Cantastorie.

20 settembre 2010 da Mauro

Se guardate con attenzione tra le belle facce esposte sulla copertina di questo volume

ci trovate anche il vostro amichevole nasone di quartiere.

L’iniziativa dei ragazzi della Tunué è lodevole.

“Un volume unico che spiega i segreti dello scrivere e presenta il passaggio della graphic novel dal fumetto alla narrativa.

Andrea Campanella, Alessandro Di Virgilio, Andrea Laprovitera, Giovanni Marchese, Lucio Perrimezzi, Cristiano Silvi, Mauro Uzzeo, Luana Vergari.
Otto sentieri diversi, e noi dietro a seguirne le tracce per riprodurre un cammino, rivivere l’entusiasmo e la speranza degli esordi e dei successi, dal fumetto underground a quello popolare, dal graphic novel al fumetto seriale.

Interviste, racconti e trucchi del mestiere. E il prodotto finito, le tavole disegnate, accanto alle sceneggiature. Il percorso dalla magia di una buona idea a quell’altro tipo di magia rappresentato dai comics.

Questo è Storytellers.
Un
omaggio di Tunué ad alcuni dei suoi sceneggiatori, un omaggio a tutti i suoi lettori, agli appassionati, a chi vuole sbirciare nel laboratorio e scoprire come si scrive una sceneggiatura per fumetti e come l’hanno scritta questi nostri otto amici.”

Angelo Orlando Meloni (autore del romanzo Io non ci volevo venire qui, che vi consiglio di recuperare) s’è fatto in quattro per curare questo volume e, con passione e dedizione, è riuscito a inanellare una serie di interventi, uno più interessante dell’altro.
L’idea di accostare il profilo degli autori a una loro intervista, una dimostrazione di sceneggiatura e un racconto inedito in prosa lo rende un volume appassionante sia per chi vuole muovere i primi passi nel mondo della sceneggiatura, sia per quei curiosi che possono approfittare di uno dei rari momenti di backstage dedicati ai fumetti.

Per quanto riguarda me, ecco uno stralcio dell’intervista:

[…] A.O.M.: Parlaci un po’ di te, delle tue passioni e dei tuoi interessi, anche dal di fuori dal mondo dell’animazione e del fumetto.

M.U.: Terreno pericolosissimo considerato che assomiglio molto all’anello di congiunzione tra l’idrovora e il buco nero. Viaggi, cibo, musica, letteratura, cinema, ed è inutile farti un nome di riferimento perché la realtà è che sono interessato a chi, queste cose, le pensa, le produce e le vende. Alla persona che ci sta dietro, al pensiero. Sono morbosamente attratto dalla gente. Adoro i meschini, i puliti, i sopravvissuti, quelli che mostrano e quelli che nascondono. Quelli che non dicono quello che pensano e quelli che se lo tatuano addosso. Adoro le stazioni, i vagoni, i bar, quei luoghi dove non si vive ma si passa, perché la gente quando passa è distratta e la verità si dice solo distrattamente. Per molti è l’unico modo di essere sinceri.

Come hai mosso i primi passi nel mondo del fumetto e dell’animazione, hai avuto un maestro, hai seguito una scuola? A proposito, cosa pensi dei corsi di scrittura che vanno per la maggiore?

Sono molto convinto del fatto che tutti, nel bene e nel male, mi siano maestri (quelli negativi a volte più utili di quelli positivi!), ma in realtà un maestro c’è ed è l’unica persona cui, tutt’oggi, mi rivolgo con quell’appellativo: Lorenzo Bartoli. Ero un quindicenne alto, ossuto e interessato a capire come si realizzava un fumetto bello come Arthur King, e Lorenzo fu l’uomo giusto al momento giusto. Oggi è un pluriapprezzato sceneggiatore e docente, ma all’epoca teneva il suo primo corso di sceneggiatura. Il fatto che tutti i suoi (pochi) primi allievi siano oggi dei professionisti del settore (NOTA DI MAURO: non ci credete? Ok sappiate che, quei pomeriggi intorno al tavolino del Nuvoloso Club, insieme a me c’erano Giovanni, RRobe – l’unico che già aveva pubblicato tra di noi – ed Elisabetta!) dovrebbe essere una prova sufficientemente inconfutabile del fatto che se una persona ha delle cose da dare, riesce a darle in qualsiasi condizione. Lorenzo mi parlava e io lo capivo. E lo capivano gli altri. Per ognuno Lorenzo ha avuto (e ha) una lingua che mette a suo agio l’ascoltatore e lo fa sentire, a sua volta, ascoltato. L’insegnamento più prezioso che m’è rimasto dentro: parlare con la lingua delle persone a cui ti rivolgi. In generale penso che corsi di questo tipo parlino alle persone che già hanno le idee chiare su quello che cercano e che vogliono. Credo pochissimo alle conversioni sulla via di damasco, ma parecchio alle affinità elettive.

Il tuo graphic novel in uscita per Tunué si intitola Quello che ho perso, vorresti parlarcene, quale la molla che ti ha mosso?

Da tre anni condivido con Federico (il disegnatore di Quello che ho perso) la stessa stanza negli studi Rainbow Cgi, e più di una volta ci siamo detti che sarebbe stato interessante cimentarsi in una collaborazione fumettistica oltre a quella nel campo dell’animazione. Volevo lavorare a una storia basata sui personaggi, sulle loro espressioni e stati d’animo, e in questo l’enorme talento di Federico sarebbe stata la quadratura del cerchio. Avevamo entrambi in testa un on the road fatto di dialoghi e paesaggi più che di soggetto e regia, e man a mano che le tesserine trovavano il loro posto ci accorgevamo che stavamo portando il lettore nella nostra auto immaginaria per farlo sedere comodo, divertirlo con la leggerezza di una canzone cantata da Neko Case… per poi togliergli ogni sicurezza, accelerando senza cintura, alzando il volume al massimo e urlando sguaiati come spettri.

Ci interessa raccontare quanto sia facile distruggere in un momento quello che viene costruito in una vita e in quali e quante maniere il conflitto etico può incidere sulla singola persona. Vogliamo che la giuria ci ritenga colpevoli e speriamo di trascinare i lettori nel nostro stesso carcere.

Trucchi, dritte, segreti, aneddoti relativi al mestiere di sceneggiatore? Con la tua attività in bilico tra animazione e fumetti potresti raccontarcene un bel po’.

Il Primo Passo, per quanto possa sembrare banale, è avere qualcosa da dire. O quantomeno sentirne l’urgenza. Riconoscerlo ti metterà un pochino più in là dei molti che si perderanno per strada. Passo Due è sicuramente rappresentato dalla perseveranza che ti servirà per essere convinto delle tue idee al punto da portarle avanti anche quando tornare a fare il cameriere nel pub del tuo amico Diego sembra l’unica soluzione luminosa. Perseveranza che, senza eccedere, può anche far rima con Arroganza, dopotutto devi essere il primo a essere convinto che, anche se tutti scrivono, tu dici cose talmente più interessanti degli altri e che è giusto pagare per leggerle. Terzo Passo: un metodo. Non IL metodo, perché non esiste, ma ne esisterà sicuramente uno buono per te. Trovalo, arredalo come meglio credi, non fargli l’orlo troppo stretto così magari puoi portarlo anche quando sarai un po’ più cresciuto, ma una volta che lo riconosci come tuo, coccolalo e tienitelo stretto. Il tuo metodo (magari in combo con il Prezioso Insegnamento del Maestro Lorenzo Bartoli Illustrato Precedentemente) sarà il motivo per cui i tuoi colleghi lavoreranno così bene con te da parlarne ad altri. Che a loro volta vorranno conoscerti e collaborare. Perché non farai il tuo lavoro da solo e un metodo non esiste se non in funzione degli altri. Un ultimo consiglio prima di passare alla domanda successiva: circondati di collaboratori più bravi di te. Umilmente imparerai molto da loro e furbamente dividerai gli stessi onori. Molti fanno l’esatto opposto ma quello che ottengono è soltanto di primeggiare tra gli ultimi.

Un autore italiano e uno straniero secondo te imprescindibili. Un gioco crudele, scegliere è spesso brutale, ma proviamoci lo stesso. Potrebbe essere molto interessante.

Lo faccio restando nell’ambito fumettaro che sennò diventa un gioco al massacro.
Straniero: Daniel Clowes. Il suo modo di raccontare è talmente completo che è difficile scinderlo in sceneggiatura e disegno. È un piacere leggerlo. È un piacere imparare dalle sue parole, dalle sue atmosfere. È un piacere vedere come ogni volta faccia sembrare tutto onestamente semplice. Puoi vedere una vignetta e capire che è di Daniel Clowes. Ti basta leggere un balloon e capire che è scritto da Daniel Clowes.
Italiano: Guido Nolitta. Ha inventato e scritto Jerry Drake insegnandomi che per quante volte possa dire no, l’eroe è quello che ritiene stupido chi non cambia mai idea. Ha inventato e scritto Zagor con cui ho imparato a leggere e a mettere in fila per due i sogni, tra cui quello di diventare sceneggiatore. […]

Dopo l’intervista, ecco uno degli accostamenti tra sceneggiatura/tavola finita presenti nel libro:

(cliccate per ingrandire)

E, per finire, un estratto dal racconto inedito che ho preparato appositamente per Storytellers.
E’ stata la mia prima volta con la prosa.
Difficilissimo, faticosissimo ma allo stesso tempo estremamente appagante (e indirettamente ha anche causato la decisione di aprire questo sito)

Il titolo del racconto era:

Voleva soltanto restare lì.


[…] Erano passati venti minuti da quando si aspettava di veder arrivare Adam e Adam ancora non era lì.
Si metteva con la schiena sul letto e i piedi nudi sul muro appena iniziava ad annoiarsi e sentiva ancora l’eco del padre che si arrabbiava quando da bambina la trovava così. Macchi tutto il muro, le diceva, gli lasci le impronte. Nella sua testa, oggi come ieri, lasciare le impronte era una cosa bella non un motivo per venire rimproverati, per cui sui muri di casa loro, avevano deciso di comune accordo lei ad Adam, chiunque avrebbe dovuto lasciare la propria impronta con i piedi, con le mani, o come meglio credeva. Un segno tangibile del proprio passaggio.

Adam arrivò come sempre, tranquillo e con l’aria di chi non è mai troppo in anticipo sulle aspettative altrui. Eva si sapeva bella ed era difficile non condividere. Si alzò in piedi per andargli vicino, lo baciò e lui si lasciò baciare.

Aveva portato in regalo un piccolo vassoio di cose buone e calde e le mangiarono insieme.

Si annoiava Adam a sentirla raccontare delle sue uscite, dei suoi amici, della sua vita, voleva soltanto sapere di lei, di cosa sentisse e provasse. “Non mi interessa quello che ti circonda, voglio solo capire il tuo punto d’osservazione e farne parte.” Eva si sentiva così sufficientemente piena di lui al punto di immaginarlo come acqua che aderisce e prende la forma del recipiente che lei stessa era.

“Come Adamo ed Eva”, gli disse, “siamo la prima donna e il primo uomo.”

“Non penso proprio”, si girò dall’altra parte Adam. “Questo è quello che raccontarono i figli prima di scannarsi tra di loro.”

Eva non era sicura di capire, “Certo che erano i primi, non c’era nessuno prima di loro.”

“Proprio per questo.”  Adam si alzò e fece per uscire dalla porta. “Sappiamo di essere i primi soltanto quando arriva qualcuno dopo di noi. Fino a quel momento non facciamo altro che sentirci vuoti, in attesa.
Adamo ed Eva non erano primi, erano soli.”

Si voltò indietro giusto l’attimo di un bacio, poi tornò verso la porta e se la chiuse alle spalle. Lo stavano chiamando.

Giù in fondo a un buco, sentendomi così piccola
Giù in fondo a un buco perdendo la mia anima
Mi piacerebbe volare
Ma le mie ali mi sono state negate

L’aveva avvisata che si sarebbe fermato poco, giusto il tempo di volerti un po’ di più pensava Eva mentre provava a richiamarlo per la seconda volta senza che le rispondesse. Era più parmenideo che stronzo. L’Adam c’era, il non Adam non c’era. E quando c’era quietava ogni sua urgenza o bisogno con una naturalezza che sarebbe stato facile dare per scontata se lui per primo non si fosse paragonato al basso in un brano musicale. Ti accorgi di quanto ti manca solo quando non c’è.

Avrebbe voluto passare tutta la serata con lui e invece se ne girava per la stanza che avevano arredato insieme tre anni prima notando con una punta d’ironia che l’attesa la incupiva oggi come quando avevano iniziato a frequentarsi. L’Adam dell’epoca spariva per giorni interi dicendole che ogni giorno insieme poteva essere un dono. Diceva di non volerla ma che non le avrebbe fatto male. Un anno dopo la chiamava in piena notte accusandola di non esserci. Il suo modo di chiederle di andare, il suo modo sbagliato di chiedere e di dare. Eva non andò fino al mattino del giorno che sarebbe stato il primo della loro storia insieme e sorrideva che di quell’anno incerto ricordasse soltanto il cibo e il sesso. Mangiare e mangiarsi.

Eva si avvicinò al vassoio e prese due rustici. Ora Adam non c’era esattamente come trenta minuti prima e la canzone tornava a cantarle in testa.

Ancora caldi, pensò.

Giù in fondo a un buco e loro hanno posizionato
le pietre al loro posto
Io ho mangiato il sole e adesso la mia lingua
è stata bruciata dal suo sapore
Sono stata colpevole
Di prendermi a calci sui denti
Non parlerò mai più
Dei sentimenti che sento dentro

Ogni angolo nella stanza parlava di loro. Ormai era impossibile scindere le singole personalità persino davanti alla più stupida delle cornici, ogni elemento era in due. Loro era stato il viaggio, loro la scelta, loro il matrimonio, loro la volontà di avere un bambino quella notte, sperando che nascesse d’autunno perché il grigio era sempre piaciuto a entrambi.

Eva da sola piangeva e rideva e pensava a sua madre che faceva lo stesso.

La chiamò per dirle che era contenta di quello che aveva ottenuto e di tutto ciò che lei le aveva insegnato. La ringraziò per tutte le volte che aveva pensato che era una stronza e insieme ne risero. Le disse di salutarle Adam.

“Adam è fuori.”

“E va bene, tornerà.”

“Quando vorrà.”

Risero di nuovo. “Mamma te l’ho detto che non mi piacevi il giorno del mio matrimonio? Eri serissima e in quel vestito ti ci immagino più da morta che da viva.”

“Ragazzina in quel vestito c’è mezza liquidazione di tuo padre.”

“Anche mio padre ti immagina più da morta che da viva.”

Continuarono a sfottersi così per altri dieci minuti, poi Adam suonò alla porta.

Sorpresa. Altri rustici che quelli di prima erano pochissimi.

Giù in fondo a un buco, sentendomi così piccola
Giù in fondo a un buco, perdendo la mia anima
Mi piacerebbe volare ma…
…le mie ali mi sono state negate

Scesero in quattro ma fuori molta più gente urlava e indicava proprio lì. Si coprirono il naso per il fetore e in due non riuscirono a trattenere il vomito. Si avvicinarono per sollevarla di peso e nello stesso istante in cui la sfiorarono, la ragazza si voltò di scatto e li guardò come fossero fantasmi. Le parole uscirono dalla sua bocca inizialmente incomprensibili. Le sue labbra erano spaccate e viola, la lingua dura e i due incisivi spezzati, probabilmente, date le scheggie di magenta sugli altri denti,  da uno dei mattoni in terra.

Chi cazzo siete e cosa state facendo? Cosa volete?

Le dicevano di stare calma e tra di loro si suggerivano di fare piano, le gambe erano troppo fragili per essere distese.

Le misero un cappuccio in testa scusandosi, dicendo che era solo per colpa del sole che poteva bruciarle le retine e che gliel’avrebbero tolto subito.

C’è qualcun altro lì sotto, sentì dire da qualcuno. Maschio, biondo, sui trenta, deceduto, a una prima occhiata, da tre settimane. Due colpi, probabilmente qualcosa andato storto tra quelli della banda.

Di chi stavano parlando? Con lei c’era solo Adam e nessun altro. Di chi stavano parlando? La fecero sedere e le chiesero di tenere gli occhi chiusi, la luce era troppo forte. Lei ubbidì all’ordine, le tolsero il cappuccio e le poggiarono sulle labbra una bottiglia d’acqua troppo fredda. La prima cosa che mise a fuoco era il cadavere del ragazzo che veniva estratto dal buco e messo in una busta di plastica. Il cadavere di uno dei rapitori, continuavano a ripetere.

Ucciso all’incirca tre settimane prima dai suoi stessi complici per motivi ancora ignoti ma, presumibilmente, collegati alla spartizione del riscatto.

“P-perché stanno portando via mio marito?”

“Portate altra acqua e dei panini. Della frutta anche, è completamente disidratata e non mangia da giorni!”

“Lasciate stare mio marito!”

“Stia calma e resti concentrata, quell’uomo, quell’uomo che stanno portando via è uno dei criminali che le hanno fatto questo, non suo marito.”

“Si ricorda come si chiama?”

Chiese.

“Si ricorda come si chiama?”

“Si. M-mi chiamo Eva.”

“Benissimo, Eva Salvi, anni 27, rapita il 14 settembre 2007. Sai che giorno è oggi?”

“Io ho… ho 31 anni.”

“Sa che giorno è oggi?”

“No.”  […]

Questo, e molto altro, è Storytellers.
Se volete sapere come inizia e come va a finire il racconto, se volete leggere l’intervista nella sua versione integrale, se volete vedere altre tavole di sceneggiatura… ma soprattutto se volete leggere i contributi degli altri 7 sceneggiatori a cui sono fiero di essere stato accostato… cercatelo nelle fumetterie,  in tutte le libreria di varia o ordinatelo direttamente sul sito della Tunué, a questa pagina.

16 commenti

  1. Giovanni -

    MIO! 🙂

  2. il decu -

    Essendoci almeno tre amici in copertina… mi toccherà prenderlo. 😉
    Grandissimo Phico Mauretto!

  3. Mauro -

    phico e c1cc1-one

  4. Andrea Laprovitera -

    Che bella copertina:) e poi quanti bei volti sorridenti di sceneggiatori (ma Lucio dove sta guardando? L’orizzonte?)… Complimenti per l’intervista e per i tuoi grandi lavori su Dylan Dog e il resto. Ci vediamo a Lucca
    A presto.

    Andrea

  5. Michele Petrucci -

    L’unico Album Tunué veramente interessante… 😉

  6. Mauro -

    @Andrea
    Grazie e in bocca al lupo per tutti i tuoi nuovi progetti!

    @Michele
    Ahahahahah, Dici? Oppure me ne sapresti consigliare un altro? 😉

  7. skiribilla -

    Non importa neanche che te lo dica, temo che ti cercherò anche per una dedica sul libro 🙂

    E com’è vera quella cosa che la gente quando passa è distratta e la verità si dice solo distrattamente.
    (più altre cose su cui son d’accordo ma insomma non son qui per fare una tesina, via)

  8. Mauro -

    i <3 u darlin'

  9. Michele t. -

    Tu hai detto: “la verità si dice solo distrattamente” e sono pienamente d’accordo, tanto che posterò la frase su Facebook, citando l’autore, ovviamente. 🙂

  10. Mauro -

    onorato! (devo ancora risponderti alla mail… ma non mi sono dimenticato, giuro!)

  11. spino -

    Diamine…ho lavorato con almeno due di questi autorevoli autori…direi che per uno che è fuori dai giochi da parecchio, posso anche accontentarmi 😀

  12. amal -

    certo che la potevi rovesciare la foto eh. 😀

    io cell’ho il libro cell’ho. me l’ha portato un uccellino in ospedale perché io studiassi. pensa un po’.
    (o forse l’aveva fatto per bullarsi? non mi ricordo)

  13. moricimarco -

    ma il dylan dog tuo è uscito?

  14. Domenico -

    fantastica la pagina di sceneggiatura scelta..:D

  15. ang -

    ah, quindi sono in parte responsabile della tua scelta di aprire questo blog.

    🙂

    salutissimi!!

  16. New entry? -

    […] Il documento fa parte di un interessante libro, Storytellers, del quale Mauro parla con lode nel post relativo al giorno […]

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