Prometheus – Recensione.

18 settembre 2012 da Mauro

L’aspetto più interessante di Prometheus è che, a livello karmico, riequilibra lo splendore fuori scala di Alien.
Ridley Scott infatti ci presenta sostanzialmente lo stesso film ma si impegna a sostituire certosinamente, una ad una, le scelte azzeccate del 1979, con una loro controparte 2012 casuale e sciatta.

La sacra quadrilogia di Alien è una roba talmente alta che nemmeno le orribili contaminazioni contro Predator sono riuscite a scalfire.
Una roba talmente alta che l’annuncio di un quinto film sarebbe stato salutato da tutti con orrore a meno che non avesse recato in calce la firma del proprio papà.

E così è stato.

Per mesi si sono susseguite le voci su un ipotetico prequel della saga che avrebbe fatto luce sui misteri legati allo Space-Jockey che si vede nel primo capitolo, e a tutti quei bui angoli di mitologia che ne hanno caratterizzato buona parte del fascino negli ultimi trent’anni.
Ma come tutte le più belle cose, anche queste voci vissero soltanto un giorno, come le rose.

Per motivazioni che partono da mere questioni contrattuali e arrivano a toccare la propria sfera personale, Ridley Scott non avrebbe diretto il prequel di Alien, bensì Prometheus.

Il 12 aprile 2012 fu chiaro a tutti cosa realmente avesse in testa il regista britannico.
Fu chiaro a tutti che Prometheus pur non essendo, ma sarebbe comunque stato.

Guardate, guardare che bello:

Il problema dei trailer è che spesso sono seguiti dai film.

Un film che si apre con un umanoide che beve un espresso e cade sfaldandosi in mille pezzi nella vicina cascata, dando così origine alla vita terrestre.

Questa, che mi sento di condividere, è la spiegazione che mi ha dato Rrobe perché né io, né tutti quelli con cui ho parlato, l’avevamo capito.

Ma torniamo al film, che continua migliaia di anni dopo, quando per andare a prendere contatti con la razza aliena che ha creato l’umanità, viene inviata una spedizione composta da scienziati innamorati

geologi punkabbestia,

scaltri biologi

l’androide diafano, poetico e filosofo

quattro segnalini de L’isola di fuoco

e una fregna incazzata

Come andrà a finire? Come vi aspettate.

Tutti i personaggi tentano di replicare il loro corrispettivo del 1979, eccetto Charlize Teron che infatti è l’unica a portarsi a casa qualcosa di decente.

Per il resto, Lindelof scrive svogliatamente.
Non Svogliatamente Lost (ossia quella tecnica con cui uno o più sceneggiatori mettono in bocca ai personaggi una serie infinita di frasi a caso finché lo spettatore non dice “Eh?” e loro gli rispondono in coro: “Cazzooooooo!”) ma svogliatamente e basta.
Alla fine del film non si resta senza risposte, gliene va dato atto. Bravo Lindelof.
Ma questo succede perché le domande non vengono proprio in mente, tanto è il disinteresse verso quei personaggi e quello che avviene in scena. Cattivo Lindelof.

Gli attori recitano tutti offrendo il minimo sindacale ma comunque il premio per la peggiore in scena è tutto per la Rapace

che può strillare quanto vuole ma, come ha dimostrato anche il recente orrore di De Palma, anche diretta da mostri sacri, si rivela una cagna, cagna maledetta.

Il migliore in campo, com’era prevedibile, è Fassbender, che se ne bulla il giusto

Ma il problema vero è Scott che li dirige con scarsa attenzione e arriva anche a relegare le (poche) buone intuizioni registiche a niente più che inside joke che rimandano al primo Alien.

E di rimandi, questo film, ci muore.

Ci muore perché il primo Alien è stato la pietra angolare su cui si è basato un certo tipo di cinema della tensione e ancora oggi viene studiato nelle scuole di cinema scomposto in tutte le sue parti.
Perché come dice Rrobe in questa recensione qui, tutto in Alien è stato dell’arte: scrittura, regia, interpretazioni, fotografia, suono e – soprattutto – design. Tutto è così ispirato da falciare gli antecedenti e a risultare unico in ogni sua scelta.

Prometheus invece crolla proprio su quelli che erano i punti di forza dell’antecedente.

Se già ho detto di scrittura, regia e interpretazioni, il tonfo maggiore arriva nelle atmosfere plasticose e patinate che stanno ad Alien come l’orrendo Tron Legacy stava all’immortale Tron.
Nella colonna sonora anonima e fuori contesto per la maggior parte dei momenti clou, ma soprattutto in un design che grida vendetta, odio, ecatombe e disperazione.

Ma è nei ricalchini pedissequi alle tecnologie, nelle astronavi, nelle planimetrie, di Avatar che il ritorno alla fantascienza di Ridley Scott fa la figura più meschina.  Nella copia di un film recentissimo e troppo famoso per poter essere plagiato in questo modo anche nell’utilizzo della stereoscopia, che tanto in Avatar ci permetteva di entrare in un nuovo mondo

tanto qui restituisce l’effetto di una postproduzione farlocca e bidimensionale.

Ma purtroppo, e per fortuna, non si vive di solo Avatar, ma quando ci si allontana dal film di Cameron e si tenta di ripercorrere le tracce che furono di Giger, la bestemmia è completa.

I troni si riempiono di ghirigori

l’allegoria si fa cialtrona

involontariamente comica

E alla fine, quel che resta, è la delusione di assistere ad uno spettacolo che, nonostante il dispiego economico, non è altro che la brutta copia di qualcosa d’importante.

Come ritrovarsi in mano, per il proprio compleanno, la sottomarca cinese del nostro pupazzo preferito.

Anzi, peggio.

Stellette? 3 su 10

P.S.
Mega nota di merito al tizio seduto vicino a me che, alla vista del logo animato della Scott Free

ha detto: “Oh, mica lo sapevo che ‘sto film l’hanno prodotto quelli della Fandango.”

E all’amica che gli ha risposto: “L’italiani piangono sempre miseria e poi vedi, i soldi pe’ fa i film stranieri li trovano sempre!”

L’UGC di Porta di Roma, continua a confermarsi luogo popolato da una fauna straordinaria!

51 commenti

  1. Nicola -

    Ciao a tutti, sono decisamente in ritardo per esprimere la mia opinione ma gioco forza ho visto questo film solo ieri sera. Scrivo senza alcuna pratica di critica cinematografica ma col solo intento di liberarmi di quel senso di incompiutezza che mi ha lasciato Prometeus. Butto lì solo un paio di concetti che a mio avviso non calzano proprio: intanto il concetto iniziale di creazione…Inizialmente proprio non lo avevo capito. Ma questo Gigante albino si trovava sulla terra nell’atto del sacrificio? Se da lui sono nati gli esseri umani come hanno fatto questi ultimi a descriverlo nelle pitture rupestri? Forse non era solo sulla terra ma altri Giganti hanno visto nascere il genere ano che così ha potuto ritrarli? Abbiamo lo stesso dna ma tutte le altre specie viventi chi le ha create? 4 stelle in croce su un’iscrizione e riescono a trovare una rotta per un pianeta dell’intero universo? Pianeta che poi non è il pianeta di origine dei Giganti ma solo la loro base per esperimenti quindi a dirla tutta neanche quello giusto. 2 anni per arrivarci non sono un po’ pochi. Il team di ricerca non dovrebbere essere stato scelto da persone che nutrano almeno un po’ di interesse nella spedizione ? Un geologo che si perde nella base che lui stesso ha mappato mentre tutti gli altri girano avanti e indietro senza nessun problema? Un biologo che di fronte alla scoperta che rivoluziona il darwinismo vuole tornarsene a casa ? Poi il finale é anche peggio… Il gigante superstite risvegliato parla con David non si capisce che si dicono ma il Gigante si incazza spazza via tutti e come se niente fosse mai accaduto parte con la missione di distruggere la terra cosí tanta perché non aveva di meglio da fare. La dottoressa bionda a capo dell’impresa scappa sul modulo di salvataggio mentre l’astronave madre fa da kamikaze…Ma dove pensi di andare che fuori c’é altro che niente? Dulcis in fundo l’androide mezzo rotto e l’unica superstite della spedizione partono con un’altra astronave aliena (ce ne sono a vendere lì intorno) verso il pianeta origine dei giganti… Ma scusate! Nella prima astronave hanno trovato altro che morte e distruzione, in questa altra tutto liscio? Questione di fortuna? Malgrado gli ottimi effetti speciali mi é sembrata una grande accozzaglia di roba tritata e servita come piatto unico. Un tema di liceo con questo canovaccio zoppicante non sarebbe arrivato al 4. Saluti e buon anno. Nicola.

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