Venezia 71 per La Repubblica – XL

18 settembre 2014 da Mauro

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Smaltita la sbornia Veneziana, sono al lavoro su un post che vi racconti in modo veloce quella cinquantina di film che ho visto e di cui, con molta probabilità, solo quattro/cinque verranno distribuiti in Italia.
Per il momento vi segnalo gli articoli, le recensioni e le interviste che ho scritto da Bravo Soldatino della Stampa, per la pagina di La Repubblica XL, sperando di incuriosirvi un po’, se non li avete visti, o per scambiare quattro chiacchiere in merito.

Eccoli.

Birdman (o: Le imprevedibili virtù dell’ignoranza).
di Alejandro González Iñárritu

Birdman XL

Venticinque anni fa Michael Keaton era Batman.
Per ben due volte ha indossato il manto del cavaliere oscuro salvando Gotham City dalla minaccia del Joker e del Pinguino e innamorandosi (e facendoci innamorare) di unaMichelle Pfeiffer in stato di grazia.
Poi cosa è successo?
E’ successo che Keaton ha partecipato a film famosissimi, ha interpretato i ruoli di personaggi in carne e ossa, e animati in computer grafica, ma nessuno di questi è riuscito davvero a togliere dai cuori dei suoi fan la sua doppia interpretazione del giustiziere inventato nel 1939 da Bob Kane e Billy Finger.

Tutti, ancora oggi, quando pensano a Michael Keaton lo immaginano vestito da Batman.
Tutti.
Anche Alejandro Inarritu.
E proprio da questo input parte il regista messicano per mettere in scena la sua prima commedia. (Per leggere il seguito cliccate QUI )

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Messi
di Alex de la Iglesia

messi XL

Facciamola facile:

I fan di Messi lo ameranno.
I detrattori di Messi lo odieranno.
Tutti gli altri se ne fregheranno.

A questo, potrebbe ridursi tutto quello che c’è da dire su Messi, il nuovo lavoro di Alex de la Iglesia presentato nelle Giornate degli Autori di questo settantunesimo festival di Venezia.
Ed è davvero un peccato perché, sulla carta, stiamo parlando di uno degli oggetti più bizzarri e interessanti di questa edizione.
Un calciatore che è già mitologia raccontato dal regista che, per stile e messa in scena, è quanto di più lontano ci si possa aspettare dal mondo del documentario.
Noto in italia principalmente per Ballata dell’Odio e dell’Amore, Alex de la Iglesia è un punto di riferimento per tutti i cinefili amanti del genere e del grottesco. (per leggere il seguito cliccate QUI)

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The Goob
di Guy Myhill

the goob XL

Soprendente ed emozionante opera prima inglese, alle Giornate degli Autori di Venezia 71.
Ci sono dei film che arrivano come piccole meteore inaspettate, impattano con forza in quei luoghi della nostra adolescenza in cui non stavamo guardando e iniziano, piano piano, a prendere il loro posto dentro di noi.
E’ successo con le ragazzine di Creature del Cielo, con gli amori e le delusioni nati e morti all’interno del Giardino delle Vergini Suicide, e succede, oggi, con The Goob, l’opera prima diGuy Myhill.

Guy Myhill non è un ragazzino, alle sue spalle ci sono decine di documentari e cortometraggi ma è col suo lavoro presentato a Venezia che esordisce nel mondo dei lungometraggi di finzione.

«Non è facile girare un film al giorno d’oggi, è un’esperienza talmente forte che lascia molti miei colleghi bloccati alla prima prova, inibendoli a tal punto da non fare più nulla. Spero invece che questo sia un inizio vincente»! (per leggere il seguito cliccate QUI )

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The Look of Silence
di Joshua Oppenheimer

THE LOOK OF SILENCE XL

Se siete arrivati su questa pagina spinti dalla voglia di sapere se Joshua Oppenheimer sia riuscito o meno a realizzare un nuovo capolavoro, vi accontento subito: sì, ci è riuscito.
Non solo ci è riuscito, ma si è anche superato, perché The Look Of Silence è persino più potente di quel The Act of Killing che, soltanto due anni fa l’aveva reso famoso in tutto il mondo. Ma il grande lavoro di questo regista non merita una lettura veloce, né una di quelle recensioni da quindici righe che potete leggere ovunque, quindi facciamo così: voi vi prendete cinque minuti di pausa dal mondo, mettete la chat di Facebook su offline, impostate il telefonino su “Uso in aereo”, e io mi vi racconto una storia dolorosa, di scoperta e memoria. Senza eroi, però, perché questa è una storia vera e nelle storie vere gli eroi si fanno sostituire dalle persone.

Una di queste persone si chiama Joshua Oppenheimer è il 2001 e sta andando in Indonesia con una missione: realizzare un documentario sulla drammatica condizione degli uomini e delle donne che raccolgono l’olio di palma al Nord di Sumatra.
Nelle piantagioni, infatti, i lavoratori sono costretti a turni di lavoro massacranti senza la benché minima tutela legale e trascorrono le loro giornate a spruzzare erbicidi senza neanche l’utilizzo di mascherine e vestiti protettivi.
Oltretutto vivono quotidianamente sotto il mirino e le minacce dell’esercito che, nel frattempo, è stato inviato dai dirigenti della compagnia belga, proprietaria dei campi, per sedare ipotetici scioperi protesta.
Ma di scioperare, gli schiavi sfruttati nei campi, non hanno davvero la minima intenzione e si chiudono in uno spaventato mutismo al solo sentir parlare di “sindacato”.
E così la compagnia belga può tranquillamente continuare ad avvelenare i propri dipendenti.
Oppenheimer ci mette poco a capire l’origine di questa paura. (per leggere il seguito cliccate QUI )

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Fires on the Plane
di Shinya Tsukamoto

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Ultimi giorni della seconda guerra mondiale.

I giapponesi hanno invaso le Filippine e ora devono affrontare la controffensiva dei ribelli locali e delle forze alleate, ma il soldato semplice Tamura (lo stesso Shinya Tsukamoto) ha un problema più urgente: è malato di tubercolosi.
Allontanato dal suo contingente per raggiungere un ospedale da campo, Tamura arriva giusto in tempo per vederlo saltare in aria assieme ai corpi di tutti i pazienti in attesa di ricovero.

Da quel momento in poi, per lui, incomincia il vero inferno.

Lontano da quel contesto urbano che è sempre stato scrigno e causa degli incubi con cui affliggere la carne dell’uomo, Tsukamoto ci racconta il viaggio che il soldatoTamura, spaventato, incapace di uccidere, perduto e confuso a causa della malattia e della carneficina circostante, è costretto a fare nella disperata ricerca di un rifugio sicuro.
La ricerca di una salvezza che sembra lontana anche solo dall’essere presa in considerazione.
La natura oscena, erotica e indifferente alle infezioni dell’uomo è l’ovvio punto di partenza che dimostra la reverenza del regista giapponese nei confronti dell’imprescindibile lavoro fatto sulla materia dai suoi predecessori.

E se, quindi, Herzog, Coppola e Malick, vengono concettualmente passati in rassegna uno dopo l’altro come riconosciuti padri putativi, è proprio al suo miglior cinema cheTsukamoto paga pegno, è il suo cinema che esplode in tutta la sua urgenza. (per leggere il seguito cliccate QUI )

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The Postman’s White Nights
di Andrei Konchalowsly

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«Negli ultimi anni ho cominciato a pensare che il cinema moderno stia cercando di liberare lo spettatore da qualsiasi forma di contemplazione. Questo film è il mio tentativo di scoprire le possibilità alternative che si nascondono nell’immagine in movimento accompagnata dal suono. Il tentativo di vedere con gli occhi di un neonato il mondo che ci circonda».
Con queste parole Andrei Konchalovsky presenta il suo nuovo film in concorso nella settantunesima edizione del Festival di Venezia.
Classe 1937, un’intera vita spesa alla ricerca della vera essenza del cinema del reale, Konchalovsky si guarda intorno per ritrovare quello sguardo bambino che naturalmente cede al passare degli anni.

Viene perso dall’uomo che diventa consapevole del suo ruolo nel mondo e viene perso dal mezzo cinema, rapito dalle infinite possibilità delle derive della tecnica.
Per questo, per ritrovarlo, c’è bisogno di partire, di lasciare il conosciuto e addentrarsi in una terra che è tanto distante dal resto da aver eliminato il superfluo, così vicina al futuro da considerarlo alla propria portata.

Questa terra è il parco nazionale della regione di Arcangelo nel nord della Russia dove, attorno al Lago Kenozero, alcuni minuscoli villaggi di cinque, sei unità, vivono lontane da qualsiasi contatto col resto del mondo, eppure vicinissime a uno dei più grandi cosmodromi esistenti che, ciclicamente, manda razzi in orbita sotto gli occhi sempre meno stupefatti dei locali.

In questi luoghi, Konchalovsky, è arrivato senza un’idea precisa del film che sarebbe andato a girare, convinto che proprio lì avrebbe trovato la storia giusta.
Perché le storie di questi luoghi non puoi inventarle, devi viverle.
Ed è proprio così, per caso, che la troupe ha incontrato Aleksey Tryapitsyn. (per leggere il seguito cliccate QUI )

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Senza Nessuna Pietà
di Michele Alhaique

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Il giovane attore e regista Michele Alhaiquemantiene la promessa fatta ai tempi del Il Torneo, il corto da lui diretto che gli valse la vittoria del nastro d’argento, e mette in scena un noir che ha il grande pregio di tenersi distante da tutti quei romanzi criminali dietro cui sarebbe stato facile mettersi in coda per sfruttarne il successo.
L’urgenza registica di Alhaique non si perde dietro ad alcuna moda del momento, e insegue con forza una necessità di racconto che è ben evidente nel suo lavoro sulla scena (ottima la fotografia di Ivan Casalgrandi) e sugli attori, che ricambiano regalandogli –  e regalandoci – delle performances notevoli, a partire dal gigante (in tutti i sensi) Pierfrancesco Favino passando per un azzeccatissimo e ambiguo Claudio Gioè, fino ad arrivare alla sorprendente e poliedrica Greta Scarano.
Tutti danno il massimo per mettere in scena il dramma shakespeariano vissuto daMimmo, grosso e ottuso muratore che di notte spezza le ossa di chi non salda i debiti che hanno accumulato nei confronti di suo zio, il boss Santili, ma che per amore di quell’unica donna che  lo ha trattato con gentilezza, non esista a mettersi contro l’intero clan criminale pur di salvarle la vita.

Un soggetto non originalissimo che viene però sviluppato smarcandosi dal già visto e mostrando quello che è, a tutti gli effetti, un’intervallo nella regolare routine criminale di Mimmo.
Una pausa.
Come una pausa è quella che vive il dittatore di Makcmalbaf nel film Il Presidente(sempre nella categoria Orizzonti), una pausa è quella del papa di Moretti, e una pausa è quella degli yakuza che Takeshi Kitano ci racconta nei suoi due capolavori: SonatineL’estate di Kikujiro. (per leggere il seguito cliccate QUI )

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E infine un extra bonus.
L’intervista a Roberto Dell’Era, tra gli autori della colonna sonora di Senza Nessuna Pietà, che ci regalava in esclusiva il brano composto appositamente.

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Tra gli aspetti più interessanti di questa 71esima edizione del Festival del Cinema di Venezia c’è il buon riscontro di pubblico e critica ottenuto dai film italiani mostrati al Lido. A partire dai pluripremiati Hungry Hearts e Belluscone, fino alle Anime Nere di Muzi, alla Trattativa diSabina Guzzanti, il Leopardi di Martone, e alla love story noir di Senza Nessuna Pietà, gli italiani in mostra hanno convinto, se non tutti tutti, una buonissima parte degli spettatori della kermesse. Tra tutte, l’opera prima di Michele Alhaique, è quella che maggiormente si distingue per l’attenzione nei riguardi della colonna sonora, affidata alle capaci mani di Luca Novelli (piano e chitarra deiMokadelic) e del produttore e dj francese Yuksek, che creano una perfetta fusione dei loro due mondi musicali, fondendo le armonie orchestrate da Luca e le atmosfere elettroniche di Yuksek, in un suono così organico da confonderle e renderle uniche. Oltre a loro, a sugellare alcuni due dei momenti più emozionati della pellicola, intervengono il cantautore irlandese James Vincent Mc Morrow (con la sua Hear The Noise That Move so soft and low), PiottaLauren Cranyon e Dellera (all’anagrafe Roberto Dell’Era), già bassista degli Afterhours e reduce del suo primo album solista, che compone appositamente per il film l’inedita: Ogni cosa una volta. Ed è proprio lui che andiamo a incontrare in questa notte di fine estate, perché Dellera ha deciso di unirsi ai festeggiamenti della troupe per la prima proiezione di Senza Nessuna Pietàesibendosi in un mini concerto a sorpresa in un bel locale sulla spiaggia lidense. Una boccata d’aria fresca dopo tutti questi giorni di proiezioni in sale buie e troppo poco tempo per gustarsi un sano long island in spiaggia.

Perdonami, ma l’occasione è troppo ghiotta, il tuo esordio solista si intitola Colonna sonora originale e ora sei qui dopo aver collaborato a quella di Senza Nessuna pietà.Hai già pensato di intitolare il tuo prossimo album Voglio diventare il Re del mondo?

«Cavolo, non ci avevo pensato ma mi sembra un’ottima idea! A parte gli scherzi, sì, fa ridere anche me la coincidenza, ed è stato davvero divertente saltare a bordo di questo progetto. Anche perché, già diverso tempo fa io a Pierfrancesco Favino abbiamo rischiato di fare qualcosa insieme, ma poi i nostri diversi percorsi lavorativi ci hanno allontanati fino al giorno in cui sono stato contattato proprio per partecipare alla colonna sonora di Senza Nessuna Pietà». (se volete leggere il seguito, cliccate QUI )

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