista di cortometraggi (Tricky’n’Ducks), videoclip musicali (Tiromancino, Ligabue, Jovanotti, Subsonica, Planet Funk, Coolio & Snoop Dogg) e spot televisivi (Coca-cola, Vodafone, Particella di Sodio dell’Acqua Lete) ottenendone riconoscimenti italiani e internazionali (premiato al Future Film Festival, ai Castelli Animati e al Festival tedesco Animago). Dal 2006 affianca Iginio Straffi nella realizzazione delle avventure delle fatine Winx, sia nella loro incarnazione televisiva quanto in quella cinematografica e attualmente è al lavoro sul nuovo lungometraggio animato della Rainbow Cgi, società di cui è direttore responsabile del reparto creativo.

Marco Marini, Roma, 1968.
Comincia appena diciassettenne a lavorare come scenografo negli stabilimenti cinematografici di Cinecittà alternando il lavoro sul set a quello di fumettista. Per tutti gli anni ’90 lavora per diverse testate (Blue, Selen, Montego, Altafedeltà) realizzando storie, copertine, illustrazioni. Dal 2001 si occupa dell’art-direction e del concept design per diverse società di animazione (Rainbow CGI) e di post produzione (Animantis, Direct2Brain) partecipando alla realizzazione di spot tv, clip musicali e lungometraggi animati in 3d.

Lavori in corso – Dieci scrittori e il loro prossimo libro.

Ciclo di incontri a cura di Giuseppe Antonelli, Mario Desiati, Matteo Motolese, Stefano Petrocchi, Chiara Valerio.

In collaborazione con la Provincia di Roma.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

Accorrete numerosi per abbracciarci, ubriacarci e financo litigare per qualche film visto recentemente!

… il nuovo corso di John Doe!

P.s.
Sia sempre lode a Federico.

P.p.s.
per chi non sapesse di cosa si sta parlando… andate a leggere qui e a sentire qua (grazie maschioni!)!

Chi è Mauro Uzzeo?

11 gennaio 2010 da Mauro

Attivo a 360° nel campo dell’intrattenimento, Mauro Uzzeo è da anni al servizio del fumetto, del cinema  e della televisione.

In ambito fumettistico spazia dall’editoria indipendente – Montego, Edizioni BD, Coniglio Editore, Bao e NicolaPesceEditore – a quella della grande distribuzione – Editoriale Aurea, Sergio Bonelli Editore, Star Comics, Cosmo – nasce artisticamente sulle pagine della gloriosa Blue edita da Francesco Coniglio e oggi, dopo aver prestato la sua penna per la collana dedicata ai Maestri dell’Avventura e aver offerto la sua interpretazione di Battaglia – il famoso vampiro siciliano inventato da Roberto Recchioni e Leomacs –  è uno degli sceneggiatori dello staff di Orfani e di Dylan Dog, il secondo fumetto più venduto d’Italia.

Dal 2001 svolge l’attività di sceneggiatore e regista di cortometraggi animati (Tricky’n’DucksIl Bambino che ha spento le stelle), spot televisivi (Coca-cola, Vodafone, Particella di Sodio dell’Acqua Lete) e videoclip musicali (Tiromancino, Jovanotti, Subsonica, Planet Funk, Coolio & Snoop Dogg), attività che porta avanti tuttora (recenti le uscite dei suoi ultimi videoclip: Dimentichiamoci realizzato per il nuovo singolo di Bungaro feat. Paola Cortellesi, Non Ero Io, per Mimosa e I’m Over della band Hedy Lamarr, con la partecipazione di Olga Shapoval e la fotografia di Davide Manca) ottenendone riconoscimenti italiani e internazionali (premiato al Future Film Festival, ai Castelli Animati e al festival internazionale Animago).
Insegna comunicazione e narrazione cross-mediale e affianca Iginio Straffi nella realizzazione delle avventure delle fatine Winx, sia nella loro incarnazione televisiva sia in quella cinematografica. Porta a termine l’impresa di consegnare nelle sale italiane e internazionali, il kolossal animato in computer grafica Gladiatori di Roma, grazie al lavoro e alla dedizione di tutto il team della Rainbow Cgi, società di cui è stato – dal 2006 al 2012 – direttore responsabile del reparto creativo. Per la Lucky Dreams di Andrea Lucchetta realizza le sceneggiature di Spike Life, serial tv di 23 puntate, coprodotto dalla Rai e rivolto a un pubblico di adolescenti, mentre per Graphilm e Rai Fiction scrive Bu-Bum! La strada verso casa è un cartone animato ideato da Maurizio Forestieri, Giovanni Di Gregorio e Francesco Artibani trasmesso in Italia, da Rai Gulp, dal 1º luglio 2016..

Inviato fisso ai più importanti festival italiani, scrive di Cinema per La Repbblica – XL, e per BestMovie e, sempre in campo cinematografico, dopo aver lavorato agli effetti visivi del film L’ultimo terrestre (esordio alla regia del fumettista/illustratore Gipi) che gli sono valsi la prestigiosa nomination per il David di Donatello, e aver curato la regia della sigla animata del film di Fausto Brizzi Com’è bello far l’amore, entra a far parte dello staff degli autori Wildside, per la quale sta scrivendo due lungometraggi.
Dopo aver diretto #Cose da Uomini – serial web prodotto da Fish-Eye insieme al Dipartimento delle pari opportunità – per sensibilizzare sul tema della violenza sulla donna, ha scritto, su soggetto di Roberto Recchioni e per la regia di Ivan Silvestrini, la sceneggiatura di MONOLITH, primo lungometraggio prodotto dalla Sergio Bonelli Editore, Sky e Lock & Valentine. Tratto dall’omonima graphic novel scritta insieme a Recchioni per i disegni di Lorenzo LRNZ Ceccotti, il film è stato presentato con successo all’edizione 2016 del FrightFest di Londra.
Dopo Monolith scrive The Cab, un altro thriller cinematografico che, con Monolith ha in comune l’essere completamente ambientato all’interno di un’automobile, e Mauro, in tutta la sua vita, di automobili, non ne ha mai guidata una.
Ma giura di iscriversi presto a scuola guida.

Membro del collettivo Uno Studio in Rosso, insieme ai colleghi Gud, Paolo Campana, S3keno e Fabrizio Verrocchi, inventa e organizza l’ARF!, festival romano che si svolge all’interno della splendida cornice del MACRO di Roma e che vede il fumetto tornare protagonista anche nella capitale!
Candidato al prestigioso Premio Micheluzzi per il suo albo d’esordio su John Doe, viene recentemente onorato della vittoria del Premio Andrea Pazienza per il suo ruolo di “agitatore culturale” e come “Miglior Sceneggiatore del 2016”.

Nasce il 25 agosto del 1979 cominciando malissimo e  migliorando man mano.

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Quello che faccio.

10 gennaio 2010 da Mauro

fotogramma da un film di Melies

Scrivo preoccupandomi di come rappresentare visivamente quello che ho scritto, raccontandomi con la scusa di raccontare.

Ho partecipato alla realizzazione di videoclip musicali (Tiromancino, Jovanotti, Planet Funk, Subsonica, Coolio e Snoop Dogg) e spot pubblicitari (Coca Cola, Vodafone, particella di sodio dell’acqua Lete) collaborando con registi del calibro di Maki Gherzi, Ascanio Malgarini, Marco Gentile, Ambrogio Lo Giudice e Ago Panini.
Dopo aver vinto qualche premio girando cortometraggi animati sono stato chiamato ad assistere Iginio Straffi (Mr. Rainbow) nella realizzazione delle avventure delle fatine Winx nella loro incarnazione cinematografica in cgi e a sceneggiare gli episodi della serie animata in compagnia degli immensi Francesco Artibani, Lorenzo Bartoli, Alessandro Bilotta e Giovanni Masi.

Ho scritto fumetti, racconti, biglietti d’auguri e ho diretto il booktrailer di Mani Nude, romanzo scritto da Paola Barbato per Rizzoli.
Bruno Brindisi ha divinamente illustrato l’episodio di Dylan Dog che ho sceneggiato a quattro mani con l’Axl Rose del fumetto italiano Roberto Recchioni e sempre a quattro mani sto scrivendo una graphic novel per Bompiani in compagnia della saltellante Pulsatilla. Quella del blog, quella dei libri, quella di Max.
In lavorazione un nuovo lungometraggio animato e una graphic novel per i bravi ragazzi della Tunuè con Federico Rossi Edrighi.
Da almeno dieci anni i disegni di Marco Marini rendono felice me e i nostri datori di lavoro.

Sono nato il 25 agosto del 1979 cominciando malissimo e migliorando man mano.

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