Asiatica Film Mediale – 5/13 ottobre 2012

7 ottobre 2012 da Mauro

E’ iniziata il 5, e continuerà fino al 13 ottobre, la rassegna annuale che la città di Roma offre agli amanti dell’Asia e delle sue espressioni artistiche.
Scrivo “offre”, perché la totalità dei film, dei cortometraggi, dei documentari, delle mostre fotografiche, degli incontri con gli autori e dei concerti, sono assolutamente, completamente, meravigliosamente, gratuiti.

Quest’anno, come negli anni precedenti.

E questo, unito alla qualità delle proposte in cartellone, mi sembra un ottimo motivo per partecipare e supportare l’iniziativa portata avanti dall’Associazione Mnemosyne.

Ieri pomeriggio c’ho passato un po’ di tempo.

Cornice dell’evento, come di consueto, lo splendido spazio Macro di Testaccio,

all’interno de La Pelanda

dove basta un minuto appena per comprendere la logistica interna tra sale di proiezioni, accessi e il fondamentale bar.

Ancora sfranti dalla precedente serata alcolica trascorsa con lo staff Rainbow CGI e altri amici, io e Meme abbiamo deciso di porci un tetto massimo di tre proiezioni.

Massimo tre proiezioni.

Questa la prima:

My fancy high heels, diretto da Ho Chao-ti, è un documentario che, in poco meno di un’ora, ci prende per mano e ci trascina in un viaggio a ritroso nella vita di una scarpa di lusso.
Dai piedi di una donna che la indossa orgogliosamente, si torna alle vetrine dove questi oggetti vengono venduti, si passa per le briglie della distribuzione,

nelle fabbriche dove vengono assemblate,

sulle scrivanie dove i design vengono approvati, nelle concerie dove le pelli vengono trattate, fino ai mattatoi dove vacche, o vitelli, sono massacrati a seconda che si voglia un prodotto di alta, o media qualità.

Il viaggio termina negli fattorie cinesi, al confine con la russia, dove si coltivano i terreni che daranno prodotti per il sostentamento degli animali da pelle.

Nelle immagini di Ho Chao-ti non c’è uno sguardo accusatorio.
Siamo lontani dai proclami animalisti e, per quanto alcune immagini siano decisamente forti e hanno portato buona parte dei presenti a lasciare la sala, l’interesse di Chao-ti è sempre rivolto all’uomo.

L’uomo che è parte di una catena che nasce, cresce e si sviluppa, nella ricerca del proprio sostentamento.
E non importa se i suoi sforzi serviranno alla vanità di esseri umani che non sapranno mai, né si chiederanno, quale sia il legame che li unisce.
L’uomo sopravvive con quello che ha e quello che inventa.

Lasciata la sala 2 e lasciata la Cina ci siamo spostati in Indonesia, dove il regista Garin Nugroho ci ha svelato i metodi in cui il fondamentalismo islamico cerca adepti per la propria jihad.

Seguendo le vite di tre ragazzi: Rima, Nanda e Asimah, scopriamo la realtà dei giovani indonesiani e come entrano in contatto con le derive estreme della religione islamica.

http://www.youtube.com/watch?v=DfOIeWUNwM0&feature=related

La regia è asciutta, privo di fronzoli e punta dritta alla comunicazione.
Nascondendosi dietro la tendina della fiction, Nugroho, ci porta dietro le quinte di un mondo reale non così diverso da quello in cui viviamo.
Un mondo dove il punto di partenza è quello ben noto anche in occidente dell’apatia giovanile e del disagio adolescenziale, ma quello d’arrivo prende le sembianze di uno dei più grandi orrori del nostro tempo.

Il terzo e ultimo film della serata era quello che, sulla carta, prometteva le maggiori emozioni (ed è stato quello che ha visto, effettivamente, il maggiore accesso di pubblico) rivelandosi non all’altezza delle aspettative.

3:11 – In the moment
di Kyoko Gasha.

Kyoko Gasha è una giornalista e reporter giapponese, che ha avuto modo di testimoniare in prima persona al disastro del crollo delle Twin Towers di quell’11 settembre 2001 che ha segnato il più importante spartiacque dell’epoca moderna.

Forte della sua esperienza ha cercato di raccontare le conseguenze, sull’uomo, della devastazione naturale che ha colpito la sua terra d’origine.

3:11 – In te moment, parte  col botto.
Cinque minuti di immagini di repertorio, la maggior parte delle quali mai passate nei nostri network, che raccontano come le vite degli abitanti della costa nord orientale del giappone siano state distrutte da un terremoto e seppellite dallo tsunami.

La macchina da presa della reporter si ferma sui sopravvissuti, focalizzando il suo interesse sulle vite di alcuni personaggi che si sono occupati, più della ricostruzione umana che di quella architettonica o paesaggistica.

Ed è qui che la forza del documentario si incarta su sé stessa, perdendo, mano mano, di forza e incisività.

Perché per quanto possa essere interessante conoscere la signora che ha rinunciato a tutto pur di fare fisioterapia ad un gruppo di anziani, per quanto possa esserci utile sapere che degli asciugamani a forma di elefante possono contribuire alla ricostruzione di intere aree ridotte in macerie, un documentario che ha la pretesa di raccontare la distruzione e la ricostruzione di un popolo, non può fermarsi a questo.

Può dedicargli un capitolo del suo percorso, non la totalità.

Nel documento che Kyoko Gasha sta lasciando ai posteri, non c’è spazio per i ragazzi. Vediamo i bambini e gli anziani. Vediamo la reazione di due cinquantenni. Ma non abbiamo la risposta di una notevole fetta di popolo.
Non ci vengono dati gli strumenti per riuscire a capire a che livelli, e per quanto tempo, la distruzione avvenuta inciderà sul Giappone e sui giapponesi.
I problemi di mancanza di cibo, gli aiuti esterni, la perdita delle case e del lavoro, la radioattività residua nell’aria, sono argomenti che, quando non vengono del tutto esclusi dal racconto di Kyoko Gasha, sono trattati con estrema superficialità al servizio di una visione ottimistica spesso sconcertante, riassunta nell’opinione dell’anziana signora che ci dice che lo tsunami avrà portato anche tanta distruzione però è servita a farla entrare in contatto con tanta gente di buon cuore.

Nell’incontro al termine della visione del film, l’autrice svela che l’obiettivo primario che si è posta con questo documentario, è quello di farci capire che anche dalle disgrazie può nascere qualcosa di buono.
Sono d’accordo.
E condivido.

Ma questo documentario, purtroppo, non lo è.

E quindi, quante stellette meriteranno questi film?

My fancy high heels: 7 su 10
The Blindfold: 7 su 10
3:11 – In the moment: 4 su 10

Compatibilmente con i miei impegni di lavoro, proverò a passare ad Asiatica anche nei prossimi giorni.
Se ci siete, e io vi consiglio di esserci, ci incontriamo lì!

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