Ant-Man – Recensione.

23 luglio 2015 da Mauro

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Non scrivo recensioni da queste parti da quando ho cominciato ad andare in giro per i festival cinematografici come inviato di La Repubblica – XL.
Non è una cosa voluta, eh! E’ accaduta per caso e me ne rendo conto soltanto adesso, per questo motivo, l’uscita di Ant-Man mi sembra una buona scusa per ricominciare a farlo, perché è un film che si racconta meglio parlandone che recensendolo.
Partiamo facili, da quello che dovete sapere per far finta di aver visto il film se per caso vi trovaste a una cena circondati da gente che ne parla.
Ormai i nerd, o quelli che si professano tali, sono ovunque, quindi il rischio c’è.

Ant-Man è il nuovo film del cinematic universe della Marvel, l’ultimo della cosiddetta “Fase Due”.
Cosa voglia dire Fase Due, cosa sia la Fase Uno e cosa aspettarsi per la Fase Tre, credetemi, non v’interessa realmente, prendetelo come l’ultimo tassello di un percorso che ne anticipa un altro ancora più maestoso e più non dimandate.

Come tutti i film prodotti dai Marvel Studios, Ant-Man è un eroe che nasce su carta grazie alla fantasia di Stan Lee e Jack Kirby, e nonostante gli scemotti presupposti di base è sulla scena da più di cinquant’anni. Per Scemotti Presupposti di Base intendo che Ant-Man (letteralmente Uomo Formica) non ha la forza di Superman o di Hulk, né la fighezza assoluta di un Batman o di un Iron Man, ma è un supereroe che può rimpicciolire e controllare mentalmente le formiche.

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Rimpicciolire. E. Controllare. Mentalmente. Le. Formiche.
Dico davvero.
Ma per quanto tutto questo possa sembrare naif, è innegabile che alla fine, l’omino che rimpicciolisce e si confronta con la maestosità – e i pericoli – di quel mondo che, pur essendo sotto i nostri occhi tutti i giorni, è troppo piccolo per attirare la nostra attenzione, nasconde un fascino irresistibile.
Ce l’aveva già insegnato Richard Matheson nell’imprescindibile romanzo Tre Millimetri al giorno

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e l’aveva ribadito Jake Arnold nello strepitoso film The Incredible Shrinking Man

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tratto proprio dal racconto di Matheson che, oltretutto, ne firmò pure la sceneggiatura.

(Momento ridiamo: in Italiano il film venne insensatamente intitolato Radiazioni BX Distruzione Uomo.)

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(fine momento ridiamo)

Ma lo stesso presupposto di base ha ispirato negli anni decine di adattamenti che ad esempio, nella rappresentazione fumettistica di casa nostra, hanno raggiunto vette di eccellenza assoluta tra le pagine di Zagor

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o tra quelle di Martin Mystere, il Detective dell’Impossibile inventato da Alfredo Castelli.

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In ognuna di queste storie, la componente scenica e avventurosa la fa chiaramente da padrona.
Come sprecare un’occasione simile senza mostrare combattimenti con ragni e insetti giganti? Lotte nella polvere dei pavimenti o la paura di essere calpestati dai grossi piedi di umani colossali?
Ma curiosamente interviene, in ognuna di queste storie, una riflessione, affatto scontata, sulla piccolezza dell’uomo rispetto alla maestosità del mondo che lo circonda. Quanto alla fine, tutti gli struggimenti e le battaglie che compiamo, viste da un occhio altro, possano risultare movimenti quasi impercettibili.

La possibilità quindi, di coniugare avventura, action, divertimento, e qualche sprazzo di riflessione antropologica, dev’esser stata la molla che ha fatto scattare nella testolina del sommo Edgar Wright (L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz, Scott Pilgrim, La fine del mondo) l’idea di fare un film su Ant-Man.

E attenzione, non è che al sommo Wright l’idea sia venuta un paio d’anni fa in piena cinecomics mania, nossignore.
Wright e il suo socio Cornish scrivono il primo trattamento di un film di Ant-Man dodici anni fa, nel 2003.
Nel 2006 la Marvel se ne accorge e porta Wright a parlare di Ant-Man al Comic-Con di San Diego, l’idea è quella di farne un film, per l’appunto, piccolino, ma che contenesse in sé parecchi elementi tanto di comedy quanto di action.
Qui potete vedere la presentazione dello stesso Wright

Mentre qui potete vedere il promo, diretto da Wright, che venne proiettato proprio al Comic-Con

L’idea risulta vincente e il progetto, contrariamente al suo protagonista, cresce, cresce, cresce.

Da filmetto indipendente diventa una proprietà importante dell’universo cinematografico che la Marvel stava iniziando a costruire, al punto da renderlo la base di partenza della Fase Tre che, nelle intenzioni dei Marvel Studios, sarà la più imponente invasione di cinecomics mai vista finora.

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Ma più il progetto cresce e più il film di Wright inizia a subire pressioni.
Troppe voci intervengono a dire la loro, troppi interessi si sommano su un’unica pellicola, troppe tensioni vengono mal gestite e quindi, nonostante una sceneggiatura definitiva consegnata e nonostante alcune riprese già effettuate – e mostrate pubblicamente – il 23 Maggio 2014, Wright abbandona il progetto per “divergenze creative” con i Marvel Studios.
Se quel giorno avete sentito un gigantesco NOOOOOOOOOOOOOOOOO! gridato dalle parti di Roma, ero io.
Sì perché l’unico con l’intelligenza adatta a manovrare una materia così delicata in bilico tra ironia, azione e filosofeggiamenti vari era il sommo Edgar Wright, senza di lui, si poteva solo prevedere il peggio.
E il peggio, puntuale come un crash di word senza aver salvato, avviene.

Al suo posto viene chiamato il regista de “Il ritorno del maggiolino tutto matto”, “Abbasso l’amore” e “Ti odio, ti lascio, ti…” e la sua sceneggiatura originale inizia a essere rimaneggiata dall’universo.
La riscrive Adam McKay, la riscrive Paul Rudd (sì, l’attore protagonista) e la riscrivono anche gli altri due attori co-protagonisti, Evangeline Lily e Corey Stoll.
E si sa che quando le sceneggiature vengono riscritte dagli attori l’abominio è dietro l’angolo.
Direte: “Cristo, peggio di così?”

Sì.

Anche Gabriel Ferrari (lo sceneggiatore del prossimo Transformer) e Andrew Barrer (lo sceneggiatore dell’orrido Haunt) vengono chiamati per apportare ulteriori revisioni su una sceneggiatura ormai allo sbando.

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I fan protestano e si fanno esplodere in pubblica piazza, i Marvel Studios assicurano che nulla è stato toccato della sceneggiatura di Wright, ma ci pensa Evangeline Lily a metterci una pezza a fine 2014 annunciando:

“Ho visto con i miei occhi come la Marvel abbia trasposto la sceneggiatura di Wright nel loro mondo. Hanno creato questo universo, e tutti quanti si aspettano un certo tipo di film. E quello che Edgar aveva creato era più nello stile di Edgar Wright. Erano molto differenti. E ho pensato che se la Marvel avesse permesso a Edgar di creare la sua incredibile visione – che sarebbe stata molto simile ai fumetti classici – sarebbe stato folle da girare e divertentissimo da guardare. Ma non sarebbe stato adatto all’universo Marvel”.

Nell’aprile del 2015, Joss Whedon, regista dei due Avengers e vera e propria mente creativa dietro tutto ciò che di buono hanno iniziato a fare i Marvel Studios dichiara:

Io non ho ancora capito. Non solo pensavo che lo script di Edgar Wright e Joe Cornish fosse il migliore mai fatto per un film dei Marvel Studios: era anche quello più “Marvel”, nel vero senso della parola, che avessi mai letto. Non avevo alcun interesse in Ant-Man. Poi lessi lo script e mi sono detto: ma certo! È fantastico! Mi aveva ricordato i fumetti di Ant-Man, quando li avevo letti. Irrivetente, divertente, poteva rendere enorme ciò che era minuscolo e vice versa. Non so in che momento le cose siano andate storte. Ma la cosa mi ha fortemente intristito. Pensavo: questo sarà un successo. Questa è la Marvel che fa qualcosa di completamente giusto. Qualsiasi dissonanza si sia creata, qualsiasi cosa sia successa, non capisco perché abbiano pensato che fosse più importante di un matrimonio che sembrava così perfetto.”

Potete immaginare quanto, a quel punto, il mio interesse per il film fosse totalmente svanito.

L’uscita di un trailer miniaturizzato

ridestò la mia attenzione fin quando, cinque minuti dopo, lo stesso trailer non venne riproposto a grandezza naturale

e la sua completa inutilità fu la mia personale pietra tombale su tutto il progetto.

Quando sono stato invitato all’anteprima, il mio primo desiderio era quello di lasciar perdere.
Voglio dire, è il 22 luglio, fa caldissimo, c’è il mare, c’è Martina, c’è mio figlio, ma perché devo andare a vedere quello che già lo so che sarà un filmaccio?

E invece vado.
Vado pentendomene a ogni passo e pensando a quante cose potrei fare nelle due ore che sto andando a sprecare.
Voglio dire, in due ore ci vado a Napoli, mangio una pizza da Pellone e torno.
In due ore posso scrivere le più belle pagine della mia vita, posso finire almeno un paio dei sette libri che ho iniziato, sudare sul corpo della mia donna, vedere GZ tentare il suicidio quattordici volte, dormire.
Dormire.
Aspettate, in due ore posso dormire!
Con questa consapevolezza vado al cinema sereno.
Se il film fa schifo, semplicemente, dormirò.
E avere due ore di sonno gratis, al fresco, di questi tempi non è affatto poco.

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Mi siedo. Sono circondato di amici bellissimi e il film comincia.
Malissimo.
Il film comincia malissimo con un prologo che regala una regia televisiva, la fotografia di Duccio Patané, degli attori che danno meno del minimo sindacale e uno script pessimo.
Sorrido soddisfatto, sistemo meglio il culo sulla poltroncina, vado per chiudere gli occhi, quando… entra in scena Paul Rudd nel ruolo di Scott Lang, il protagonista!
Inizio a sorridere. Le sue battute non sono geniali, ma ammetto che fanno sorridere. Le scenette che lo vedono impegnato non sono la grande commedia americana ma sono costruite benino, e migliorano.
Migliorano.
Nel giro di venti minuti non voglio più dormire e sono in mano al film.
Nonostante lo stia vedendo in doppiaggiano e nonostante sia in 3d (i due motivi principali per cui ormai odio andare al cinema) sono completamente nelle mani del film.

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Scoppio a ridere una volta. Due. TRE.
In un caso rido più forte di quando Giacomo e Riccardo hanno visto il nano.
Rido e mi esalto e per la prima volta non accuso la lunghezza di un film Marvel ma ne vorrei ancora e ancora e quando esco dalla sala sono decisamente soddisfatto.
Cosa è successo, quindi?

I Marvel Studios senza Edgar Wright sono riusciti lo stesso a realizzare un gran film?
No.
Adesso non esageriamo.

Il film buca terribilmente tutti i momenti emotivi e tutta la costruzione drammaturgia dei personaggi. Tutti, senza scampo.
Evangeline Lily a inizio film sembra del tutto fuori ruolo mentre Michael Douglas lo resterà per tutta la durata della pellicola.

Ma quello che in Ant-Man è incredibilmente azzeccato sono tutti i momenti divertenti e esaltanti.
Paul Rudd, il protagonista. Tutti i personaggi secondari (su cui svetta, comune, assoluto e incontrastato: Michael Peña). Le gag. Le scene di combattimento. Le scene col personaggio rimpicciolito al cospetto col mondo e il suo rapporto con le formiche (sì, ehm, con le formiche), e anche il modo in cui, rispettando ormai la regola non scritta di questo piccolo sottogenere, anche in questo caso venga sottolineato quanto siano piccole queste grandi battaglie e come possano essere, allo stesso tempo, enormi.

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Non viene dimenticata neanche la chicca dell’approfondimento filosofeggiante che, in questa occasione, viene impreziosito da un’originale e inaspettata scelta di rappresentazione visiva, per una volta, valorizzata dalla visione stereoscopica.

Quindi, cos’è Ant-Man?

Un oggetto che dimostra – e adesso ne abbiamo una prova in più – quanto nelle mani di Wright sarebbe stato qualcosa di immortale ma che riesce, comunque, a intrattenere alla grande senza annoiare e senza insultare i nostri pollici opponibili.
E’ un film perfettamente inserito all’interno della continuity Marvel – la sua “sfida” agli Avengers vi regalerà più di una risata (non vi dico contro chi lo vedrete combattere) e , proprio come l’odiatissimo (dai nerd) Iron Man 3, si distingue dalla cialtroneria imperante degli altri cinecomics mostrando più d’uno sprazzo di, preziosissima, personalità.
Oltretutto, contrariamente agli altri film dei Marvel Studios che, dopo una prima parte esaltante, muoiono nel secondo tempo, Ant-Man offre una seconda parte molto più interessante della prima.
E questo è assolutamente un bene.

In sala uscirà il 12 agosto e io ve lo consiglio.
Fa ridere e vi porterà a tifare per delle formiche e una banda di scemi.

Poi, oh, alle brutte, potrete sempre dormire.
Che due ore di sonno al fresco, di questi tempi, non sono affatto poco.

Weekend in tour!

26 giugno 2015 da Mauro

Viterbo, Milano, Sarzana.
Queste le tappe del mini-tour che mi vedrà impegnato questo fine settimana quasi fossi la custodia di un musicista indie che va di qua e di là come una pietra rotolante.
Per cui, se volete incontrarmi per chiedermi chi è il figlio di Ringo, di chi è figlio il figlio di Rosa, di chi è figlio mio figlio e di che figlio sono figlio io, oppure se volete sapere in quanti guai ci stiamo cacciando io e Giorgio Santucci con la nostra storia di Dylan Dog, oppure se volete picchiarmi, abbracciarmi o, meglio, regalarmi della burrata, segnatevi questi tre appuntamenti:

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Stasera, a Viterbo, alle ore 21:00 nel Cortile San Carluccio, sarò ospite del festival CAFFEINA in bella compagnia di Roberto Recchioni e Giorgio Santucci.
Si parlerà di Dylan Dog, ovviamente, e di quel che stiamo realizzando in questo momento. Ma si parlerà anche di Orfani, Ringo e di fumetto tout court.
E poi a Viterbo si sta benissimo quindi, comunque, varrà la pena venire.

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Però se passate venite da noi e non da Alberto Angela che ha un incontro nello stesso momento!

Poi.
Domani, 27 Giugno, parteciperò anch’io ai super eventi organizzati della Bao Boutique

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e insieme a Emiliano Mammucari e al maestro Carlo Ambrosini presenteremo presso la BaoBoutique di via Vigevano 11 (dalle ore 17.00 in poi) il primo fantastico volumazzo di Orfani:Ringo  realizzato dalla Bao Publishing

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dedicandolo a tutti i presenti che si paleseranno.
Inutile dirvi che il volume è una bomba termonucleare.

Poi.
Sempre con Emiliano Mammucari, e stavolta anche insieme a Luca Maresca, potrete trovarci, Domenica 28 a Sarzana, presso la fumetteria Comic House.

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Per me che Sarzana è quel luogo mitologico in cui Fabrizio De Andrè fece un grandioso concerto tanti tanti anni fa, è un’ottima occasione per scoprirla anche da turista. Approfittatene anche voi, ma alle 21.30 becchiamoci tutti in fumetteria.
Da lunedì si torna a Roma, per il momento, grazie a tutti quelli che vorranno venire a incontrarci.

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Sono tornato a casa adesso.
E’ quasi l’una.
Sì, è colpa mia che abito su un lago lontano lontano, ma l’ultimo pannello l’ho montato che era già buio da tanto, e l’ho montato anche storto.
Ma questo è ininfluente, la cosa importante è che sopra ci fosse scritto ARF!
Però siamo già alla fine e io questa storia voglio cominciarla dall’inizio, che tanto l’inizio è l’altro ieri.
L’altro ieri, dicembre 2014. Una telefonata, una sorta di arruolamento e di colpo, in una stanza, Gud, Paolo, Stefano, Fabrizio ed io. E Lorenzo, anche che ci parlava delle specifiche dell’Auditorium del Massimo facendoci capire per bene cosa si poteva e cosa non si poteva fare. Metto a fuoco durante una pausa caffè: si sta parlando SERIAMENTE di fare un festival del fumetto. Di farlo a Roma.
Con quali sovvenzioni?
Nessuna, fu la risposta.
Sponsor?
Nessuno, fu la risposta.
Uhm.
Abbiamo lo spazio, il posto dove farlo.
Gratis?
A meno di quanto costerebbe realmente.
E’ un inizio.
Già.
E la domanda “Come lo facciamo?” a quel punto poteva meritarsi la sfrontatezza di un “Come lo vogliamo.”
Tornare alle origini, alla base di quel che facciamo e sappiamo, dove risiede forte e fiero il fumetto.
Punto di partenza e di arrivo.
Un festival dedicato al fumetto. A tutto ciò che è fumetto. A tutto quel che il fumetto tocca e tutto quel che il fumetto è e a tutto ciò con cui si basta.
Autori, Editori, Lettori, il fumetto torna protagonista. Una festa!
I modelli: “I Castelli Animati” di Luca Raffaelli, il “NapoliComicon” di Alino e Claudio, il “TCBF”, “Più liberi più libri”.
Quattro momenti di vera cultura dell’animazione, del fumetto, della letteratura.
Qualcosa cui ci sarebbe piaciuto assistere più che partecipare. Qualcosa che, purtroppo, nella Capitale manca da troppo tempo e che il fumetto deve tornare ad avere. Perché le candidature allo Strega sono comunque un segnale. Le vendite lo sono sempre stato, la qualità lo è sempre stata e i lettori lo hanno sempre saputo.
La formula è davvero molto semplice:
– mostre interessanti
– incontri che non siano tanto semplici conferenze quanto dei veri e propri eventi unici
– spazio ai bambini tanto quanti agli adulti
– opportunità di lavoro
– mostra mercato
– performances di disegno
– coinvolgere il maggior numero possibile di autori e editori.

Abbiamo chiamato tutti e a tutti abbiamo raccontato che volevamo smetterla di lamentarci del fatto che a Roma non accade mai nulla, e volevamo farlo accadere noi.
Anche senza soldi, ma con tutti i mezzi a nostra disposizione.
Ovvio, siamo partiti da quello che avevamo: gli amici.
Gli amici vicini. E poi i colleghi vicini. I conoscenti vicini.
Quelli a cui potevamo raccontare cos’avevamo in mente senza vergognarci di non potergli pagare la trasferta e l’ospitalità per farli venire da noi.
E il loro numero è cresciuto giorno dopo giorno. C’è chi ci ha regalato la locandina, chi ha partecipato col suo tempo e il suo lavoro, chi con un like su Facebook. Ci sono state Fab & Fab che ci hanno messo in riga e hanno fatto sapere a tutti cosa stavamo facendo. E piano piano, ma in un tempo brevissimo, l’ARF! è cresciuto, ha toccato un sacco di gente, anche quelli lontanissimi, che ci hanno chiesto come potevano aiutarci, come potevano contribuire.
Dimostrando quanto amore è possibile provare per questo medium che la stampa continua ancora, ogni tanto, a trattare come qualcosa di serie B.
E in questi ultimi giorni i nostri amici ci hanno aiutato davvero tanto, organizzando campagne mirate fomentando il proprio pubblico, scrivendo articoli su di noi, contattando le redazioni dei giornali e partendo, con le maniche rimboccate, per aiutarci ad allestire.
Quando oggi pomeriggio ho visto entrare i camion degli espositori che iniziavano a scaricare i pacchi con cui avrebbero riempito i loro stand, mi è preso un groppo in gola. Quando ho visto gli originali appesi alle pareti della sala mostre, quando l’area Kids era improvvisamente tutta colorata, ho capito che sì, insomma, c’eravamo l’Arf! era una cosa vera.
Esistente.
E’ l’1.24, tra 5 ore ho la sveglia e tra poco più di otto ore il primo visitatore entrerà a visitare il nostro festival.
Nostro non di noi cinque, ma di tutti quelli – e sono davvero tanti – che hanno contribuito a far sì che esistesse.
Dell’ARF! si potranno dire tante cose e siamo i primi a sapere che per fare bene un festival ci vogliono tre cose: gente preparata, tempo, soldi.
Noi non l’avevamo mai fatto prima, abbiamo avuto solo pochi mesi, e nessun sostegno economico.
Sono assolutamente certo che abbiamo fatto un milione di cazzate e mi spiace per ogni dimenticanza che domani mi sembrerà così palese da farmi sentire un coglione, ma abbiamo un anno per recuperare e fare una seconda edizione ancora migliore di questa. Agli entusiasti dico grazie per il sostegno. Agli scettici chiedo un po’ di fiducia.

Perché questa prima edizione potrà essere un successo oppure una delusione, ma l’unica verità assoluta e incontrovertibile è che prima l’ARF! non c’era, e adesso c’è.

E a me sembra comunque una notizia bellissima.
A domani.
Anzi.
A tra poco.

 

Hungry Hearts – Recensione

15 gennaio 2015 da Mauro

– “Allora, che fai stasera?”
– “Mi consigli un film italiano bello?”
– “Ti ricordi quando ho già messo questa gonna?”

Quando subisco una di queste tre domande io, solitamente, mi fingo morto finché i miei interlocutori si stancano di dirmi di farla finita e se ne vanno con la ferrea intenzione di non cercarmi più.
Saverio Costanzo, che è uomo di spiccata sensibilità, si preoccupa di alleviare le nostre pene e confeziona 109 minuti di perfetta risposta ad almeno una di quelle tre domande.

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Hungry Hearts è davvero quel film italiano

BELLO

BELLO

BELLO

che aspettavate da anni di poter consigliare ai vostri amici senza il timore che vi venissero a cercare il giorno dopo armati di mazza.

Sì, ma è troppo facile liquidare un film dandogli del “Bello”, me ne rendo conto.
Anche un po’ offensivo, in un caso come questo, in cui è l’intensità dello sguardo a dettare i ritmi della messa in scena della storia di Jude e Mina.
Un incontro, il loro, davvero imbarazzante, all’interno del bagno di un ristorante cinese che non ne vuole sapere di aprire quella porta e dividerli.
Un incontro che li vedrà felici, innamorati, sposati e in attesa di un bimbo.

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Un bambino che sarà per ognuno specchio dell’altro, nel contesto in cui le paure reciproche diventano il perno del discorso amoroso.

Nel cemento bianco e grigio del tetto del palazzo in cui vivono, Mina coltiva un orto.
Un’oasi pura in cui vorrebbe riversare tutto quello che prova per quel bimbo che invece, Jude, vorrebbe liberare dalle mura domestiche.
Un bambino che Jude vorrebbe crescere come è cresciuto lui ma che Mina non accetta di consegnare a un mondo cattivo e così sporco che potrebbe ucciderlo.
L’urgenza narrativa è l’ossessione della protezione.
L’ossessione per l’aria respirata, il cibo masticato, i liquidi ingeriti.

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Lo sguardo è quello diagonale di chi non può intervenire a sedare le crisi, ma solo spiarle e riportarle ad altri occhi che potrebbero salvarsi dalla tragedia imminente.
Grandangoli con figure esasperate, prigioniere delle loro convinzioni, alternati ai totali esterni di una vita caotica e frastornata.

Hungry Hearts è una ferocissima e malinconica analisi che riduce in mille pezzi il confronto genitoriale assediato dall’imperante nuova cultura dell’alimentazione.

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Il nemico è il benessere che ha portato il nucleo a trincerarsi dentro un castello per paura di tutte le maschere della morte rossa che bussano per entrare.
Il nemico è la porta chiusa a doppia mandata, che impedisce di ascoltare quello che ci viene gridato da chi ci ama.
Il nemico è la forza delle convinzioni che trasformano in odio, l’opinione dell’altro.

Il nemico siamo noi, che vogliamo credere di essere nel giusto e soffochiamo ciò che non siamo in grado di proteggere.

Adam Driver e Alba Rohrwacher, vincitori della Coppa Volpi a Venezia per le loro interpretazioni di Jude e Mina, hanno i nostri stessi occhi e sembrano dirci di fermarci, prima che sia troppo tardi.

E di tornare ad amarci.
Perché solo per quello siamo nati.

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Hungry Hearts è un film necessario, attualissima fotografia dei nostri giorni, oltre che, come si diceva, risposta salvifica ad almeno una delle tre domande più imbarazzanti che possiamo subire.
Anzi, no, visto che esce in sala oggi, risponde bene a tutte e tre le domande.

– “Allora, che fai stasera?”

Vado al cinema.

– “Mi consigli un film italiano bello?”

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– “Ti ricordi quando ho già messo questa gonna?”

La portavi il giorno in cui ci siamo conosciuti.
Chiusi nel bagno di quel ristorante.

Da cui non saremmo usciti mai.

 

Stellette? 8 su 10.

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E’ passato quasi un mese dall’uscita del mio albo d’esordio su Orfani: Ringo e visto che, tra qualche giorno sarà in edicola il terzo numero, credo proprio che tutti quelli che volevano leggerselo, ormai l’abbiano fatto.

Posso quindi parlarvene senza preoccuparmi di spoilerare troppo.
Se non l’avete ancora letto, chiudete immediatamente gli occhi e lanciate il portatile a terra.

Il compito di questo Dietro le quinte, non sarà quello di spiegarvi i miei albi (brrr mi fa orrore solo il pensiero), ma di raccontarvi qualche aneddoto legato alla loro realizzazione, cosa che si nasconde tra le pagine, e cosa invece è rimasto fuori.

Via, basta chiacchiere, cominciamo.

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Dopo lunghe riunioni e confronti con Roberto per capire come suddividerci i capitoli di questa seconda stagione, appena blindata la trama orizzontale, abbiamo stabilito una divisione molto cartesiana.
Lui avrebbe affrontato gli albi che si svolgevano nelle principali città toccate dai nostri protagonisti, mentre a me sarebbero spettati tutti i capitoli dedicati al viaggio.
E il viaggio di Ringo, Rosa, Seba e Nuè comincia proprio dal secondo albo.

Liberati da Ringo dopo aver scoperto che uno dei tre è suo figlio, i tre ragazzini devono essere portati in salvo per rispettare la promessa che lo stesso Ringo ha fatto alla sua ex compagna (di vita e di battaglie) Barbara.
Dove li porterà sarà il motore che dà il via a questa storia che, oltre a far conoscere meglio i nostri personaggi che ancora non hanno avuto modo di parlarsi per bene, ci permetterà di affrontare quello che sarà il vero argomento centrale dell’albo: il compromesso.

Che il compromesso, sia il tema dell’albo viene già introdotto dall’estratto del libro che trovate sempre subito dietro il frontespizio.
E dal titolo.

Ecco, il titolo, “Nulla per nulla“, è esattamente quello che speravo venisse scelto dalla redazione quando sottoposi una rosa di possibilità.
Quali altri titoli avevo proposto? Sono tutti in questa mail:

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Ma la scelta del titolo è stato l’ultimo passo prima di mandare l’albo in stampa.
Facciamo un passo indietro e ricominciamo.
Dalla prima pagina.

 

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L’albo si apre con un paesaggio che ci racconta un mondo alla fine. Abbandonato.
In cui i nostri protagonisti si muovono senza troppi punti di riferimento e attenti a qualsiasi pericolo.
In poche pagine devo riassumere il contesto, più che l’albo precedente, e mostrare la reazione dei ragazzi a quanto appena avvenuto, oltre che presentarli a ipotetici nuovi lettori.
Lo scopo è quello di rendere Ringo, perfettamente leggibile anche da quelli che non hanno mai letto Orfani, però, ogni tanto, delle piccole strizzate d’occhio alla prima stagione, per portare avanti un discorso il più possibile coerente, me le sono concesse.
A pagina 9 c’è la prima:

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E la risposta di Ringo non dà adito a dubbi sul fatto che non vorrà mai più essere chiamato in quel modo.

A pagina 14 viene fornita, al lettore, la prima indicazione sulla zona in cui si stanno spostando i nostri eroi.

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Roberto ha fortemente voluto che questa seconda stagione proseguisse quella stilizzazione stilistica che c’era anche nella prima, per questo i luoghi che vedremo non saranno mai “chiamati” ma verranno comunque mostrati.
Quell’area, a nord di Napoli, è la zona intorno a Pozzuoli.
Probabilmente quella non è affatto la strada più veloce per raggiungere la metà che Ringo si è prefisso (Montecassino), ma volete mettere la gioia di iniziare il loro viaggio facendoli partire proprio dal lago d’Averno?

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Nel sesto libro dell’Eneide, Virgilio, spiega che accanto al lago d’Averno c’è uno dei cancelli per entrare nel regno degli inferi, e siccome il loro viaggio non sarà certo una passeggiata, mi sembrava una bella allegoria per fargli iniziare il viaggio in serenità.

Questa invece è Piazza Marconi di Aversa

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Ora, dovete sapere, che io e Roberto siamo pazzi e quindi, per tutte le indicazioni di luce, per gestire bene il giorno e le notti, ci siamo studiati i percorsi compiuti dal gruppo, a piedi, tramite il mai troppo lodato Google Maps.
Per cui le ore in cui sono ambientate le varie scene tengono conto di quanto tempo, realisticamente, ci vuole per compiere quei tragitti.

Ma anche questo ha un’eccezione.

Nel contesto realistico del loro viaggio, mi sono divertito a inserire un elemento che non troverete qualora provaste a ripercorrere la loro stessa strada, eccolo:

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Questa è la versione distrutta e post apocalittica di un incredibile ponte che si trova, in Sicilia, tra Modica e Scicli e che io fotografai diverse volte in una bella vacanzina che ci facemmo io e Martina da quelle parti.
Eccolo qua:

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Maestoso e inquietante, no?

Questa sequenza qui, invece,

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si svolge in quella che era la vera villa di un boss mafioso della zona di Casal di Principe

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E qui i ragazzini scoprono chi è davvero l’uomo che li ha salvati.

Un uomo che per loro è importantissimo perché ha dato il via a quella rivoluzione di cui loro non sono che gli ultimi esponenti.
Un uomo di cui avevano, persino, il poster in camera.

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Questa idea del poster, che a qualche lettore è risultata poco credibile, se non addirittura forzata, si basa invece su quanto avvenuto diverse volte nella realtà dei guerriglieri.
E’ uso comunque, infatti, che la propaganda rivoluzionaria, crei immagini e poster per tenere desta la battaglia. Per avvertire, comunicare e fomentare gli animi di chi non deve arrendersi all’invasore.

Le più belle di queste immagini, a mio modesto parere,  sono quelle vietnamite:

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Ma è evidente che il nostro punto di riferimento primario è stato proprio quel Che Guevara, la cui immagine, ha cominciato a circolare sotto forma di poster già dal 1968, a pochi mesi dalla sua morte.
E se consideriamo che Ringo è ritenuto morto ormai da diversi anni, nulla di più facile che, avendo dato lui il via alla rivoluzione, sia nel frattempo diventato un simbolo per i giovani rivoluzionari.

Il viaggio dei nostri eroi prosegue e, finalmente, a pagina 36 arrivano al Monte.

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Per rappresentare l’ultimo avamposto della civiltà prima della distruzione, il luogo in cui si annida tutta quella varia umanità che rimane in bilico tra la legge e l’oblio, abbiamo scelto Montecassino.
Chiaramente le favelas che pendono dal monte sono inventate, mentre il suo aspetto rimanda a quello in cui si trovava al termine della Seconda Guerra Mondiale:

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Lì risiede la più grossa comunità di ribelli, tra cui alcuni degli ex-migliori amici di Ringo.

Per raccontarli ho immaginato un mischione tra:

– i compagni della foresta di Robin Hodd
– i ribelli di Star Wars (e sempre da L’impero colpisce ancora arriva l’idea di chi dovrà essere il traditore)
– Emergency

Che c’entra Emergency, direte voi?
C’entra tantissimo.
Prima di tutto perché Emergency è una realtà italiana, apartitica, di cui sono fierissimo e che si trova sempre ad aiutare quelle fasce della popolazione in difficoltà a causa delle guerre.
E il ruolo del Monte e del Centro, come avete visto nell’albo, è proprio quello.
Secondo poi perché ho dato a Abe – che durante la lavorazione dell’albo si chiamava Giona – proprio l’aspetto del suo fondatore e mentore: Gino Strada.

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Ringo è una serie per cui io e Roberto ci siamo preposti il compito di raccontare una storia di finzione in un contesto il più reale possibile.
Per questo, dovendo costruire una figura così complessa e variegata come quella di Abe, sapendo che, in un certo senso, sarebbe stato una versione romanzata di Gino Strada, mi sono documentato su tutti i suoi libri (che vi consiglio di leggere) e tutte le sue apparizioni televisive.

Come tutti i personaggi complessi, è difficile farsi un’idea univoca di un uomo di così alta levatura morale e che trascorre la vita dentro tutte quelle trincee in cui noi difficilmente troveremmo il coraggio di immergerci.
Un uomo immenso che per portare avanti il suo scopo, la sua missione, è entrato in contatto con tutti i governi delle zone a rischio del mondo e con una tale quantità di aneddoti da raccontare da far impallidire tutti noi cantastorie.

Per questo, ognuna delle pagine che lo riguardano, all’interno dell’albo, viene da una storia vera.

E’ vero il modo di dire curdo con cui salutavano in alcuni centri Emergency

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(ah, tra parentesi, complimenti a chi ha notato che Nicolai è basato sull’aspetto dello scrittore Nicolai Lilin)

E’ vera la storia del ragazzino che tentò il suicidio perché aveva perso la speranza di recuperare

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Ed è vero anche l’aneddoto sul centro medico appena approntato, in cui nessuno però aveva pensato a occuparsi delle cucine

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Ma perché proprio Gino Strada e non un personaggio di finzione?

Partire dalla realtà per raccontare una storia di fantasia era il nostro scopo.
E raccontare un’Italia in rovina anche attraverso i suoi elementi migliori.

E perché, quindi, dargli proprio il ruolo dell’uomo che tradirà Ringo?

Su questo mi sono interrogato tanto e ammetto che è stata proprio la sfida più ardua da affrontare in fase di scrittura.
Ma vediamo come si svolge questo tradimento:

– Abe salva Ringo
– Abe salva Nuè
– Abe parla con Ringo provando a convincerlo a restare. Dopo essere scomparso tanti anni, uno come lui farebbe comodo al Centro.

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– Ringo rifiuta e rivela ad Abe che è lì solo per lasciare al sicuro i ragazzini e tornarsene a nascondersi nella sua isola.

A questo punto, Abe capisce che quell’uomo, davvero, non è più di alcuna utilità per la missione.
Per la rivoluzione.
Per la battaglia che hanno combattuto insieme.
Per le persone che ogni giorno vengono ricoverate a causa delle menzogne di un governo che ha condannato il mondo in cui vivono.

E quindi lo vende.
Lo vende perché per un uomo che nella vita ha uno scopo alto, altissimo, per cui sacrifica ogni altra cosa, Ringo è diventato inutile. L’ombra del rivoluzionario che era. Mentre la taglia sulla sua testa può permettergli di salvare ulteriori vite.

Una posizione scomoda? Difficile da accettare? Eticamente orrenda?
Sì.
Verissimo.

Anche ingiusta, se vogliamo, nei confronti di quella figura d’ispirazione su cui abbiamo basato il personaggio.

Ma una posizione comprensibilissima nel contesto in cui i personaggi si muovono.
Talmente comprensibile che quello di Abe, è il MIO punto di vista su Ringo.

Quando gli dice:

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io sono completamente con Abe.
Condivido ogni sua parola.

E la difficoltà più grossa nello scrivere questa storia è stata proprio quella di costruirla affinché il lettore continuasse a tifare per Ringo per questioni emotive, di affezione e di etica relazionale, ma che comunque, si trovasse anche a comprendere le motivazioni di quello che si sarebbe rivelato il suo rivale.

Al netto dell’arrivo dei Corvi, della distruzione, e della rocambolesca fuga dell’ultimo minuto, la battaglia che si compie tra le pagine di Nulla per Nulla è quella tra due personaggi: l’uomo che ha innescato la rivoluzione e che si è ritirato quando ha visto che non andava come sperava, e il suo amico che, invece, è rimasto a combattere tutti i giorni.
Raccogliendo i cocci, ricostruendo, tentando di fare del suo meglio senza mai voltare le spalle a chi aveva bisogno.

Può un uomo di questo tipo essere il “nemico” del protagonista?

Sì, se il nostro eroe è un uomo che ha fallito ogni sua battaglia.
Sì, se il il nostro eroe è un uomo che attraverserà l’inferno per redimere i suoi errori.
Sì, se il nostro eroe è un uomo che cercherà in tutti i modi di capire cosa vuol dire diventare padre in un mondo non più capace di generare figli.

Questo è quanto.
Il resto è una meraviglia per gli occhi data dagli splendidi disegni di Luca Maresca, le atmosfere inquietanti e puntuali date dai colori di Alessia Pastorello e la copertina di Emiliano Mammucari che fotografa l’intero viaggio dei nostri protagonisti in un unico momento capace di riassumerli tutti.

E poi succede tutto a Novembre.

30 novembre 2014 da Mauro

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Ce lo insegnano da piccoli, no?
Che perché le cose accadano ci vuole tempo.
Mille sguardi e nove mesi per far nascere un bambino.
Sette mesi per sedersi, nove per muoversi, undici per camminare, qualcuno in più e poi tutta la vita per dire, fare, baciare, lettera e testamento.
Nel mio lavoro questa è una costante.
Ho faticato cinque anni prima di vedere in sala un film di cui ero aiutoregia.
Tre anni per vedere pubblicato il mio primo Dylan Dog.
Ho impiegato settimane aspettando che uscissero le mie pubblicità e i miei videoclip.
Tutto questo per dire che sono davvero molto allenato nella sacra arte dell’Attesa del Momento.
Quella pausa, quel limbo da cui qualcosa a cui ho collaborato, che ho immaginato, scritto, costruito, preparato, consegnato, finalmente uscirà e potrà essere vista, letta, applaudita e fischiata.

Però poi si creano congiunzioni strambe e va a finire che tutto confluisce nello stesso mese.
Un giorno dopo l’altro, senza darti la possibilità di seguire bene ognuno dei progetti perché eccoli, tutti insieme, nelle mani dei lettori, sotto gli occhi degli spettatori.
E allora faccio un punto. Un memo.
Perché questo Novembre ha visto uscire un sacco di cose di cui sono veramente fiero.
Perché dal mese prossimo precipito di nuovo nel solito silenzio degli annunci sporadici, ma adesso un punto, più per me e per mia madre che per voi, lo faccio.

Ecco tutte le cose a cui ho lavorato e che hanno scelto arbitrariamente di calpestarsi a vicenda uscendo tutte negli ultimi trenta giorni:

Il videoclip del nuovo singolo di Lilin, Claude & Marlene.
Che ho avuto la possibilità di scrivere e dirigere potendo parlare di violenza sulla donna lasciando parlare le immagini e la musica.

Il mio albo d’esordio su Orfani: Ringo.
L’orgoglio enorme di vedere pubblicata una mia storia, proprio da quella casa editrice grazie a cui ho iniziato a sognare di voler diventare un fumettista, da grande.

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Vedere l’albo nelle mani dei lettori, in metropolitana, è stata un’emozione incredibile.

#CoseDaUomini
La webserie realizzata con i ragazzi di Fish-Eye Digital Video Creation e Arim Video, prodotta con la Commissione Europea e dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio,  ideato con l’obiettivo generale di promuovere e diffondere un messaggio chiaro sulla tolleranza zero per tutte le forme di violenza contro donne e ragazze.

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Una serie che ho avuto l’onore di dirigere ad aprile, insieme a un team di collaboratori eccezionali e che ora è stata finalmente resa pubblica.
Qui sotto vi mostro il primo episodio:

Cliccando QUI trovate tutti gli altri.

Il numero 231 di Fumo di China

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in cui Andrea Mazzotta realizza un bellissimo articolo intervistando quei fumettisti italiani che hanno avuto la bizzarra idea di diventare genitori, tra una tavola e l’altra.

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Inutile dirvi che anche GZ fa capolino tra quelle righe!

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Poi, è uscita anche la prima puntata di Fumettology dedicata a Orfani e che mi vede al fianco di alcuni tra i più grandi talenti della mia generazione.
Guardare il mondo sulle spalle dei giganti è l’unico modo che conosco per imparare a raccontarlo.
E io, da lì, non voglio scendere.

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E per finire, stanno uscendo le mie recensioni cinematografiche per La Repubblica – XL con cui, in questi giorni, vi racconto il Torino Film Festival.

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La collaborazione con XL risale ai tempi del magazine cartaceo e non si è interrotta adesso che continua a vivere e lottare insieme a noi, online.
Cliccando QUI potrete leggerle tutte.

Ecco, questo è stato novembre.

Per un soffio sono rimaste fuori da questo mese gigante, l’uscita di un articolo dedicatomi da una delle mie riviste preferite in assoluto.
Non ne sono talmente degno che ve ne faccio sbirciare un pezzo in cui sembro quasi serio:

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e poi dovranno arrivare almeno due annunci ufficiali ufficialissimi.

Il primo è legato ai fumetti, a un fumetto, in particolare, che ho appena iniziato a sceneggiare.
Vi basti sapere che mi tremano le dita solo a pronunciarne il nome.

Il secondo è l’annuncio della produzione di un film a cui tengo tantissimo e di cui ho appena consegnato la sceneggiatura.

Spero di raccontarvi tutto a dicembre, vorrebbe dire che sono diventate tutte cose vere.
E io ringrazio tutti quelli che rendono tutto questo,
ogni volta,
possibile.

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Ci siamo.
Domani, in concomitanza con la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, verranno finalmente mostrati tutti e cinque gli episodi di #CoseDaUomini la serie che ho diretto quest’estate, finanziata dalla Unione Europea e promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari Opportunità.

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Per me è stato un onore venire coinvolto in questo progetto.
E’ stato un onore dare forma a quanto pensato e scritto dalla sceneggiatrice Fabrizia Midulla.
Un onore dirigere un cast di attrici e attori formidabili, come Ruggero Francicanava e Cecile Cocard.
Andrea Giannini e Maddalena Caravaggi.
Alfredo Angelini e Viviana Colais.
Valerio Di Benedetto e Anna Pancaldi.
Tommaso Busiello e Siddhartha Prestinari.
Un onore collaborare con Marco Fiata alla fotografia, affiancato dal Maestro Paolo Laici, con Dario Mariani al montaggio e alle musiche, con Alessia e Alessio che hanno coordinato tutto e tutti. Con i costumi e le scenografie di Elena.
Un onore collaborare con Fish-Eye Digital Video Creation, con Arim Video e  con tutte quelle persone che trovate citate QUI.

Un onore portare il mio apporto su un argomento di cui non si parla mai abbastanza.

E infatti nei prossimi giorni tornerò a parlarne.
Se siete curiosi di vedere com’è venuta fuori e volete vedere tutti e cinque gli episodi insieme, domani saranno proiettati in un evento completamente dedicato.
Nella splendida cornice dell’Aranciera di San Sisto, in Via di Valle delle Camene, 11 – a Roma.

Ci saranno diverse personalità, sia del dipartimento che dello spettacolo, a farci da testimonial, e poi ci sarò io.
A dire grazie a tutti e a pensare che in bermuda thailandesi avrei fatto la mia bella figura.

E ora vi lascio con qualche immagine di backstage.

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Se vi va, ci si vede domani.

La preghiera.

17 novembre 2014 da Mauro

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“Sono solo troie!”
“Se avessero davvero qualcosa da dire lo direbbero anche con le tette coperte!”
“Fanno schifo!”
“Andassero a spogliarsi negli stati islamici, vedi che fine fanno!”

Queste alcune delle definizioni con cui solitamente vengono definite dagli italiani, e dalle italiane, le performance di protesta realizzate dal collettivo FEMEN.
Ora, specificando che io non sono affatto un fan di questo collettivo, questo non sarà l’ennesimo post che tenta di spiegare Aglitagliani per quale motivo attuino questo tipo di protesta esattamente in quel modo lì, per saperlo basterebbe aprire un Browser qualsiasi, scrivere F E M E N su Google, aprire la loro pagina Wikipedia e comprendere tutte le motivazioni che stanno dietro a quei gesti.
Ma capisco che sputargli addosso che sono delle troie è mille volte più immediato.
E poi che ci vuole a dire “rroia”? Visto? Va’ com’è facile e diretto.
Ci sarà un motivo se “troia” è l’espressione più usata in Italia per insultare le donne, no?
Perché la donne, a differenza degli uomini, vanno sempre colpite sulla loro sessualità, che è una colpa, una vergogna che dovrebbero tenere nascosta, nel buio delle loro case.

Ma se provassimo ad archiviare per un momento la questione insulti, tette, ecc. cosa resterebbero se non i fatti e i proclami?
E allora ecco cosa hanno fatto le Femen ad Announo.

Sono entrate in studio, e al centro del palco hanno recitato questa preghiera:

 

“L’amore è uguaglianza e richiede una ragione chiara.
La parità è l’unica forma di libertà.
Come non era in principio
dovrebbe essere ora e sempre
Un parlamento senza papa
Un mondo senza religione
Perché dio non è un mago
E il papa non è un politico
Amen”

 Poi si sono alzate insieme e hanno declamato queste parole:
“Siamo qui a disturbare la vostra importante conversazione con una domanda non meno importante.
Vogliamo dare l’allarme, ci dispiace dirvelo, siamo qui per annunciare che la parità – i vostri diritti, i nostri diritti – sono in pericolo.
E sfortunatamente la fonte del pericolo è proprio qui in Italia.
Il 25 novembre il papa andrà a parlare al Parlamento Europeo, a Strasburgo, in Francia.
Questo è un attacco diretto alla laicità, alla parità, ai diritti umani e a quell separazione tra Chiesa e Stato che deve diventare una priorità oggi, per le persone come noi, per i religiosi, per gli atei, e per tutti quelli che si battono per la parità libertà di parola.
Siamo qui per attirare la vostra attenzione e per portare tutti a non stare in silenzio, a non far finta di colpire, non è il momento di essere tolleranti.
E’ il momento di difendere la nostra parità. Ecco perché siamo qui.
Siamo qui per dire che dio non è mai stato un mago, ed ecco perché il papa non sarà mai un politico.”

 

E con tutto il rispetto per chi, tra di voi, è Cattolico, Cristiano, per chi tra di voi dice di esserlo ma non pratica da una vita, per chi tra di voi aderisce a una qualsiasi delle centinaia delle religioni in cui si divide il mondo, ricordatevi che la Chiesa e lo Stato

sono
due
entità
separate.
Vuoi credere nella Chiesa? Vuoi credere in Thor? Vuoi credere nella Burrata?
Fallo. Sei libero. Viviamo in uno stato meraviglioso che te lo permette senza (questo è fondamentale) romperti i coglioni.
Ma allo stesso tempo, quello stesso stato è laico (eeeggià!)
L’Italia, la mia Italia come la vostra Italia, è uno stato laico.
L’europa è un continente laico.
Quindi il fatto che il 25 Novembre, il Papa terrà un discorso davanti al Parlamento Europeo, dovrebbe quantomeno suonare strano.
Le opinioni dei rappresentanti della religione Cattolica, come di qualsiasi altra religione, NON POSSONO E NON DEVONO entrare nella nostra politica.
NON POSSONO E NON DEVONO entrare nelle nostre vite.
NON POSSONO E NON DEVONO influire sui referendum, sulle compagini, sugli schieramenti.Questo, nessuno lo sta ricordando nelle tv italiane.
E che ci sia bisogno un gruppo di femministe situazioniste ucraine perché nessuno, da noi, ha il coraggio di dichiararlo pubblicamente, è uno schifo.
Uno schifo più schifo di qualche tetta al vento.
Molto, ma molto più di qualche tetta al vento.
Molto.

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Per la versione variant del numero 1 di Orfani:Ringo, mi è stato chiesto di raccontare com’è nato il mio coinvolgimento sulla testata.
Nell’articolo lo racconto così:

Ringo, per me, nasce con il suono di un campanello.
Non quello urlante di Craven Road n.7 ma quello sghembo della casa di San Lorenzo in cui abitavo.
Il suono di un campanello, la porta che si apre e Roberto che entra col suo trench di marca e l’incedere schietto e diretto che ha quando sa che sta per coinvolgerti in una missione le cui percentuali di riuscita sono pari allo zero.
Era una fredda serata di aprile, Orfani si sarebbe affacciato nelle edicole soltanto sei mesi più tardi, ma era già l’argomento più caldo per tutti quei lettori che riempivano pagine e pagine di forum basandosi esclusivamente su qualche indiscrezione e una manciata di immagini di preview.
Io però lo conoscevo già in ogni dettaglio, perché ero lì quando Roberto Recchioni e Emiliano Mammucari iniziarono a porre i primi mattoni di questo nuovo mondo.
Mentre giocavano coi destini di Jonas, Juno, Raul, Sam e Ringo, inventandone le vite e sancendone le morti.
Ero lì quando venne decisa la grande bugia del governo e quando per la prima volta si parlò dell’eventualità di realizzare una seconda stagione, con toni, atmosfere e ambientazione del tutto diverse.
Talmente diverse che forse ci sarebbe stato bisogno di far salire a bordo qualcuno che, in un certo senso, avesse – mettiamola così – una sensibilità opposta a quel Romanticismo Recchioniano che vede, nelle esplosioni e nelle gole tagliate, l’apostrofo rosa tra le parole “T’ammazzo”.

Perché se i principali riferimenti culturali per la prima stagione di Orfani erano facilmente rintracciabili tra le pagine de Il signore delle mosche o di quel Fanteria dello Spazio scritto da Heinlein e portato sul grande schermo da Paul Verhoven, Orfani:Ringo avrebbe avuto più a che fare con gli inquietanti scenari di The Last Of Us o con un mondo privo di speranza come quello che Cormac Mc Carthy immagina in The Road.”

Ma questo era solo lo spunto scatenante.

Nelle settimane e nei mesi successivi, costruendo giorno per giorno quella che doveva essere l’ossatura dell’intera serie, Orfani:Ringo assumeva forme sempre più simili alle risposte che, Roberto ed io, tentavamo di dare alle domande che il mondo si ostinava a metterci sotto gli occhi.
Ringo è il nostro modo di smettere di giocare in una stanza, e scendere per strada a scontrarci con la realtà.
Un viaggio lungo dodici albi per confrontarci con noi stessi senza preoccuparci di uscirne con le ossa rotte.

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Un percorso che è iniziato un mese fa nello splendido n.1 scritto da un Roberto mai così efficace, disegnato da Emiliano Mammucari in stato di grazia, e colorato da quella Annalisa Leoni che ormai è diventata un vero e proprio punto di riferimento.
Un albo che rappresenta, per chi scrive, la loro prova più matura.

Il mio esordio sulla testata avviene invece con l’albo che troverete in edicola tra due giorni e che ruota attorno a uno degli argomenti su cui da più tempo mi diverto a sbattere la testa: il concetto di compromesso.

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Nulla per nulla” vede a scontrarsi gli ideali di rivoluzione con le risposte quotidiane e compromesse di chi lotta ogni giorno, non per una bandiera, ma per il bene comune.
E se, talvolta, è facile partire da storie già esistenti per crearne di nuove, in questo caso lo spunto è arrivato dallo studio attento di un noto personaggio, realmente esistente, che forse riuscirete a riconoscere leggendo l’albo.

Inutile negare che mettersi alla prova su una serie come Orfani, con il suo stuolo di fan adoranti e di spietati detrattori, vuol dire maneggiare un materiale delicatissimo che è immagine e somiglianza dei suoi due creatori.
Io, di mio, ho cercato di approcciarlo concentrandomi su quello che so fare meglio: mettere a fuoco le mie paure e affrontarle.
Gli albi che leggerete nei prossimi mesi, rappresentano quindi il tentativo di raccontare una grande storia di viaggio ma anche la volontà di confrontarmi con alcune tematiche ricorrenti nella mia vita, che vanno, appunto, dal far coincidere dignità, prìncipi e compressi, all’impossibilità di fuggire da sé stessi, dallo splendore indifferente della natura umana, alla violenza della fame, fino alla necessità disperata di riuscire a essere padre.

Perché questo è Orfani: Ringo.
La grande storia di un uomo che proverà a essere padre in una terra in cui non esiste più alcun futuro.

Con noi ci sono dei disegnatori straordinari e alcuni dei migliori compagni di viaggio che potessimo desiderare.
Ne riparliamo nei prossimi mesi.
Per il momento, vi auguro buona lettura.

E smetto di farmela sotto.

Testimonial del Posto Unico

6 novembre 2014 da Mauro

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Io sono nato a Marino Laziale, uno di quei sorridenti paesini – con ben poco da sorridere, a dir la verità – che sonnecchiano tra le campagne romane.
Sono andato via di casa a vent’anni perché il posto non offriva realmente nulla che potesse interessare un ragazzo con la passione per il cinema, il fumetto e la letteratura, e per quattordici anni non sono più tornato se non quando passavo a trovare i miei.
Poi è nato GZ e siccome nella vita impariamo tre cose e tendiamo a ripetere sempre quelle, Meme ed io abbiamo deciso di crescerlo proprio nei luoghi in cui siamo nati.
Per cui, ciao Roma, ciao Londra, ciao Bali: GZ crescerà nei Castelli Romani.

Questo ritorno è avvenuto esattamente dieci mesi fa e, a parte dimenticarmi IMMEDIATAMENTE degli orrori del traffico romano, ho avuto modo di guardarmi un po’ intorno.
Ora, sarebbe davvero bello proseguire questo post raccontandovi quanto le cose siano cambiate, che c’è una fervente attività, che nei cinema devono mandare via la gente per l’affluenza, che le fumetterie sbocciano a piè sospinto e che hai l’imbarazzo della scelta in quanto a librerie e negozi musicali.
Assolutamente no.
La provincia sonnecchiante continua a farsi gli affari suoi ma, a differenza di quanto avveniva quattordici anni fa, la gente ha smesso di fare come me e non solo non se ne va, ma rimane sul territorio e lotta perché il territorio cresca.

Lo fanno i ragazzi dell’Accademia Castrimenense di Marino, lo fanno i ragazzi che da qualche tempo, una volta l’anno, organizzano la rassegna Posto Unico ad Albano, lo fanno tanti altri che cercano di dare alle nuove generazioni quello che loro, per primi, non hanno avuto.

Ed è proprio per la stima che provo verso quegli eroi che tentano di valorizzare quello che hanno (soprattutto quando le risorse a disposizione sono minime), che ho  subito accettato l’invito di Flavio di essere il testimonial di questa nuova edizione di Posto Unico, insieme al grande vignettista Mauro Biani.

Ma di cosa si tratta Posto Unico, ve lo sanno spiegare loro molto meglio di me:

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Io ci sarò sicuramente nella giornata inaugurale di domani:

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E nonostante l’ansia da prestazione di salire su un palco dopo aver assistito all’ultimo grande Capolavoro del Maestro Miyazaki, mostrerò i miei ultimi due lavori.
La prima puntata del serial per il web “Cose da Uomini” prodotta col patrocinio del Dipartimento delle Pari Opportunità, e il videoclip “Claude & Marlene” della giovane cantautrice Lilin.
Due tentativi di sensibilizzazione nei riguardi della piaga della violenza sulle donne.
Un argomento che mi sta molto a cuore e di cui mi piacerebbe parlare con tutti i partecipanti all’incontro.

Se vi va, e se potete, ci vediamo domani.
Tutte le indicazioni le trovate semplicemente cliccando QUI.

 

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