Come non detto.

1 settembre 2012 da Mauro

Chi ha letto questo post sa bene che tipo di rapporto mi leghi a Ivan Silvestrini.
Chi ha letto quel post sa che la nostra amicizia si basa su una complessa equazione di affetto, stima, casualità, passioni in comune e vita.
Che non è ciò che ti succede mentre sei occupato a fare altri progetti, come sosteneva quello che si faceva fotografare nudo insieme a quell’altra lì, ma la capacità di scegliere in quale progetti imbarcarti, e il tuo personalissimo modo di portarli a termine.

Nel 2011 Ivan mi ha preso da parte per tre volte e in ognuna di queste mi ha rivelato uno specifico progetto su cui voleva misurarsi.

Del primo ne abbiamo già parlato, del secondo non ne parlerò perché è qualcosa che riguarda solo lui e quell’adorabile donna che gli sta vicino, il terzo ho avuto modo di vederlo realizzato qualche ora fa.

Per 90 minuti ho trattenuto il respiro.

Un apnea discreta, la mia, nascosto tra le poltrone della Casa del Cinema di Villa Borghese e circondato da un pubblico di soli giornalisti che da lì a qualche ora avrebbero reso pubbliche le loro opinioni sull’esordio cinematografico di Ivan.
Un’apnea ansiosa, la mia, di dita intrecciate e sguardo fisso, con un’occhio alle scelte di regia, uno allo script, uno alle luci, uno agli attori e uno, il più grande e attento, al ritmo.
Un’apnea dalla quale sono emerso solo sulle note della canzone di Sirya e Ghemon che dà il via ai titoli di coda, tra gli applausi e lei risate dei presenti e la conferma che Ivan c’era riuscito veramente: Come non detto, il suo film d’esordio cinematografico, era lì e tutti l’avevamo visto.

Nata dalla mente e dalla caparbietà dello sceneggiatore Roberto Proia, l’idea alla base di Come non detto è quella di portare sul grande schermo una storia di coming out e crescita, affrontandola con i toni tenui della commedia invece di utilizzare i colori del dramma con cui sono solitamente inzuppati argomenti del genere.
L’ingresso di Moviemax nel ruolo di produttore ha reso possibile la sua realizzazione, mentre la scelta di affidare la regia a Ivan Silvestrini ha determinato il tono e lo stile del film.

La storia è quella di Mattia e del suo ultimo giorno a Roma prima di andare a convivere con Eduard in Spagna.
Un giorno importante perché combattuto tra il dichiararsi finalmente gay alla sua famiglia, oppure continuare a rimandare il momento del coming out.
Una scelta che diventa obbligata nel momento in cui Eduard, a sorpresa, si presenta a Roma per conoscere i genitori del ragazzo che ama e che, a quanto gli ha detto lo stesso Mattia, appoggiano in pieno la loro unione.

Ma le cose non stanno decisamente così, e questa che Eduard potrebbe scoprire, non è l’unica falsità che gli è stata detta, perché Mattia, pur di tenere nascosta l’unica verità – che una volta dichiarata, l’avrebbe reso, in un modo o nell’altro, più leggero – ha scelto di trincerare la propria esistenza in un castello di infinite bugie di carta, sostenuto da uno sforzo immane davanti alla sua famiglia e alla società che lo circonda.

Una famiglia e una società che, a ben vedere, inibirebbe un po’ a tutti la libera espressione della propria essenza, composta com’è da bulletti figli di papà, madri represse, padri infoiati dal culto della virilità e sorelle disinteressate.

La storia di Mattia, quindi, ci mette poco ad uscire dal proprio ombelico e diventare simbolo di una liberazione.

“Essere sé stessi non dovrebbe mai essere un gesto eroico.” dichiarerà Proia in conferenza stampa sottolineando quanto, tutti i personaggi del film, aldilà delle loro inclinazioni sessuali, siano alla ricerca di un personale coming out che potrebbe liberarli dalla condizione di schiavitù sociale che gli impedisce di vivere realmente la propria vita.

Ivan sceglie di raccontare questa storia utilizzando una serie di strumenti che, anno dopo anno, iniziano a diventare veri e propri segni distintivi di un percorso artistico ben definito.
Il suo cinema è diretta conseguenza delle esperienze su corto, medio e lunghissimo raggio, figlio della youtube generation e di una sensibilità che lo porta a guardare tutti negli occhi.
La persona è l’elemento attorno a cui ruota il suo immaginario di primi piani intensi e crescendo emotivi affidati alle musiche, ai ralenty e a piccoli movimenti di camera, mai invadenti, che servono a restituirci un’immagine non banale, ben costruita, in cui è forte la spinta pop che sostiene l’intera operazione.
Coadiuvato dalle luci di Rocco Marra alla fotografia, Ivan porta nella commedia italiana un utilizzo del colore che parte dalle atmosfere del Muccassassina ma arriva dalle parti di quel cinema asiatico che mette seduti sullo stesso tavolo Won Kar Wai e il primissimo Ang Lee di Mangiare, bere, uomo, donna.

Il suo lavoro sugli attori – sin dai tempi di Autodistruzione per principianti punto forte e centrale della sua direzione – è così misurato da riuscire a non far cadere nel macchiettistico personaggi che sulla carta potevano rischiare di sembrarlo.

Loro lo ricambiano regalandogli delle interpretazioni straordinarie a partire dal protagonista Josafat Vagni

che riesce a reggere l’intera durata del film acquisendo credibilità minuto dopo minuto, passando per le ottime interpretazioni di Francesco Montanari (in un ruolo mai così lontano da quello con cui si è imposto all’attenzione del pubblico),

di Monica Guerritore,

del sommo Ninni Bruschetta,

dell’esilerante coppia composta da Valentina Correani e Andrea Rivera,

della commovente Lucia Guzzardi,

fino ad arrivare a Valeria Bilello che, nei panni di Stefania, la migliore amica di Mattia, interpreta forse il personaggio più affine al percorso artistico finora effettuato da Ivan.

E’ un film esente da critiche?
Tsk. La perfezione non è di questa terra figuriamoci nel cinema italiano.
Per quanto gli archi narrativi dei personaggi siano più che ampiamente portati a termine, alcuni passaggi risultano trattati più frettolosamente di altri.
E’ il caso della madre interpretata dalla Guerritore, per la quale, chi scrive, avrebbe preferito un maggiore approfondimento del suo percorso, o del bulletto Christian che non fa un passo più in là dello stereotipo che rappresenta, né all’inizio, né tanto meno nel twist finale che conclude la sua vicenda.
Ma stiamo parlando di elementi che non inficiano in alcun modo la visione del film, ben sostenuta dal montaggio continuamente alternato tra il passato e l’oggi in cui tutta la vicenda si svolge, e da una serie di battute davvero azzeccate.

Più di qualcuno, infine, poi potrebbe contestare la scelta stessa di mostrare l’elemento comico di un momento che per molti potrebbe essere vissuto come una tragedia, ma come sottolineato da Ivan durante la conferenza stampa, molte volte, la commedia è il modo migliore per raccontare il dramma.
Una commedia che non si limita ad accontentarci dicendoci che, in fondo in fondo, le persone sono tutte belle, ma che, in alcune circostanze e con il giusto coraggio, anche “i più stronzi tra gli omofobi, possono cambiare”.

Un solo commento

  1. Tsunami -

    Al minuto 1.05 del trailer viene presentata una drag queen che si chiama Tsunami.
    E’ un caso vero?
    VERO???

    A parte tutto, complimenti a Ivan:)

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