JD n.s.#3 – Commento dello sceneggiatore – 2 di 3

27 gennaio 2011 da Mauro

Continuo a sfogliare il terzo numero della n.s. di John Doe e a raccontare quello che c’è dietro ognuna delle sue pagine.

Tavole 32/34

John vuole diventare il protagonista del film e non una mera comparsa.
La prima cosa che decide di fare, quindi, è andare a rompere le uova nel paniere all’attorone di turno.
Sarah (che è presente sul set per assicurarsi che il budget venga gestito adeguatamente e tutti svolgano correttamente il loro compito), se ne accorge ed interviene.

Nel frattempo Clint guarda nell’occhio della videocamera, un gesto emblematico ma ormai quasi solo simbolico perché usualmente il regista preferisce seguire la scena dal monitor delegando lo sguardo in camera a direttori della fotografia ed operatori di macchina.
Ma Clint è della vecchia scuola quindi, secondo me, lo fa.
E’ uno che si sporca le mani e che non è mai uscito dalla trincea.

John accusa l’attorucolo di lavorare solo in virtù della sua storia con la direttrice di produzione.

Ci tengo a sottolineare che questa non è una prassi abituale nel mondo del cinema (ok, a parte Benigni e la Braschi) e che anzi, solitamente, le coppie nascono e muoiono direttamente sul set, mai prima.
Il set, volendo, è più simile ad una colonia estiva dove è raro che ci si presenti accompagnati!
Aldilà del gossip, il senso di questa sequenza è legato semplicemente a quello che dovevo ottenere, ossia creare un po’ di fuffa per isolare Clint e John e permettergli di parlare da soli.
Ma avevo lasciato Clint alle prese con un set, quindi, come liberarsi di tutti?

Il piano era di iniziare mostrando la situazione di stallo: Clint al lavoro, seguito da Sarah.
A questo punto creare scompiglio con la storia di letto (che non sapevo assolutamente che avrei ripreso, in quel modo, sul finale) e buttarla sul John che fa il fico con Sarah sfottendola per le scarpe che porta.
Ora, se c’è una cosa di cui io mi intenda meno del vino… sono le scarpe!
Quindi mentre scrivevo questa sequenza ho mobilitato le mie colleghe rimaste in Rainbow alle 20.30 per una consegna improvvisa e ho chiesto quale fosse un marchio di scarpe immediatamente riconoscibile da un pubblico tra i 18 e i 30 anni che legge fumetti, segue serie tv ecc ecc.
La risposta è stata univoca: le Manolo Blahnik di Sex & the city!
Ora, se c’è una cosa di cui io mi intenda meno del vino e delle scarpe…
Mi sono fidato al volo e ho fatto anche quella certa figura da maschio postmoderno e attento agli interessi femminili.
Che se c’è una cosa di cui io… ok, basta. Fatto sta che, in questo scompiglio, ci siamo persi Clint. Dov’è andato?
A mangiare.
Bene.
Come far sapere a John DOVE è andato a mangiare?
Difficile, Sarah non glielo direbbe.

Ok, scelgo la via più facile.

Semplicemente John ci arriva sfruttando la sua conoscenza di Eastwood.
Non è il modo più elegante per risolvere una soluzione come questa e me ne rendo talmente tanto conto che, pur di distogliere subito l’attenzione da quel passaggio, sento il bisogno di inserire sia la battuta sull’Eastwood repubblicano/democratico che quella sul saluto da coattello in cui dice alle due di baciarsi tra di loro mentre aspettano il suo ritorno.

Come a chiedere al lettore di credermi e darmi fiducia.
Non è una cosa che si può fare spesso, quindi meglio non abusarne.

Tavole 35/42

In queste pagine ci sono i tentativi, falliti, di John per attirare l’attenzione di Clint.
Il primo approccio, nella mensa, è goffo ed impacciato.
John si comporta come quei fan che trattano il loro mito da amicone e lo assale in mensa mettendogli una mano intorno al collo e citando testualmente una frase che venne rivolta al suo personaggio in Gunny.
Il tutto davanti a Loren, la tipa della mensa.

“Loren” che oltretutto è un personaggio esistente e ben conosciuto da tutti i frequentatori della mensa di Cinecittà.
Ho scritto questa scena proprio perché mi faceva sorridere vederla in quella situazione lì, a nessuno verrebbe mai in mente di rivolgerlesi con un “Vai a rompere il cazzo a qualcun altro!” e ho pensato che comunque, poteva far sorridere a prescindere.

Arrivato a pagina 36 DOVEVO reinserire Robin.
Me l’ero persa troppe tavole fa, ed in più mi era comoda per rendere più dinamici i passaggi tra una situazione e l’altra.
Anzi, alternando i tentativi di convincimento con  le reazioni di Andy e Robin, potevo far scorrere il tempo e avviare l’inizio dei lavori per la produzione del film.
Potevo far “sentire” un po’ di set e giocarmi qualche scena avvenuta veramente.
Una scena come questa:

Era il 2005 e lavoravo a questo spot della Coca Cola:

la regia era di Ago Panini (un vero mostro di bravura) ed eravamo tutti a Castel S.Angelo.
Ad un certo punto due delle comparse, esattamente come John ed Andy, si mettono a parlare tranquillamente mentre si stava girando.
Ago non crede ai suoi occhi, grida uno STOOOOOOP! da risvegliare i morti e aggiunge: “Fatemi BRILLARE quelle due comparse! Toglietemele da davanti agli occhi!”
Tutti scoppiarono a ridere tranne l’assistente di produzione che balbettò un “L-le faccio brillare subito!”
Ora, “Brillare” è un termine un po’ ostico perché presta il fianco al doppio significato, l’ho sostituito con “Esplodere”, ma il senso rimane lo stesso.

La risposta di John invece fu ESATTAMENTE quella che diede la comparsa: “Volevamo solo aggiungere più verità alla scena!

A tavola 40 Andy dice: “Per un attore, recitare non è fingere. E’ interpretare e impersonare. Una cosa naturale come svegliarsi la mattina e, eroicamente, pisciare
Quell'”eroicamente, pisciare” è un rimando a Lucio Lucertola, anziano professore, che compare nel mio libro preferito di Stefano Benni: Comici Spaventati Guerrieri.

Un libro che comincia così:

Lucio Lucertola festeggiò il suo settantesimo compleanno svegliandosi. Riteneva questo un fondamentale segreto della vita: svegliarsi e addormentarsi un numero di volte esattamente uguale. Se ci si sveglia anche solo una volta in meno non si recupera più, si sputa la pallina, consummatum est, diceva Lucio che era stato professore di latino e italiano, ed era inoltre Curioso in altre scienze, le naturali le fi­losofiche le zoologiche (in particolare i batteri), la botanica urbana, i cinesi, il concetto di inizio finale. Lucio Lucertola sorge dal letto faticosamente, con una protesta rumorosa di tutte le ossa. Un canto melodioso e trionfale lo accompagna. Le stesse cellule senza scrupoli che riempiono di ghiaia arterie e articolazioni del vecchio Lucio, animano il risveglio entusiasta del suo giovane canarino. In un bicchiere sul comodino Lucio ritrova il sorriso da cui si è separato per una notte. Con un colpo di pettine lusinga i trenta capelli su perstiti, quindi eroicamente piscia. Ci fu un tempo lontano in cui doveva prendere ogni precauzione perché il dorato arcobaleno non imbizzarrisse e bagnasse ovunque nei dintorni. Ora, proteso sui bianco dell’abisso, sta attento che maligne gocce perpendicolari non gli condiscano le pantofole. Tam citus prosilit, nunc prolapsa prostata. Ama comporre versi, il mattino. Si infila gli occhiali. Si avvicini alla tenda della finestra, la squarcia. Appare al mondo, e il mondo gli appare.

Bello, no?

Nelle tavole 41 e 42 John decide, sbagliando nuovamente, di approcciare Clint nel momento di massima intimità.
Quest’ennesimo fallimento  gli fa capire di non essere in grado di gestire la situazione e di chiedere aiuto all’uomo che, per primo, l’ha messo davanti ad Eastwood.

Arrivati a questo punto, avevo raccontato al lettore qual era lo scopo di John, lo avevo mostrato fallire, ora dovevo trovare quell’elemento che gli aprisse gli occhi.
La chiave di volta.
Ed era la cosa che più mi terrorizzava nelle pagine precedenti a questo momento.
Qui mi giocavo tutto. L’approvazione per la storia o un sonoro vaffanculo.
Cosa ci poteva essere di così cazzuto da riuscire a convincere Clint a fare qualcosa che non voleva minimamente fare?
Non lo sa neanche John, ma John sa che deve proprio ad un inconsapevole Eastwood quel po’ di legame che riuscì a stabilire con suo padre, per cui è proprio da lui, morto tanti anni prima, che decide di recarsi.

(la citazione da Watchmen è tutta farina del sacco di Maresca, che ama riempire di piccole chicche le sue tavole)

Tavole 43/51


Prima di arrivare a scrivere questa parte mi sono interrogato a lungo su cosa avrebbe potuto dire a me John per convincermi a parlare di religione e spiritualità.
Io che credo nell’uomo esattamente come fa Clint, su cosa avrei potuto ascoltarlo?
Ho pensato a qual è il mio legame con dio e a cosa lo associo.
Ho pensato al paradiso come a quella condizione in cui ti senti, finalmente, accettato.
E ho pensato a quando io, da piccolo, come molti altri bambini, sentivo il bisogno di sentirmi accettato da mio padre.
La mia chiave fu De André, il noioso De André che tanto gli piaceva e che, semplicemente ascoltandolo, mi traghettava un po’ verso quel suo mondo interiore da cui io mi sentivo precluso.
Dal farmelo piacere forzatamente ad adorarlo fu solo questione di tempo ed ancora oggi, l’affetto che provo verso il cantautore genovese è in larga parte dovuto al ruolo che ha avuto nel mio rapporto con la figura paterna.
Con De Andrè ho iniziato a sentirmi accettato avvicinandomi a quel paradiso personale di cui parlo nell’albo.

E questo è quello che volevo raccontare perché anche parlando di me, stavo andando diretto al punto focale della storia.

Il bambino che vuole farsi accettare dal padre per raggiungere il proprio paradiso personale non è altro che la metafora del fedele della religione di cui John impersona il creatore.

Ma a differenza mia, John bambino, per farsi accettare da suo padre, punta sui film western, in particolare nella figura dello Straniero senza nome impersonato da Eastwood.
Ci riesce. Stabilisce un legame.
Clint, per lui, è stato la chiave per il raggiungimento dell’accettazione, del paradiso personale nei confronti di suo padre.

E ora lo vuole incontrare per parlargliene e per chiedergli un consiglio su come, eventualmente, rivelargli questa cosa.

Ma mentre sceglievo la giusta “voce” con cui raccontare quest’episodio, ho pensato che non potevo usare la mia. Non potevo usare John.
Era un gioco con le carte troppo scoperte e non sarei stato – totalmente – sincero.
Dovevo togliermi da me/lui.

E a quel punto m’è venuto in mente di far parlare per primo il padre di John.

M’ero fregato da solo.
Un colpo di scena interiore.
Invece di raccontare del figlio che cerca e trova un modo per farsi accettare (il che sarebbe stato, comunque, un lieto fine), raccontare i tentativi, falliti, del padre, nel voler ottenere lo stesso scopo.
Falliti perché il figlio non li notava minimamente.
Perché un bambino di 10 anni non riesce a pensare di essere così forte da far soffrire suo padre. Da lasciarlo impotente, senza fiato, nel vuoto dei suoi tentativi sprecati.
Ho immaginato questo padre che ci prova.
Che spera di riuscirci. Che ne parla con sua moglie. Ma che alla fine non sa neanche lui se ce la fa, perché è difficile che i bambini guardino aldilà del loro stesso naso.

E questo mi permetteva di rivalutare ancora una volta il concetto generale di quanto stavo raccontando: se per un bambino è difficile guadagnarsi l’approvazione di suo padre, quanto dev’essere complesso per un padre, guadagnarsi l’approvazione dei figli?
Quanto può essere faticoso per un Dio, sentirsi approvato dai suoi fedeli?

Chiusura del cerchio. In un solo colpo mi tornava la situazione di conflitto iniziale di John a braccetto con quello che vuole arrivare ad ottenere.

Mentre scrivevo, l’ansia di fare qualcosa di troppo ombelicale c’era.
Chiuso l’ultimo dialogo ho chiamato Roberto, gliel’ho letta tutta d’un fiato.
Lui ha aspettato un attimo e poi m’ha risposto: “Se non sapessi che è impossibile direi che da bambino mi seguivi di nascosto!”
Bene.
Se Roberto s’era immedesimato poteva valere lo stesso per tutti gli altri.
Non ero rimasto nel mio ombelico.

Tavole 52/53

Qualche tempo fa, in una delle solite cene piene di fumettari, il prode Leomacs raccontò un divertente aneddoto che legava Hugh Jackman e Clint Eastwood, ve lo riporto con le stesse parole di Jackman:

“Ero ad uno dei grandi eventi della Warner Bros e c’erano tutte queste grandi stelle del cinema in fila nel backstage. Stallone era davanti a me e Clint subito dietro e tutti eravamo così imbarazzantemente vicini.
Mi voltai e mi presentai: “Buon giorno Mr Eastwood, Hugh Jackman.” Clint rispose con un: “Si, lo so.”
Io allora continuai: “Comunque…so che dobbiamo andare ma volevo dirle che spesso mi dicono che assomiglio a lei in alcuni film e questo per me è il più grande degli onori.”
Clint replicò: “Ragazzo, stai intralciando la fila.”
Non lo dimenticherò mai. Quella sera mi rintanai in un angolo e non ebbi il coraggio di guardarlo ancora negli occhi!”

In questa tavola mi sono divertito a far fare a John la stessa figura.
Grazie Leo!

Tavole 54/56

Altra sequenza delicata.
Qui, John ha fatto il suo percorso, ha capito, e quindi è ora che passi questi concetti a Clint.
Dopo la ritrosia iniziale mi serve che Clint inizi ad ascoltare John.
Inizialmente lo fa nel suo modo burbero, poi si interessa ai discorsi del ragazzo, probabilmente solo per confutarli ma alla fine resta colpito dalle sue parole.
Tre pagine non da dedicare alla “conversione” di Clint, per quella c’è ancora tempo, ma per rendere credibile anche solo che decida di ascoltare quello che John ha da dirgli.
E John gli parla col cuore in mano.
Forse troppo. E da troppe tavole. C’è bisogno di una svolta sennò vado fuori personaggio e i lettori se ne accorgono.
Ok che siamo in una storia decisamente sentimentale, ma John ha un unico scopo nella vita: perseguire i suoi scopi.
Per cui usa, manipola, ottiene.
Questo il perché della

Tavola 57

in cui tutta la tensione emotiva degli avvenimenti precedenti crolla davanti al fatto che è John stesso a ridicolizzarli parlandone a Robin.
Si pone con lei come se tutto fosse stato mirato soltanto a fargli ottenere il risultato che voleva, ossia convincere Clint con ogni mezzo possibile.
Avendo visto come sono andate le cose con suo padre sappiamo benissimo che per un attimo, la maschera da duro profittatore, gli era rotolata per terra, ma l’atteggiamento che sfoggerà a partire da questa tavola, ci dimostrerà che in realtà era molto più rilassato di quanto potessimo ipotizzare.

Sentivo l’esigenza di un cambiamento di mood perchè mi rendevo conto che se avessi calcato ancora la mano sull’aspetto emotivo sarei risultato esageratamente stucchevole (invece alla fine me la sono cavata con un sopportabile: “un po’ stucchevole!”)

Tavole 58/60

Il “Giardino dell’ozio suicida” deve il suo aspetto grafico al mostrone gigante che trovate alla fine di questo video qui:

I ragazzi della Passion Pictures (gli stessi a cui si devono i video dei Gorillaz e molta altra bella roba) di Londra hanno realizzato questo capolavoro nel 2009, come video d’apertura del videogioco della serie Rockband dedicato ai Beatles. Guardarlo almeno una volta al giorno è cosa buona e giusta.

Volevo inserire un nuovo elemento “cosmico” da legare a John.
Un nuovo Ristorante al termine dell’universo. Qualcosa che si fosse creato per sé stesso negli anni.
Poi morivo dalla voglia di inserire qualcosa dei Beatles.

Come fare, come non fare, eccolo qui. Il Mostrone.

Ma che fa? Perchè inserirlo? Perchè cade?

Cade perchè si ammazza. E si ammazza continuamente per ricordare a John che non può riposarsi più del dovuto. E’ pur sempre Dio.

Divertiva me, divertiva Luca, divertiva i papà di John Doe. E quindi eccolo qui.

Fine Seconda parte.

Scritto in fumettaria, john doe, me

11 commenti

  1. Sand -

    Il mostrone m’è sempre piaciuto un sacco…

  2. thomasmagnum -

    Grazie per queste occasioni di sbircio, mi ci tuffo Curioso con la C maiuscola come il buon Lucertola.

  3. Andrea Gadaldi -

    Il bestio suicida è entrato di prepotenza nei miei personaggi/luoghi preferiti della serie.

  4. Ivan Vitolo -

    eh, ma potevi mettere le tavole con una risoluzione un po’ più alta 🙁
    non sono godibili cosi’… a parte questo, complimenti per il lavorone 🙂

  5. Ivan Silvestrini -

    Leggo in queste pagine un atto di coraggio. non mi è mai capitato francamente di conoscere un altro autore che si raccontasse con cotanta onestà e apertura, per pura generosità poi…

    di solito le menti creative cercano di alimentare il proprio genio di un’aura di mistero, spesso forse perchè in fondo non c’è poi troppo da dire.

    non è questo il caso.

    grazie Mauro per aprirci questi passaggi nel tuo cervello, spiarti da qui è un’esperienza illuminante.

  6. Marco C. -

    Qua però manca la terza parte! Mi ricorda una certa storia di dvd di Meliès; anche noi dobbiamo inviarti un modulo con i nostri dati personali (e dove si scarica??) per la parte finale?

  7. Tito Faraci -

    Che succede? Dai, aggiorna il blog…

  8. Amal -

    Eh appunto. Aggiorna sto blog. La parte 3 di 3 ce la vuoi far sudare così tanto?

  9. vincenzo -

    questi contenuti speciali sono grandiosi (in special modo durante le ore d’ufficio 😉 ).

    L’ammirazione per il tuo lavoro su JD cresce solo leggendo il dietro le quinte.

    Una curiosità, mentre leggevo la frase: “Sarah è la tipica direttrice di produzione milanese che, per motivi imprecisati, si trova a lavorare a Roma.” mi sono reso conto che da marzo una delle produzioni che seguo sarà a roma!! e mi sono detto ecco magari ora qualcuno mi vedrà come un milanese (nato e cresciuto a napoli) che per motivi imprecisati si trova a lavorare a roma!! ahahahahaha ci ho riso un totale!!! 🙂

  10. Tito Faraci -

    Mauro?

  11. Mauro -

    @Sand
    Il mostro dovrà ricicciare in qualche modo.

    @Thomas
    Tuffoticiti. Che l’acqua è un brodo.

    @Andrea
    Se cogli l’attimo puoi anche farci un giro.

    @Ivan
    Chiedile a Luca! Se le metto un po’ più alte prima che mi scarica la pagina ci metto una vita!

    @ivan
    Oh, se tu fossi vaginadotato….

    @Marco
    Fatto, fatto! E senza modulo!

    @Tito
    Sono tornato. Ce l’ho fatta.
    Non credevo che il ritorno dall’Asia sarebbe stato così… così… ecco, così.

    @Amal
    Fatto! Ecco! Scusate!

    @Vincenzo
    Ciao Vincenzo,
    Grazie per i complimenti! Credo che le tue origini napoletane e il tuo cromosoma Y ti metta al sicuro da ogni rischio!

    @Tito
    Ci sono, ci sono!
    Giuro.

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