Hungry Hearts – Recensione

15 gennaio 2015 da Mauro

– “Allora, che fai stasera?”
– “Mi consigli un film italiano bello?”
– “Ti ricordi quando ho già messo questa gonna?”

Quando subisco una di queste tre domande io, solitamente, mi fingo morto finché i miei interlocutori si stancano di dirmi di farla finita e se ne vanno con la ferrea intenzione di non cercarmi più.
Saverio Costanzo, che è uomo di spiccata sensibilità, si preoccupa di alleviare le nostre pene e confeziona 109 minuti di perfetta risposta ad almeno una di quelle tre domande.

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Hungry Hearts è davvero quel film italiano

BELLO

BELLO

BELLO

che aspettavate da anni di poter consigliare ai vostri amici senza il timore che vi venissero a cercare il giorno dopo armati di mazza.

Sì, ma è troppo facile liquidare un film dandogli del “Bello”, me ne rendo conto.
Anche un po’ offensivo, in un caso come questo, in cui è l’intensità dello sguardo a dettare i ritmi della messa in scena della storia di Jude e Mina.
Un incontro, il loro, davvero imbarazzante, all’interno del bagno di un ristorante cinese che non ne vuole sapere di aprire quella porta e dividerli.
Un incontro che li vedrà felici, innamorati, sposati e in attesa di un bimbo.

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Un bambino che sarà per ognuno specchio dell’altro, nel contesto in cui le paure reciproche diventano il perno del discorso amoroso.

Nel cemento bianco e grigio del tetto del palazzo in cui vivono, Mina coltiva un orto.
Un’oasi pura in cui vorrebbe riversare tutto quello che prova per quel bimbo che invece, Jude, vorrebbe liberare dalle mura domestiche.
Un bambino che Jude vorrebbe crescere come è cresciuto lui ma che Mina non accetta di consegnare a un mondo cattivo e così sporco che potrebbe ucciderlo.
L’urgenza narrativa è l’ossessione della protezione.
L’ossessione per l’aria respirata, il cibo masticato, i liquidi ingeriti.

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Lo sguardo è quello diagonale di chi non può intervenire a sedare le crisi, ma solo spiarle e riportarle ad altri occhi che potrebbero salvarsi dalla tragedia imminente.
Grandangoli con figure esasperate, prigioniere delle loro convinzioni, alternati ai totali esterni di una vita caotica e frastornata.

Hungry Hearts è una ferocissima e malinconica analisi che riduce in mille pezzi il confronto genitoriale assediato dall’imperante nuova cultura dell’alimentazione.

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Il nemico è il benessere che ha portato il nucleo a trincerarsi dentro un castello per paura di tutte le maschere della morte rossa che bussano per entrare.
Il nemico è la porta chiusa a doppia mandata, che impedisce di ascoltare quello che ci viene gridato da chi ci ama.
Il nemico è la forza delle convinzioni che trasformano in odio, l’opinione dell’altro.

Il nemico siamo noi, che vogliamo credere di essere nel giusto e soffochiamo ciò che non siamo in grado di proteggere.

Adam Driver e Alba Rohrwacher, vincitori della Coppa Volpi a Venezia per le loro interpretazioni di Jude e Mina, hanno i nostri stessi occhi e sembrano dirci di fermarci, prima che sia troppo tardi.

E di tornare ad amarci.
Perché solo per quello siamo nati.

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Hungry Hearts è un film necessario, attualissima fotografia dei nostri giorni, oltre che, come si diceva, risposta salvifica ad almeno una delle tre domande più imbarazzanti che possiamo subire.
Anzi, no, visto che esce in sala oggi, risponde bene a tutte e tre le domande.

– “Allora, che fai stasera?”

Vado al cinema.

– “Mi consigli un film italiano bello?”

Hungry Hearts

– “Ti ricordi quando ho già messo questa gonna?”

La portavi il giorno in cui ci siamo conosciuti.
Chiusi nel bagno di quel ristorante.

Da cui non saremmo usciti mai.

 

Stellette? 8 su 10.

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